Tra uomini e donne, la politica del fifty-fifty

di Lidia Campagnano


Natalia Goncharova

Una come me, frequentemente definita qua e là come femminista storica, vorrebbe unirsi alle autorevoli pressioni per la nascita di una sinistra «senza aggettivi», dove ciascuna componente smetta di credere di avere chissà quale pedigree da difendere, e rimescoli le carte (e soprattutto butti in un ciclone benefico i gruppi dirigenti). Ma può farlo? Può farlo ancora dopo che tutti gli appelli, lanciati a sinistra perché la caduta di Berlusconi significasse anche un'altra relazione politica degli uomini con le donne, sono visibilmente caduti nel vuoto?

Il dubbio è di quelli che chiudono la bocca. Non poche hanno chiuso la bocca su questo punto specifico (non sulla violenza alle donne, o sul laicismo). Sul punto specifico delle relazioni politiche tra uomini e donne.
Le cose sono andate così male su questo terreno da indurre le più a un rancore e a una estraneità di quelle spesse e dense, e altre a chiedersi in malinconia dove abbiano sbagliato, interrogativo sempre utile, soprattutto nelle ritirate però, che non sempre sono strategiche.
Poi, di recente, ecco un nuovo scatto, la proposta della democrazia paritaria: 50 e 50 ovunque si decida, con tanto di proposta di legge di iniziativa popolare in materia elettorale, iniziativa dell'Unione donne in Italia, con l'adesione immediata di Usciamo dal Silenzio, di aree della Cgil, e via via, persino dal centro dello schieramento politico.

Dopo questa proposta non credo che sia possibile apprezzare più di tanto i timidi o i solenni riferimenti di attenzione alle donne espressi in qualche congresso, o le paginate giornalistiche rosa, che suscitano un misto di rabbia e di commozione, dedicate alle donne nei congressi.
O la speranza fa un vero balzo, credo, o la gora di una società dimezzata nella partecipazione politica diventerà un tema nuovo di zecca, e soprattutto sarà visibilmente una condizione di vita, per donne e uomini, tutt'altro che buona e meno che mai felice.

Il punto è che non si vede come pensare a una sinistra rinnovata, unita, accogliente senza evocare soggetti capaci di animarla. E' urgente che i soggetti vengano nominati secondo la relazione originaria della convivenza umana: donne e uomini.
E' questo il tema da assumere, strappandolo letteralmente alla gestione reazionaria delle religioni. Dalla molteplicità di esperienze della convivenza - donne e uomini, donne e donne, uomini e uomini - c'è di che portare alla luce la possibilità di una creazione etica laica finalmente valorizzata. Sulla cui varietà è possibile confrontarsi in pace (anziché in guerra).
A cominciare e ricominciare dalla questione procreativa, a proposito della quale urge riparare l'umiliazione violenta perpetrata ai danni delle donne, e del genere umano, con il passaggio dell'embrione da oggetto interiore del corpo-mente femminile (giustamente e bene affidato a una scelta femminile singolare, alla decisione femminile e singolare e intima di avviarlo a vita autonoma ben protetta) a oggetto dello stato, in quanto personalità giuridica.
Non ci sarà fondamento di laicità senza questa riparazione.

E dunque mettiamo la politica tra le donne e gli uomini. Tanto nella vita interpersonale quanto in quella pubblica.
Ma occorre oggi (a differenza dell'epoca femminista) iniziare da quella pubblica perché è lì che la relazione deve e può oggi iniziare di nuovo a essere rappresentata e ripensata: lì dove si dà per scontato che un uomo eletto rappresenti elettrici e elettori, mentre una donna eletta si teme sempre che no, che rappresenti solo il suo genere, e neanche quello, perché è ancora un essere strano, una donna eletta, e nemmeno lei sa bene, nel suo essere una rara stranezza, chi mai rappresenti.

La democrazia paritaria è un'urgenza: c'è stato un arretramento, un arretramento nell'emancipazione, nel significato più antico della parola (riscatto da una schiavitù) soprattutto in Occidente, se qualche notizia non pubblicizzata segnala un sottrarsi delle donne (negli Usa!) dall'offerta di lavoro, un nuovo investire nel matrimonio e nella funzione casalinga, un'estensione di modalità prostituite di lavoro in campi estranei alla prostituzione in senso proprio (e non si pensi solo a vallettopoli!) mentre masse di donne povere e senza diritti vagano per il mondo e ampliano un mercato schiavistico.

La democrazia paritaria è solo l'inizio, ma la sinistra deve farla propria, smettendo di lusingare con l'evocazione di parole d'ordine sommariamente apprese questa o quella parte di femminismo ufficialmente riconosciuto, smettendo anche di simbolizzare galanterie che suonano insopportabili per chi ha patito un'umiliazione politica.
E più limpidamente, mettendo rigorosamente e dovunque in scena l'interlocuzione numericamente paritaria, e nominandola.
La tela di una nuova cultura politica si tesse in parità.
E questo comporterà un grande impegno anche per le donne, che «non nascono imparate» esattamente come gli uomini.
E le (poche) donne che riescono a partecipare alla politica hanno di che riflettere, imparare, innovare, sciogliere rigidezze.

Chi aspira a un autentico e felice rimescolamento di carte (e perfino di gruppi dirigenti) incominci a rimescolarle tra donne e uomini.
Per la sinistra dovrebbe essere una speranza e anche un rifarsi alle proprie radici, o identità, perché non c'è dubbio che un patto politico tra donne e uomini, sia pure incompleto, sia pure egemonizzato da menti maschili, a sinistra c'è stato, c'è stato nel movimento operaio, nel movimento comunista, in quello socialista. Si è progressivamente impoverito, è stato contestato dal femminismo in nome di speranze più alte, e poi è tramontato. Ma c'è stato.
E' il caso di farne memoria e di ripartire, direi, platealmente, concretamente, subito.

E poi, ciascuna e ciascuno, se ha filo da tessere, tesserà, e si vedrà, e ci sarà scelta, tra la povertà e la ricchezza politica di pensiero e di abilità. Non solo a sinistra, anche al centro, o a destra, e sarebbe davvero un grande scossone.
Ma senza questo scatto, quante saranno le donne che non crederanno a nessuna nuova Costituente?
 

questo intervento è stato pubblicato su il manifesto del 22 aprile 2007