Doppio sguardo su violenza e spazio pubblico
di Maria Grazia Campari


Le scadenze elettorali italiane ed europee sollecitano qualche pensiero sullo spazio pubblico la cui pratica ha molto a che fare con la violenza sessista.

Il pensiero è anche sostenuto da notizie di stampa e rilevazioni statistiche. Il Sole 24 Ore  (19.5.2009) titola “L’Europa corre dove la donna conta” e annota miglioramenti legislativi in tema di sanità, ambiente, welfare là dove la presenza politica femminile nei ruoli decisionali è più elevata, circostanza che, per un circolo virtuoso, può anche favorire una maggiore presenza femminile in economia.
Anche la Repubblica (“Spunta il valore D così l’azienda crea le sue Mrs manager” 18.5.2009) mette in evidenza come le donne al comando migliorino le performance delle imprese che elevano, sotto la loro leadership, gli indicatori di reddittività, tanto che quattordici grandi aziende (come Fiat, Microsoft, Intesa San Paolo, Ikea ecc.) hanno elaborato un progetto detto “valore D” volto a stimolare la crescita della rappresentanza femminile nei luoghi decisionali.

Allo stato, i dati sulla presenza femminile mettono l’Italia agli ultimi posti nell’Unione europea: vige il monopolio maschile sullo spazio pubblico. Secondo rilevazioni Eurostat le donne rappresentano solo il 4% dei dirigenti apicali nelle aziende e nel Parlamento europeo sono solo il 20% fra gli eletti italiani, contro il minimo previsto del 33%.

Contemporaneamente viene denunciato (non dalla sinistra, ma da una fondazione assai prossima a partiti di destra) il fenomeno del “velinismo”, cioè l’utilizzo che, ai fini di una falsa immagine di rinnovamento degli eleggibili, i massimi preposti alla politica nazionale fanno di uno “stereotipo femminile mortificante” producendo candidature alla rappresentanza istituzionale di giovanette avvenenti gradite al potente di turno.

Ad un primo sguardo il fenomeno appalesa lo svuotamento della democrazia attraverso l’uso distorto e l’appropriazione personale delle istituzioni su cui essa si regge, la cui mancanza la fa collassare come una casa mal costruita alla prima debole scossa di terremoto.

Un secondo sguardo ci porta più in là e provoca una riflessione sulla violenza implicita nella esclusione delle donne dallo spazio pubblico, come condizione predisponente di ogni violenza manifesta: una rapina preventiva di democrazia partecipata, quindi di democrazia, una privazione di spazi essenziali di libertà per la metà del genere umano, quindi per il genere umano nel suo complesso.

Si tratta di una scelta metagiuridica, posta a monte di tutte le scelte che governano lo spazio pubblico, una scelta non dichiarata ma operante con grande forza fattuale che incide negativamente e in profondità nel tessuto dei diritti fondamentali.

Possiamo trovare la controprova nel vissuto quotidiano: come abbiamo spesso ricordato l’ordine patriarcale del discorso e della politica, precludendo lo spazio pubblico, impedisce la compartecipazione ai livelli decisionali alti della polis e determina pesanti ricadute sulla integrità e sulla vita stessa delle donne, autorizzando gesti quotidiani di disvalore fino alla persecuzione violenta di quelle che osano compiere gesti di autonomia non previsti nella gerarchia maschio-femmina.

Rispetto a questo ordine unilaterale e monosessuato si rendono, quindi, necessarie rotture profonde. Si pone essenzialmente un problema di libertà che riguarda il corpo/mente delle donne.

Ma, come chiarisce J. Butler (“La violenza e la politica”) “io rivendico autonomia decisionale sul mio corpo, ma non posso dimenticare che esso è inserito in un contesto sociale, esso è socialmente strutturato nella sfera pubblica, porta in sé la tracce degli altri”, quindi  “essenzialmente per il nostro bene, le forme dominanti di rappresentanzione devono essere infrante in uno spazio pubblico in grado di aprirsi ad un dibattito libero da intimidazioni e censure affinché qualcosa che ha a che fare con la precarietà delle vite abbia agio di esprimersi e possa essere compreso.”
Se non riusciremo a sottrarci alla esclusiva maschile sulla polis saremo incapaci di un uso pubblico efficace del nostro pensiero, destinate ad una tutela perenne: “veline” del pensiero altrui. Ma lo scacco non si fermerà qui perché riguarderà tutti, come si comprende dagli attuali gravi segni premonitori: sarà la sconfitta della democrazia, sovrastata dalla menzogna.

Si può forse tentare una via di uscita. Come primo passo si può modificare il percorso, spezzare l’interdizione, alimentare la partecipazione di una pluralità di soggetti, ristrutturare lo spazio pubblico, occupandosi delle realtà in cui si giocano le nostre esperienze esistenziali.
Questo appare il proposito di due liste che partecipano alla competizione elettorale nei Comuni di Firenze e Bologna.

La lista fiorentina “perUnaltracittà” presenta come candidata sindaca Ornella De Zordo, già consigliera comunale di opposizione nella precedente amministrazione, che vanta una esperienza nata nella pratica politica sul territorio dei Comitati ambientalisti toscani e nel laboratorio fiorentino dei professori animato da Paul Ginsborg e dalla stessa De Zordo.
Il suo programma si costituisce sulle proposte nate nei laboratori politici di base operanti nei vari quartieri della città, prevede percorsi partecipativi attraverso siti internet e materiale cartaceo , assemblee e riunioni decentrate sul territorio.
Ciò che più vale è la pratica politica perseguita nella precedente amministrazione: una pratica di contrasto alle decisioni più negative e verticistiche della precedente giunta, resa possibile dalla informazione e dal dialogo con gli esponenti della cittadinanza attiva. Tant’è che le liste dei candidati formate per quartieri, contengono esponenti di quella esperienza, in gran parte donne.

Il tentativo bolognese è meno noto, anche perché iniziale. Si tratta di una lista (Altracittà) di candidate a sindaca e consiglieri comunali tutte donne, che si propongono un piano partecipativo contro la emarginazione, i pregiudizi e la violenza sessista, omofoba e razzista, l’adozione del bilancio comunale di genere, la lotta alla privatizzazione degli spazi e delle risorse primarie.

Sorge la domanda se si tratti di percorsi immediatamente femministi e la risposta al quesito non può che essere negativa. Va però considerato che si tratta, appunto, di percorsi sui quali sembra opportuno ragionare senza steccati mentali.

In primo luogo la città viene trattata come bene comune, primo passo per una cittadinanza flessibile a contrasto di razzismo e sessismo, nella direzione di una pratica critica verso l’unicità del soggetto ed il conseguente apparato verticistico del potere decisionale sulla sfera pubblica.
Inoltre, il percorso (quello fiorentino, particolarmente) fa leva su organismi associativi di base che molte donne animano delle loro esperienze e dei loro progetti esistenziali. La partecipazione femminile può condurre a passi essenziali verso la riarticolazione degli interessi che si esprimono nella sfera pubblica, per la verifica dei valori che si vogliono introdurre nella società.

Una modalità per darvi efficacia sarebbe quella di intrecciare la pratica politica associativa e istituzionale con la pratica del confronto fra donne in luoghi della politica femminista ove analizzare in presenza le esperienze vissute socialmente per elaborare pensiero originale capace di ridare qualità alla società in cui viviamo.

 

26-05-2009

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