Ordine costituzionale e laicità necessaria

di Maria Grazia Campari

Sirani
Elisabetta Sirani

In Italia la fase attuale vede il prevalere di una opinione politica (di destra) fortemente connotata dalla ricerca di un monarca plebeo, un capo indiscusso che promette la eliminazione di qualsiasi conflitto democratico (di classe, di sesso) e l’approdo pacificatore sui lidi di una “democrazia semplificata”.
Semplificata al punto da poter tranquillamente prescindere dalla presenza di una opposizione parlamentare di sinistra.
Il Parlamento, luogo della proiezione del conflitto politico-sociale e della mediazione possibile, sembra avere scarsa ragione di esistere: un assetto della politica che rischia di travolgere e annullare i fondamenti della rappresentanza allargata e della partecipazione disegnati dalla Costituzione del 1948, contemporaneamente lodata e tradita.

E’ pensiero diffuso fra i giuristi democratici quello per cui la nostra Carta costituzionale costituisce un tentativo abbastanza ben riuscito di dare corso, attraverso il linguaggio e le istituzioni del diritto, a tecniche in grado di consentire la risoluzione dei problemi presenti nel tessuto sociale attraverso procedure democratiche partecipative.
Lo stesso art. 7 della Costituzione (giustamente criticato per la ricezione nel tessuto costituzionale dei Patti Lateranensi stipulati fra regime fascista e Chiesa cattolica) esordisce con il chiaro principio della separazione fra i due ordinamenti giuridici, statuale ed ecclesiale (“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani..”).

Del resto, la dottrina giuridica democratica (anche quella cattolica) ha sempre ritenuto la pluralità degli ordinamenti quale disciplina elettiva nei rapporti fra Stato e confessioni religiose, in virtù di una visione pluralistica della società che consenta la interazione e la convivenza di più culture e orientamenti morali.

Il termine laicità assume, così, rilevanza non solo per le questioni religiose, ma per tutte le attività umane di conoscenza e di esercizio del potere.
Da un punto di vista giuridico, la laicità dello Stato e delle istituzioni pubbliche costituisce, quindi, il fondamento del moderno costituzionalismo democratico.
Anche se nella Costituzione italiana la laicità non risulta iscritta espressamente, essa è tuttavia considerata (a partire dalla sentenza n.203/1989 della Corte Costituzionale) quale principio supremo e immodificabile stteso al dettato costituzionale, il cui contenuto essenziale recepisce l’istanza di eguale rispetto da parte dei pubblici poteri per opzioni e scelte individuali differenziate, tipiche del pluralismo democratico.
Quindi, laicità come aspetto connaturato alla democrazia pluralista, garantito da istituzioni dello Stato a fondamento costituzionale, collocate in posizione di neutralità rispetto alle diverse scelte di fede religiosa e, beninteso, anche rispetto alla scelta di non avere affatto una fede religiosa.

In tempi recenti stiamo purtroppo assistendo ad una progressiva erosione di questa regola fondamentale attraverso la negazione della reciproca autonomia fra Stato italiano e Chiesa cattolica. Quest’ultima si ingerisce, dettando contenuti e regole di comportamento anche istituzionali e i rappresentanti dello Stato si affannano a dimostrare comunanza di valori con la dottrina ecclesiastica.
Spesso, però, non basta una adesiva dichiarazione di intenti: i parlamentari cattolici sono perentoriamente invitati a votare secondo le istruzioni delle gerarchie vaticane, con grave compromissione della norma costituzionale che prevede la loro libertà da ogni “vincolo di mandato” (art. 67 Cost.). La sovranità del Parlamento dovrebbe cedere all’interventismo di una preponderante autorità esterna.
Se i parlamentari cattolici diventano il braccio secolare della Chiesa –è stato giustamente notato- si fa luogo ad una revisione costituzionale volta a sostituire il patto fra cittadini fondato sulla Costituzione repubblicana con un vincolo derivante da valori fissati dalla Chiesa una volta per tutte. Viene così travolto lo stesso articolo 7 della Costituzione: l’autonomia e la sovranità dello Stato italiano cede ad una sovranità superiore. Il patto fra Stato e Chiesa viene unilateralmente infranto.

