Ritornare alla madre di tutti i buddha
nel tempo in cui i barbari si scatenano

di Joanna Macy
 


dal sito www.dharmanet.com.br

da www.awakenedwoman.com

Prajnaparamita incarna la beatitudine-vuoto da cui nascono tutti i fenomeni, donde il suo attributo di “Madre di tutti i Buddha”. È solitamente raffigurata come una placida figura avvolta in drappi di seta; il suo corpo è di colore dorato, ha un volto e quattro braccia. Le prime due braccia sono in atteggiamento di meditazione, sul grembo, mentre l’altra mano destra regge un vajra (uno scettro a forma di saetta che simboleggia la compassione-beatitudine) e la sinistra il testo del Sutra del Cuore, che è un essenziale testo sapienziale sul vuoto dei fenomeni. Il suo nome significa “Perfezione della Saggezza”; in Tibetano è conosciuta anche come Yum Chenmo, o “Grande Madre”. È associata alla pratica del Chod.

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Tornando a casa nel 1980, mi fermai in India e vidi i Tibetani che per primi mi avevano rivelato il Dharma negli anni ’60 quando vivevo con la mia famiglia nei Corpi di Pace in India. Lì, tra i Tibetani nella Valle di Kangra, colsi delle allusioni a profezie sull’avvento del regno di Shambhala. Derivano dal Kalachakra Tantra. Queste profezie mi interessavano molto, per la loro natura apocalittica. Choegyal Rinpoch  mi confidò questa interpretazione.
 

Secondo le profezie, giunge un tempo (e i segni annunciati indicano che è il tempo in cui stiamo vivendo ora) in cui il potere dei Laloe diventa così grande da minacciare il futuro di tutta la vita sulla Terra. Laloe significa barbari.

I barbari hanno due centri di potere: uno è l’Occidente e l’altro è nel centro del continente eurasiatico. Sebbene siano nemici giurati, queste due potenze Laloe non sono poi tanto differenti. Entrambe hanno concepito, prodotto e continuano ad accumulare armi di inimmaginabile orrore e devastazione. Tali armi possono costarci il mondo.

 

“È in questo tempo che il regno di Shambhala sorge,” dice  Choegyal Rinpoch. Non è un’entità geopolitica. Piuttosto, esiste nei cuori e nelle menti dei guerrieri Shambhala. Un guerriero Shambhala non indossa uniformi e distintivi, non porta bandiere, non dà strette di mano segrete. Non ci sono barricate su cui arrampicarsi e pontificare, o dietro alle quali possano riposare e radunarsi. Non ci sono linee di frontiera, nessun prato di casa. Sempre, eternamente essi si muovono sopra e attraverso il territorio degli stessi Laloe. Arriva un tempo in cui la benevolenza e il coraggio di questi guerrieri vengono allo scoperto, quando essi passano all'azione per smantellare queste terribili armi.

 

In questo tempo, essi vanno dritto al cuore del potere dei barbari - nelle fortezze e nei sotterranei in cui le armi sono ammassate, nei corridoi del potere per demolire strumenti e pratiche di morte. Essi sanno che possono distruggere queste armi, perché esse sono manomaya, create dalla mente. E dal momento che sono state create dalla mente umana, possono essere disfatte dalla mente umana.

 

Proprio ora i guerrieri Shambhala sono in fase di addestramento.

“Come vengono addestrati?” ho chiesto.

“Vengono addestrati nell’uso di due armi,” ha risposto Choegyal Rinpoch. Una è l’intuizione della co-nascente natura interdipendente della realtà. Nella rete del co-nascente siamo tutti così profondamente interconnessi che non c’è un “loro” e un “noi”: siamo un tutt’uno nel flusso dei fenomeni.

 

L’altra arma è la compassione, la profonda energia che nasce quando ci apriamo all’altrui sofferenza. Nessuna delle due armi basta da sola. L’una di per sé può essere fredda e astratta; l’altra può polarizzarci e consumarci. Ma con tutt’e due insieme possiamo salvare il mondo.

 

Ognuno di noi ha il suo modo di lavorare per guarire il nostro mondo. Nella Perfezione della Saggezza, l’Astasabasrika Prajnaparamita, il bodhisattva è descritto mentre vola nello spazio immenso. Il nome di tale spazio è il nome della Madre di tutti i Buddha.

 

Siamo chiamati a muoverci in quello spazio, a volare in esso. È lo spazio in cui possiamo entrare quando sediamo sui nostri zafus o quando ci concediamo del tempo per connetterci con quello spazio in un altro essere.

 

Possiamo entrarvi quando protestiamo contro la ricerca sulle armi nucleari, quando rinunciamo ad un lavoro nell’industria della difesa, scrivendo l’ennesima lettera in difesa di un prigioniero politico per Amnesty International, partecipando ad un boicottaggio per i coltivatori emigranti, o facendo un sit-in presso un ufficio del Congresso per invocare una politica corretta nel Centro-America.

 

Vi entriamo quando, adagio e silenziosamente, cambiamo i nostri modelli di consumo cosicché la nostra società possa virare verso una cultura sostenibile.

 

Quello spazio ci aspetta e possiamo volare in esso. Ci libera dai nostri ruoli socialmente definiti. Possiamo volare in quello spazio perché è lo spazio della profonda interconnessione, dove i muri del sé e dell’altro si sgretolano.

 

Attualmente c’è un dibattito in seno al movimento per la pace riguardo alla corsa agli armamenti nucleari, se debba essere trattato come in tema a parte.

 

Noi che conosciamo il dharma dell’interdipendenza sappiamo che la bomba nucleare non è separata da ciò che sta causando i campi profughi, le prigioni e la distruzione di ogni sistema naturale di vita. Sappiamo che non possiamo separare una cosa dall’altra. Eppure possiamo iniziare da un tema isolato. Vedendo una cosa, possiamo aprirci e vedere le innumerevoli connessioni con tutte le altre cose, con tutti gli altri temi.

 

Buddhagosa disse: “ Il Dharma è come la vite. La afferri in un punto e ti tiri dietro tutto il resto.” Così è per il tormento di questo nostro tempo. Puoi afferrarlo in qualsiasi luogo. Se qualcuno vuole iniziare dalla lotta contro la corsa agli armamenti, può farlo, e il resto viene da sé.

 

E la bellezza del dharma, che non necessita di essere spiegata in termini buddisti, è che se la gente possiede nell’umiltà la sua capacità di sentire il dolore del nostro tempo, può allo stesso modo sentire l’interconnessione. Nasce da una fonte profonda. Chiamatela la mente di Dio. Chiamatela natura del Buddha. Chiamatela la Madre di tutti i Buddha.

Tutti vogliamo ritornare a casa da lei.

   

Estratto del saggio “Il Risveglio del Tutto”, pubblicato in “Non confondere il Buddismo”, New York, White Pine Press, 1986

 (traduzione a cura di Rosanna Nicolosi)