Intervista a Maria Bonafede, moderatora delle chiese valdesi e metodiste

Aperti al mondo per fede e per giustizia

di Loris Campetti


Meret Oppenheim


«Chi invoca un fronte tra cristiani e non credenti per difendere la cultura dell'Occidente e la sua presunta superiorità propone in realtà un patto diabolico, inaccettabile. Un patto che va combattuto con forza. Da nostro punto di vista è l'espressione della totale incomprensione del messaggio cristiano. Nessuno deve dimenticare che il fondamentalismo non l'hanno inventato gli altri, al contrario è figlio del cristianesimo. L'uso dei testi sacri come un'arma fa parte della nostra storia». Non usa mezzi termini la nuova moderatora della Tavola valdese, Maria Bonafede, per rispondere a una nostra domanda sulle famigerate tesi brandite dalla seconda carica dello stato italiano, il presidente del senato Marcello Pera. Abbiamo intervistato la moderatora - è così che vuol essere chiamata - Bonafede subito dopo la sua elezione avvenuta al termine del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste italiane che si è svolto a Torre Pellice.

E' la prima volta che a capo del vostro esecutivo viene eletta una donna. E il prodotto di una battaglia femminista nella chiesa valdese, oppure una scelta normale, legata ai meriti della persona eletta a prescindere dal fatto che sia maschio o femmina?

Credo che siano vere entrambe le cose. E' vero che da 5 anni sono nella Tavola, le comunità mi conoscono molto bene. Ma è innegabile che da decenni le donne lavorano nella chiesa per conquistare ruoli e visibilità, per portare il nostro punto di vista. Senza il femminismo, senza l'impegno degli anni passati e l'arrivo di molte pastore la mia elezione sarebbe stata impensabile. Questa elezione è la testimonianza del fatto che le due metà delle chiese convivono perfettamente, qualche anno fa si sarebbe parlato di realizzazione delle pari opportunità. Le cose nelle chiese stanno cambiando, cambia il modo di rapportarsi alle donne, e non solo da parte dei valdesi e dei metodisti. C'è una donna alla guida dei battisti. Con il tempo, impareranno anche gli altri a chiamarmi moderatora, è passata molta acqua sotto i ponti da quando venivo chiamata reverenda madre, o signor pastore.

Come moderatora dovrà comunque confrontarsi con un mondo esclusivamente maschile, almeno per quanto riguarda l'ecumenismo, il rapporto con le altre chiese.

Sono convinta che si debba dialogare con la chiesa di Roma e anche con quelle chiese evangeliche che vedono con difficoltà la presenza delle donne in ruoli importanti come quello a cui mi è stato chiesto di assolvere. In generale, siamo impegnati in un dialogo aperto e franco con le altre chiese. Abbiamo accolto con spirito fraterno il rappresentante della Cei senza rinunciare a esprimere il nostro punto di vista e le nostre critiche, il nostro dispiacere, per esempio sulla pesante ingerenza del Vaticano sulle scelte dello stato italiano. E' il caso dell'appello a non andare a votare al referendum sulla procreazione assistita. Ma il dialogo è fondamentale, il confronto rafforza la fede se si tiene al centro una predicazione di libertà, non di chiusura. Le coscienze devono essere libere di scegliere, è questa la strada per crescere insieme. Ecumenismo non è smussare gli angoli, è un modo di essere cristiani che dà nuove prospettive di fede

Restiamo alla procreazione assistita: la vostra è una critica di merito o di merito alla gerarchia cattolica che ha chiamato gli italiani all'astensione?

Di metodo e di merito. E' sbagliata l'interferenza perché pretende di imporre a uno stato, ai suoi cittadini, una scelta che si presume buona. E' anche un segno di debolezza che svela la paura di perdere adesioni e potere. Credo dunque che l'appello all'astensione fosse sbagliato: noi ci siamo limitati a dire che era giusto andare a votare, lasciando comunque i nostri fratelli e sorelle liberi di scegliere. Credo poi che l'opposizione delle gerarchie vaticane fosse sbagliato anche nel merito del referendum.

Non ingerenza e libertà di scelta sono anche i criteri in base ai quali criticate l'esposizione del crocefisso nei luoghi pubblici, o le pressioni per inserire le radici cristiane nella Costituzione europea, per non parlare dell'ora di religione (cattolica) a scuola?

Il criterio è esattamente lo stesso. A che serve mettere i paletti? Preferisco una parete bianca in una scuola o in un tribunale che l'esposizione di un simbolo che non unisce ma divide. La strada non è, ovviamente, quella di aggiungere altri simboli al crocefisso per una malintesa ricerca di par condicio ma, noi crediamo, quella di lasciare la parete bianca. Il credere o no sta nella libera scelta di ciascuno. Non si debbono mescolare sfere diverse.

Il dialogo con le altre fedi e con le altre chiese - è il punto di vista ribadito anche dal Sinodo - è una strada irrinunciabile. Non dev'essere semplice, però, il dialogo, con chi come Benedetto XVI, come primo atto del suo pontificato decide di rievocare uno spettro della storia del cristianesimo che è alla base della sua divisione: l'indulgenza, non venduta ma comunque garantita ai pellegrini delle Giornate mondiali della gioventù a Colonia, nella terra di Martin Lutero.