Come si è potuto giungere a tanto?
Non è solo questione di credo profondo su temi eticamente sensibili ovvero di spregiudicata ricerca del voto dei cattolici da parte di vari esponenti politici
Questi sono i motivi più o meno palesi che però ne occultano altri meno dichiarabili, tutti connessi alla struttura gerarchica e ancora patriarcale del nostro sistema politico.
Nel fondo, si tratta, secondo me, di lasciare il più ampio spazio al principio di autorità

Una struttura verticale che assume centralmente deliberazioni sulla cosa pubblica con modalità a-partecipative, si avvantaggia del collegamento con i depositari di verità dogmatiche superiori, ai quali è possibile riferirsi ripetendone la qualità (analoga) di depositari di deleghe conferite in modo acritico.
Un ordine dominato più dall’idea di potere che da quella della libertà, tende a conformare le proprie istituzioni a regole svincolate dai principi che nascono dal confronto democratico allargato fra cittadini, secondo lo schema della democrazia critica e partecipativa, si riferisce a regole trascendenti, attribuite ad autorità sovra ordinate, acriticamente assunte come le più morali.
E’ così che l’offensiva ecclesiastica si apre varchi amplissimi e detta la propria agenda per la cosa pubblica, rivolgendosi principalmente contro l’autogoverno di ciascuno sulla propria vita, ponendosi in contrasto con i concetti di libertà e autonomia individuali in nome della trascendenza del potere.
 
Per le donne vi è di più da dire.
Soprattutto in Italia, paese dominato dalle gerarchie cattoliche, le donne nutrono un particolare interesse a che si affermi un ordinamento politico improntato alla laicità.

L’etica laica, infatti, è l’antitesi del modello totalitario, dogmatico, è un momento essenziale del modello pluralista, quello del confronto dialettico con l’altro,  quello delle domande prive di una rigida risposta data a priori, delle risposte sempre provvisorie, evocabili in dubbio, delle verità parziali e sempre confrontabili, aperte alle verità del diverso da sé.

La difesa della laicità, del modello che consente libertà, eguaglianza, pluralismo è interesse precipuo delle donne perché le imposizione delle gerarchie religiose riguardano principalmente la sfera dei rapporti uomo-donna, dei rapporti sessuali, della famiglia tradizionale eterosessuale, a stampo patriarcale (confermata dall’art. 29 della nostra Costituzione). Quelle imposizioni (dette regole su valori etici non negoziabili) si esercitano soprattutto nel comprimere la libertà e l’autodeterminazione femminili.
Il potere religioso cattolico, nella modernità, è modellato sul potere materno, attraverso il culto mariano e il modello (irraggiungibile, ma proposto all’imitazione) della vergine-madre.

La Madonna, elevata dalla Controriforma a cifra della femminilità, maternità virginale e simbolo della chiesa, è il contenitore puro di una gravidanza attribuita a Dio e costituisce il modello che indica a tutte le donne la via della virtù che opera nell’interesse esclusivo del figlio, la madre è il bene del figlio, la maternità una scelta vincolata (L. Accati “Scacco al padre”).
Questa ideologia permea la famiglia eterosessuale patriarcale, idealizzata come rifugio dalle difficoltà, in cui alla donna sono richiesti cura degli altri e sacrificio di sé nell’interesse singolarmente di ogni componente del nucleo e complessivamente dell’istituzione, come via eroica verso la santità.

In questa situazione, il senso della propria dignità di persone e la consapevolezza dei propri diritti sono assai ardui da conseguire e da tenere salde se si viene educate alla dedizione oblativa.
La centralità della responsabilità individuale, che suppone una prioritaria responsabilità verso se stessi come soggetti consapevoli inseriti in un contesto deliberativo pubblico, sfuma nella preponderante, se non esclusiva responsabilità della donna rispetto al figlio, presente o potenziale.
Accade, poi, che quando le autorità del Vaticano disquisiscono con i rappresentanti delle istituzioni statali su questioni come la famiglia, il controllo delle nascite e la fecondazione, si assista ad un dialogo fra uomini dal quale le donne rimangono sostanzialmente escluse. Presenti sulla scena, talvolta, ma marginalmente, come il coro nella tragedia greca, al massimo svolgono il ruolo di commentatrici più o meno avvedute.

