Le previsioni del Codice Civile Mussolini-Grandi del 1942 (art.143 e seguenti) e quelle del Codice Penale Mussolini-Rocco del 1938 (art. 570 e seguenti) sancivano una struttura famigliare fortemente gerarchica, una moglie soggetta alle decisioni e ai voleri del marito, (insignito di “potestà maritale”), sottoposta ai di lui “mezzi di correzione o di disciplina” morali e materiali, fino a lambire il limite estremo del maltrattamento. Gli abusi erano, poi, sanzionati assai lievemente: con pena fino a sei mesi e, in caso di lesioni, con pena ridotta di un terzo rispetto alla normale previsione edittale. Un’ottica proprietaria e subalterna della donna che consentiva una serie di abusi, non ultimo quello di natura sessuale, presentato come “debito coniugale”, nell’ambito di una concezione assai unilaterale della morale famigliare e del dovere di assistenza imposti per legge. Solo in epoca ancora più recente, con la legge del febbraio 1996 (art. 609 bis e seguenti Cod. Pen.), il reato di stupro è stato rimosso dal titolo del Codice Penale dedicato ai “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”, l’incesto non più crimine contro la “morale famigliare” ma entrambi crimini contro la persona, lesivi della libera disposizione di sé e della autodeteminazione sessuale. Una lenta e non uniforme evoluzione giurisprudenziale ha preso avvio dall’art. 2 della Costituzione repubblicana ed è giunta ad inquadrare la sessualità quale modo di espressione della personalità, da tutelarsi come diritto inviolabile della persona. Inoltre, la giurisprudenza ormai prevalente considera che la violenza sessuale possa avvenire anche fra marito e moglie, non essendo coperta da quello che tradizionalmente si definiva come “debito coniugale”. Non solo l’assenso al rapporto deve essere esplicito, non viziato o estorto con minacce, ma deve considerarsi sempre revocabile anche in relazione alla tipologia del rapporto stesso, per come viene determinandosi. In caso di imposizioni, specialmente se ripetute, alla moglie è stato riconosciuto titolo a richiedere la separazione con addebito al marito e anche il danno esistenziale per gli effetti dannosi subiti nella propria vita quotidiana di persona offesa, sottoposta a patimenti fisici e psichici che hanno impedito lo svolgimento di una vita coniugale serena e informata al principio dell’amore e del rispetto reciproco. Può esserci “Un Giudice a Berlino”, ma va ricercato e sollecitato attentamente, senza timidezze, sostenute dal rispetto di sé.
12-04-2009 |