Regole democratiche sulle rappresentanze sindacali
E se ci autorappresentassimo?

Maria Grazia Campari


L’attualità politico-sindacale mostra aspetti angoscianti di vite sotto ricatto.
La magra partita dello scarso lavoro disponibile impegna i giocatori subalterni in referendum ricattatori imposti sotto minaccia di disoccupazione totale, induce alcune rappresentanze sindacali a sottoscrivere rinunce a diritti- un tempo definiti indisponibili- derivanti da leggi e contratti nazionali. Tutta la complessa materia della rappresentanza, dell’auto rappresentazione dei soggetti, della partecipazione ai vari livelli decisionali è all’ordine del giorno.
La problematica sembra ineludibile, inestricabilmente connessa ai casi FIAT e ai tanti altri meno mediaticamente visibili ma non meno dolorosi.
Si scontano decenni di sottovalutazione e d’inadempienze anche costituzionali (art. 49 Cost.).
Recentemente, però, il sindacato dei lavoratori metalmeccanici aderente alla CGIL ha varato una proposta di legge d’iniziativa popolare: “Regole democratiche sulle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, la rappresentatività delle organizzazioni sindacali, il referendum e l’efficacia dei contratti collettivi di lavoro”.
Le regole proposte sono evidentemente intese a fare ordine sulla materia, già regolata dall’accordo interconfederale sulle rappresentanze sindacali unitarie (RSU), che in un periodo di evidente contrasto fra i sindacati confederali è sottoposto a notevole stress, come le già menzionate vicende degli accordi FIAT bene dimostrano.
Fermo l’apprezzamento per lo spirito dell’iniziativa e scontata la sottoscrizione della proposta, non possono essere sottaciuti alcuni dubbi di merito.
Il primo articolo della legge prevede la possibilità di presentare liste di candidati per le elezioni di rappresentanti aziendali in capo a sindacati rappresentativi e a “realtà associative”. Quest’ultimo concetto presenta qualche ambiguità perché la definizione associativa ben potrebbe alludere alla necessità di una qualche formalizzazione, mentre per una maggiore libertà di partecipazione di lavoratrici e lavoratori alla rappresentanza autorganizzata sarebbe più opportuno fare riferimento a comitati, anche di scopo.
Nella legge, la questione relativa alla elezione dovrebbe essere immediatamente seguita da quella relativa alla possibilità di coordinamento fra le rappresentanze, in caso di pluralità di sedi aziendali. In tal modo si renderebbe inequivoco che tale facoltà di coordinamento spetta per legge a tutte le rappresentanze elette. La diversa collocazione sistematica della previsione sugli organismi di coordinamento, rende meno certa questa possibilità per coloro che –eletti- non appartengano alle tradizionali associazioni sindacali.
Complessivamente, sembra che la formulazione del testo risenta dell’aria dei tempi, usi, cioè, la tecnica legislativa invalsa negli ultimi anni che consiste nell’inserire in unico articolo una pluralità di previsioni, anche fra loro scarsamente coordinate. In questo caso, il primo articolo presenta ben dodici commi e ricomprende regole sostanziali e procedurali, mentre sarebbe opportuna una presentazione in articoli separati e omogenei per argomento, dotati di titolazione, tali da rendersi facilmente comprensibili.
Infatti, una buona prassi richiede che le previsioni di diritto sostanziale siano titolate e accompagnate da regole procedurali, separate e anch’esse chiaramente titolate.
La previsione sulla tutela giudiziaria (art. 1 comma 3) fornisce, a mio parere, una tutela insufficiente poiché dà la possibilità di ricorso al giudizio ordinario, preceduto, per di più, da una fase arbitrale di durata indefinita, mentre sarebbe indispensabile, a fini di giustizia, il ricorso alla procedura d’urgenza, in particolare quella prevista dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.
Altro elemento poco apprezzabile del testo è la previsione di Comitati paritetici deputati alla raccolta e alla comunicazione dei dati elettorali, costituiti presso le Direzioni Provinciali del Lavoro, presieduti dal Direttore e composti da appartenenti agli stessi sindacati che partecipano alla competizione elettorale (art.1 comma 9) poiché si tratta di organismi deputati a rendere giudizi che si presentano privi della necessaria terzietà nella materia sottoposta.
Inoltre, la regola sulla rappresentatività dei sindacati, come formulata, appare piuttosto restrittiva nei confronti delle formazioni non tradizionali perché pone uno sbarramento nella percentuale del 5%, superiore a quella richiesta alle formazioni politiche per l’accesso alla Camera dei Deputati (che la legge elettorale del dicembre 2005 detta “porcellum” prevede al 4%). Sembra quindi più consona al libero gioco democratico e sufficiente a garantire rappresentatività una previsione percentuale del 3%.