Tutto ciò si iscrive nel disegno (non solo della gerarchia cattolica) di esercitare egemonia sul simbolico femminile.
Attualmente, in Italia, attraverso lo slogan della difesa della vita viene attivato un clima da inquisizione moral-teologica che, trovando un antecedente significativo in alcune prescrizioni della legge (compromissoria) sulla interruzione volontaria della gravidanza (194/1978), raggiunge il livello massimo di invasività nella sfera deliberativa femminile con la legge (clericale) sulla procreazione medicalmente assistita (40/2004).

Nel dibattito politico si è assistito ad una gara di inciviltà: da un lato l’aborto parificato all’esecuzione capitale o addirittura al genocidio impunito, dall’altro la priorità conferita alla vita dell’embrione, messa in concorrenza con l’autodeterminazione e la salute della donna.
A ben vedere, il tema si inserisce in una sorta di corto circuito fra pubblico e privato che costituisce la cifra dei tempi attuali.
Si privatizza la sfera pubblica, si sfumano le forme generali della democrazia rappresentativa, si nega la generalità dei servizi sociali, si privatizzano i mezzi di comunicazione e informazione, mentre l’occhio pubblico invade gli individui, controlla e costringe la libertà di scelta di ognuno, fa del concepito e della sua vita materia di pubblico dominio.

Con questa peculiarità, che lo scopo si raggiunge attraverso un uso retrogrado delle credenze religiose, un uso diretto a creare dipendenza e sudditanza soprattutto a carico delle donne, con la pericolosa tendenza a trasferire il dogma religioso nelle leggi dello Stato.
Occorre contrastare questa deriva che, servendosi dell’immaginario religioso, finisce per bloccare la libertà e la crescita democratica; occorre ribadire che nessuna volontà esterna, neppure quella espressa dalla maggioranza o anche dalla totalità dei consociati (governanti inclusi) può soverchiare quella degli interessati; il governo del corpo e della vita appartiene alla libera determinazione di ciascuno.
Quindi, la laicità è dovere e interesse delle donne, agente di civilizzazione della società nel suo complesso perché strumento atto a garantire ognuna/o nell’unicità della sua libertà e responsabilità verso se stessa/o e verso tutti gli altri.

Per questo è necessario mettere a fuoco, anche solo in modo parziale, piste in uscita dalla situazione deprecabile che si è venuta creando.
Una modalità possibile, secondo me, consiste nella valorizzazione della nostra appartenenza alla comunità europea.

Nell’Unione europea, la laicità è stata considerata un valore implicito indiscusso e condiviso, tenuto conto delle valutazioni negative espresse nei documenti ufficiali riguardanti il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, allorché è parso che questo valore fosse messo in discussione.
La questione della laicità è poi stata affrontata esplicitamente in conclusione dei lavori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: in quella occasione sono state respinte le pretese di inserire nel Preambolo il richiamo alle radici religiose della cultura europea e di limitare alcuni diritti, in nome della visione cattolica della società (propugnata da italiani e polacchi).
Al di là della valutazione complessiva sulla Carta, questo è un dato da valorizzare e tenere ben fermo, oggi e in futuro.

Concludendo, il diritto non offre protezione sufficiente nei confronti della pretesa avanzata da istituzioni come la chiesa di indirizzare il corso della storia secondo una verità superiore indiscussa, valida per tutte/i.
Si possono attuare coercitivamente le leggi, ma non le costituzioni, tantomeno i principi impliciti e i presupposti fondamentali delle costituzioni democratiche: esse vivono se vi è un consenso di fondo della società. Se le società impaurite invocano autorità esterne e perdono fiducia nei propri principi, le libertà vengono cancellate.

Solo la cultura, la politica, i conflitti di sesso e di classe possono costruire e difendere modelli di convivenza e istituzioni che il diritto potrà regolare e definire.
Questo compito appartiene a tutte noi.

3-06-2008

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