Il Dilemma di Dilma

Gisella Evangelisti


Dilma Rousseff

 

La Costituzione concede alla Presidente del Brasile il diritto di veto alla recente riforma del Codice Forestale, che secondo gli ambientalisti darà il via a una gigantesca deforestazione di un’area selvatica dell’Amazzonia, pari alla superficie di Italia, Germania e Belgio messe insieme.
Ha tempo fino al 25 maggio. Lo farà?

Se Dilma dà il veto, manterrà la promessa fatta durante la campagna elettorale a favore della preservazione dell’Amazzonia, e potrà presentarsi con orgoglio di fronte al mondo nella prossima Conferenza delle Nazioni UNite sull’Ambiente, che si terrà in giugno a Rio (La Rio più Venti).
Ma le cose non sono facili. I “ruralisti”del Frente Parlamentario Agropecuario, ossia  i deputati finanziati nelle loro campagne elettorali dai latifondisti, hanno un potere enorme nella Camera: sono 268, pari al 52% dei deputati, anche se la popolazione dedita all’agricoltura nel censo del 2010 era solo il 16% del totale della popolazione attiva. 
I ruralisti vogliono ampliare le piantagioni di soja o di canna da zucchero per la produzione di biocombustibile, a spese dei piccoli agricoltori che praticano un’agricoltura di sussistenza, e del milione e mezzo di contadini del Movimento dos Trabalhadores sem terra (MST), che reclamano da anni di poter lavorare in terreni improduttivi.
Se si mantiene il Codice, però, non ci rimetteranno solo i contadini: ci rimetterà il pianeta intero,avvisano gli ecologisti. Mentre 10 ex ministri brasiliani dell’Ambiente hanno diretto a Dilma una petizione perchè blocchi il Codice, tutto il mondo aspetta la sua decisione, con il fiato sospeso. I giorni passano velocemente, mentre il documento continua nelle sue mani. Lo vietarà?

Dilma Roussef, economista, è  la prima donna nella storia del Brasile ad occupare l’incarico di presidente. Un donna tutta d’un pezzo, dicono di lei, perchè in un anno e mezzo di mandato ha fatto dimettere dieci ministri, 8 dei quali per corruzione, e ha criticato duramente le banche, che nonostante la loro florida situazione praticano interessi altissimi. La sua popolarità, per questo, è alle stelle. “Non è il mio carattere ad essere duro, è la mia funzione”, spiega Dilma. “Devo risolvere continuamente conflitti e problemi, uno dietro l’altro. In realtà, sono criticata per essere donna. Un donna dura, in mezzo a tanti uomini “morbidi”” ; per esempio, abituati agli scambi di favori politici che Dilma odia.
Di sicuro, non è facile dirigere  “o país mais grande do mundo”, che da poco ha superato la Gran Bretagna passando ad essere la sesta potenza industriale nel mondo, che possiede il 60% della foresta pluviale più grande del pianeta, e una gran riserva di acqua dolce, e responsabile di metà della produzione lorda latinoamericana. Un paese con tremende disuguaglianze sociali, ma con un índice di disoccupazione (il 4,7 %) che è metà di quello europeo, capace di attirare giovani ingegneri  stranieri nei suoi piani dis viluppo. Un paese in pieno auge che reclama un ruolo di maggiore rilievo nel consesso mondiale.
Si propone di sradicare la povertà e nello stesso tempo di mantenere il prestigio acquisito nella prima Conferenza delle Nazioni Unite realizzata a Rio nel 92, conservando l’Amazzonia.

Circa la metà dei boschi in Brasile sono protetti ufficialmente come riserve o parchi nazionali, non è sufficiente? Affermano i ruralisti.
No, rispondono gli ambientalisti, perchè si tratta di una protezione puramente teorica, che non riesce a impediré l’infiltrazione di compagnie di legname o di agricoltori abusivi. Come potrà respingerli una guardia armata con 1800 kmq da proteggere? Come far rispettare la legge a fazenderos che ragionano col piombo? 
Nelle strade dell’Amazzonia, infatti, continua a scorrere il sangue. 1585 persone sono state assassinate nei conflitti per la terra dal 1985 al 2010, secondo la Commissione Pastorale della Terra, legata alla Chiesa Cattolica, e solo 91 mandanti furono processati. Le vittime sono dirigente contadini, ambientalisti, suore e preti che lottano contro il lavoro semischiavo e a favore dell’agricoltura sostenibile. Uno dei pochi delitti puniti fu quello di Dorothy Stang, la suora statunitense per 40 anni al fianco dei contadini poveri, che fu uccisa nel 2005, da due pistoleros pagati 24 mila dollari da due fazenderos per eliminarla.