Quella è stata una scelta che non aiuta il percorso ecumenico. Il papa Ratzingher è tedesco e teologo, conosce bene le chiese riformate e i sentimenti dei tedeschi. Tirare di nuovo in ballo l'indulgenza non può essere una svista, mi sembra piuttosto una scelta arrogante, come a dire: dialoghiamo pure, incontriamoci, vi invito a confrontarvi con noi,ma io sono quel che sono, la mia identità è quella che è. Voglio aggiungere: chi lo capisce il messaggio lanciato attraverso l'indulgenza? Non credo i giovani cattolici andati a Colonia. Sono tantissimi i cattolici che ragionano con la loro testa, non mi perderei d'animo.

Il Sinodo ha usato parole chiare sulla solidarietà, l'accoglienza, l'interculturalità. L'opposto di chi predica contro il meticciato in nome della difesa dell'identità occidentale e della sua presunta superiorità.

Le guerre di religione producono effetti devastanti. Come si fa a scagliarsi contro il meticciato, quando milioni di persone dai paesi poveri e vittime di guerre migrano verso di noi, ci chiedono aiuto? Come fa ad alzare questi muri d'odio chi si fa paladino dell'Occidente, se non rimuovendo la verità? La verità è che quei migranti fuggono dai disastri prodotti da secoli di occupazione, oppressione e sfruttamento dei beni e delle risorse, disastri di cui il nostro mondo si è reso colpevole. Noi siamo debitori nei confronti di chi fugge da guerra e miserie, dobbiamo restituire un po' di quel che abbiamo preso. Sono convinta che la condivisione sia un dovere e il mescolamento un'opportunità per creare una società migliore. Alzare muri, materiali e culturali, è un'aberrazione dal punto di vista cristiano. Ed è inutile, non serve certo a fermare un esodo che va avanti comunque, perché è spinto dalla persistenza, meglio dalla crescita di ingiustizie e diseguaglianze.

E' da almeno due Sinodi che valdesi e metodisti fanno i conti con una non nascosta crisi delle chiese protestanti, in Italia ma in generale in Europa. Mentre oltre Atlantico fanno fortuna fondamentalisti evalgelici e telepredicatori che chiamano alla guerra santa.

Siamo persone impaurite, non c'è pace e non c'è sicurezza ma soprattutto noi protestanti non siamo in grado di dare risposte «rassicuranti». Fa strada invece chi alzando come una spada il Vangelo annuncia certezze, grida parole forti e insegna a dividere il mondo in buono e cattivo, vede solo bianco e nero. Noi protestanti abbiamo invece un approccio critico ai testi, al tempo stesso una lettura complessa della realtà non offre certezze facili, non fornisce risposte nette. Il nostro approccio può essere visto come elitario. Dalle sette evangeliche americane viene una risposta sbagliata a una domanda giusta. Sta a noi trovare insieme una risposta diversa, conservando la nostra criticità. Dobbiamo aiutare le persone a ritrovare la fiducia, la serenità e dunque a liberarsi dalla sensazione dominante di insicurezza, di paura. Nella solidarietà, però.

Negli ultimi anni la presenza dei valdesi nelle battaglie sociali è meno visibile. E' un'impressione sbagliata?

E' vero, negli anni Ottanta siamo andati fin troppo sui giornali e non è detto che sia negativa una minore esposizione. Aggiungerei che per i giornali, oggi, siamo interessanti sono quando esplodono questioni etiche, mentre lo siamo molto meno quando ci impegnamo nel sociale.

Vuol dire anche lei che è sempre colpa dei giornalisti distratti, o interessati?

No, voglio dire al contrario che forse la poca attenzione dei media è legata al fatto che non diciamo cose speciali.

Diciamo che in passato anche nei movimenti la vostra presenza era più visibile, o forse soltanto più rivendicata. Penso in particolare al movimento pacifista.

All'interno delle nostre chiese è aperta una discussione anche molto accesa sulla pace e sulle guerre. Il fatto che la maggioranza di noi sia apertamente schierata con il movimento pacifista non mette certo il tappo al dibattito interno, il cui valore rivendico.

Come si concilierà la sua funzione di moderatora con la salvaguardia della sua vita personale, come donna, come mamma?

Indubbiamente sarò maggiormente assorbita da questo incarico così impegnativo, ma non intendo rinunciare a garantirmi momenti di vita normale, a leggermi un libro per piacere e non necessariamente perché mi è necessario per il lavoro. Mio figlio ha 17 anni, non è un bambino e cammina da solo. Sono convinta che mi aiuterà il fatto che il governo della chiesa valdese è collegiale e la complessità del Sinodo, che si svolge annualmente, è una garanzia, una tutela rispetto al rischio di fughe in avanti, o peggio ancora di solitudini. Mi aiuteranno il sostegno, la solidarietà e la preghiera di tante sorelle e fratelli.
 

questo articolo è apparso su il manifesto del 27 agosto 2005