Il regolamento elettorale si trova collocato sia nell’art. 5 sia nei commi da 3 a 6 del precedente art. 1 della legge, mentre, per la chiarezza interpretativa, sarebbe stata opportuna l’adozione di articoli appositi. Al merito va detto anche che, contrariamente a quanto previsto, meglio sarebbe stato redigere un regolamento preciso e articolato senza delegarlo al Ministro del Lavoro, affidando così al potere esecutivo il ruolo di legislatore.
Sulla materia della rappresentanza sindacale esistevano da anni varie proposte di legge.
Fra queste, quella formulata dall’associazione femminista Osservatorio sul Lavoro delle Donne nel 1998, allorché era all’esame in Commissione della Camera dei Deputati un testo unificato sulla rappresentanza sindacale, integrativo delle previsioni contenute nello Statuto dei Lavoratori.
Rispetto alle altre, la proposta dell’Osservatorio, presenta, secondo me, il vantaggio di essere orientata dal punto di vista del doppio sguardo, di sesso e di classe.
La rappresentanza e la contrattualità in capo ai soggetti reali, in carne e ossa sono esplicitamente favorite attraverso due distinte ipotesi di liste elettorali per la rappresentanza sindacale aziendale.
Secondo la prima ipotesi, le lavoratrici possono scegliere di concorrere alle elezioni con una lista composta di sole donne, sottoscritta da presentatrici che costituiscano almeno il 3% delle addette all’unità produttiva interessata. La previsione ha un valore simbolico e materiale perché autorizza il confronto e l’elaborazione collettiva delle dirette interessate sulle caratteristiche del lavoro cui sono addette, sulle loro aspettative, sulla necessaria progettualità. Questo è un aspetto  importante come dimostra il recente caso della FIAT di Termoli, ove alcune donne si sono riunite in un Comitato per far valere rivendicazioni e proposte relative alla tipologia del loro lavoro alla catena di montaggio.
Le loro istanze hanno trovato accoglienza presso alcune rappresentanti della FIOM, ma non sfugge che il valore dell’esperienza sta nella presa di parola diretta di chi riesce a rendere parlanti e generalizzabili, per il lavoro di tutte/i, differenti condizioni esistenziali. Queste esistenze dovrebbero avere ogni più ampia possibilità di autrorappresentarsi.
Ovviamente, la proposta di legge riconosce analoga possibilità di lista autonoma anche a gruppi di lavoratori.
La seconda ipotesi di lista elettorale discende dall’applicazione dei principi di eguaglianza contenuti negli articoli 3 e 51 della nostra Costituzione e prevede la formazione di liste comuni di donne e uomini, inseriti in misura proporzionale alla loro presenza nella base elettorale, in ordine alfabetico alternato fra maschi e femmine.
Le liste non rispondenti ai criteri stabiliti possono essere annullate dal Giudice del Lavoro -a richiesta di chi ne abbia interesse giuridicamente rilevante- con decreto che conclude la speciale procedura urgente prevista dall’art. 28 Statuto dei Lavoratori.
Secondo me, la proposta dell’Osservatorio contiene anche una previsione più favorevole all’associazionismo di base poiché colloca lo sbarramento al livello più modesto del 3% degli addetti e prevede esplicitamente l’estensione a elette/i di tutte le tutele previste dai titoli II e III dello Statuto dei Lavoratori.
Un contributo alla correttezza e alla trasparenza dei comportamenti deriva dalle regole analiticamente individuate per i casi in cui siano frapposti ostacoli all’esercizio delle attività elettorali, con il riconoscimento della possibilità di agire nel procedimento d’urgenza avanti il Giudice del Lavoro ai presentatori di lista, oltre che ai sindacati. 
Inoltre, l’articolato prevede il diritto a informazioni dettagliate sui progetti aziendali a breve e medio termine, in armonia con le direttive europee al riguardo.
Quanto alla contrattazione, esso prevede sia la consultazione della base per la formazione di piattaforme, sia la necessità di sottoporre a referendum vincolante le ipotesi di accordo.
L’importanza di questa previsione risulta oggi evidente: la sottoscrizione di accordi ai vari livelli (aziendali, territoriali, nazionali) esce rafforzata dal dibattito e dalla esplicita dichiarazione di volontà dei soggetti coinvolti, ponendo un punto fermo alla diatriba sulla maggiore o minore rappresentatività dei vari attori sindacali. Serve a rafforzare l’autoresponsabilità nelle scelte.
Da ultimo, la proposta di legge è corredata da un regolamento che stabilisce analiticamente la procedura elettorale e i rimedi esperibili in caso d’infrazione.
Il testo proposto è stato, a suo tempo, elaborato e ampiamente discusso da sindacaliste/i della CGIL di Milano, Brescia, Roma.
Ecco un caso in cui, secondo me, avere consapevolezza della propria storia avrebbe potuto fruttare qualche utile acquisizione.

 

lo scritto è un contributo al quarto numero dei Quaderni Viola

 

11-05-2011

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