Nel suo primo mandato, Lula affrontò lo spinoso problema della terra puntando a un riordinamento del territorio attraverso l’IBAMA (Istituto Brasiliano per l’Ambiente e le Risorse rinnovabili), destinando terre abbandonate o deteriórate a nuovi usi, e la deforestazione diminuì, anche se è ancora grave. Promise terra a 400mila famiglie con la Riforma Agraria, ma la consegna fu lentissima e furono beneficiate solo poche migliaia di famiglie, mentre la banca statale di sviluppo (il BNDES) continuaba a finanziare i latifondisti. Latifondisti o fazenderos sono quelli che dall’epoca dell’Indipendenza, mantengono un potere dispotico nelle zone rurali e un potere esorbitante, come si è visto, in Parlamento.


Marina Silva

Lula, proveniente dall’ambiente urbano operaio, fece un gesto di buona volontà verso i popoli amazzonici nominando come Ministra per l’Ambiente Marina Silva, una giovane zamba che fino a 14 anni aveva lavorato con la famiglia nella raccolta del caucciù, nell’Acre, e per questo non era potuta andaré a scuola. Successivamente  conobbe e collaborò con Chico Mendes, il dirigente sindacale fautore dell’estrattivismo sostenibile, assassinato nel 1988 a Xapurì.
In numerose sedi, come ministra prima e come rappresentante del Partito Verde, Marina denunciò i danni dell’agricoltura delle piantagioni di prodotti per l’esportazione, che concentra la terra in poche mani, fa un uso massiccio di insetticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici, avvelenando la terra, e di fatto diffonde la povertà fra i contadini, in quanto diminuisce la produzione degli alimenti.
Marina osservò, tra l’altro,  che molte opere proposte dalla Ministra per l’Energia, Dilma Rousseff, producevano forti impatti ambientali, e dovette dimettersi.
Il tema energético è infatti un punto di accese controversie. Il Brasile si è proposto di universalizzare entro il 2015 l’accesso all’elettricità, portándola a 30 milioni di persone che ancora non ne usufruiscono,  e Lula ha puntato alla costruzione di grandi dighe idroelettriche. Una è in fase di costruzione nel fiume Xingù, nel Parà, fra le proteste degli abitanti del fiume e degli indigeni, che vedono distrutto il loro hábitat. Ma non basta. Visto che il Brasile non ha grandi salti d’acqua, Lula ha stilato nel 2010 con il Perù un accordo per la costruzione di ben 5 dighe nell’Amazzonia peruviana, dove vivono popolazioni indigene già in condizioni precarie, che perderanno cosi il loro territorio di cui vivono.
Oltre alle conseguenze nefaste sulla vita dei popoli, si prevedono anche danni ambientali, in quanto i residui organici trattenuti dalla diga produrrebbero gas metano, venti volte piu dannoso del diossido di carbonio.

Quali le alternative, allora? Una è la produzione decentralizzata di energia, con migliaia di piccoli impianti idroelettrici disseminati in ogni località, che potrebbero essere costruiti con i fondi statali, se questi venissero destinati ai sindaci e non alle grandi infrastrutture. O se si utilizzasse l’acqua límpida delle Ande, e soprattutto, se si cambiasse il paradigma energético, usando le energie rinnovabili, proveniente dal sole, il vento, la geotermia, le biomasse, come già si sta facendo in molti luoghi del mondo.
Non c’è da scherzare.
La foresta amazzonica è motlo sensibile all’aumento della temperatura dell’Atlantico tropicale e una maggiore deforestazione può provocare effetti perversi. Negli ultimi anni, come segnala lo studio dell'Università inglese di Leeds e del Amazon Environmental Research Institute, ci sono state due grandi siccità, un fenómeno che si verificava circa ogni cento anni. Nel 2010 le motonavi di maggiore stazza non potevano circolare nel Rio delle Amazzoni, dove 20 città erano dichiarate in emergenza. Questo fiume cosi regale a Iquitos, pareva allontanarsi sempre più dal lungofiume nella nebiolina calda del pomeriggio. Gli alberi caduti, seccandosi, diffonderanno nei prossimi 5 anni miliardi di tonnellate di CO2. Da plomone del pianeta, l’Amazzonia può diventare una camera a gas.

Di quale sviluppo quindi dovremo inorgoglirci, brasiliani o no, se la reserva idrica del pianeta si secca, se si disprezza l’uso saggio dell’ambiente amazzonico fatto dagli indigeni, se si destina all’estinzione la meravigliosa varietà delle specie che vivono nella foresta?
“Vieta Dilma!” Dicono i cartelli alzati dagli ambientalisti nelle manifestazioni che si moltiplicano nel paese, mentre AVAAZ.org sta per raccogliere 2 milioni di firme di cittadini contro il malaugurato Codice. Tutti sperano che questa donna decisa, che no ha esitato a rischiare la vita per lottare contro la dittatura militare, adesso prenda in mano la penna e firmi per uno sviluppo più umano.

 

 

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