Proposta per un complesso legislativo 
obbligatorio nei Paesi dell'Unione europea

di Maria Grazia Campari

 

Ragioniamo sul che fare della sinistra in un contesto politico allarmante per lo Stato di diritto, cioè per la democrazia. La scena è occupata da violenze eguali e contrarie (stupri e ronde private), é percorsa dal confronto bellicoso fra poteri della Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario). Sullo sfondo il coro ammutolito dei cittadini detti, non casualmente, comuni.

Il collasso della struttura democratica avviene dal proprio interno, con l’apparente rassegnazione come all’inevitabile dei partiti politici un tempo definiti progressisti.

In questo quadro, risulta comprensibile la disaffezione al voto degli elettori genericamente definibili di sinistra, colpiti dalla inefficacia nell’uso di questo diritto (peraltro limitato dalle recenti leggi elettorali) poiché quanto succede mostra l’autoconservazione al potere (politico, istituzionale, mediatico) di apparati che occludono ogni possibilità di cambiamento.

Appare riservata alla cittadinanza democratica nel suo complesso, la sorte che da gran tempo è stata riservata alla cittadinanza femminile: una situazione di illibertà materiale e simbolica che induce l’interiorizzazione di condizioni di subalternità, spinge verso scelte adattative, suggerisce adesione a modelli poco apprezzabili vissuti come inevitabili.

A questo punto, unico percorso possibile per modificare il quadro mi pare l’apertura a soggetti diversi rispetto a quelli che hanno occupato in esclusiva lo spazio pubblico: il fortino politico dovrà lasciarsi percorrere e modificare dagli apporti di chi è stato (tenuto) ai margini. Desideri, progetti, istanze considerate periferiche e poco influenti dovrebbero poter modificare e ricentrare il centro.

Secondo il pensiero di Rosa Luxemburg “Solo una vita fermentante senza impedimenti immagina mille forme nuove, improvvisa, emana forza creatrice... la libertà solo per i seguaci di un governo o per i membri di un partito, per numerosi che possano essere, non è libertà. La libertà è sempre e unicamente la libertà di chi la pensa diversamente” (R.L. “La rivoluzione russa”).

Dal pensiero e dalla pratica politica di alcune femministe immaginiamo un percorso di responsabilizzazione rispetto alle istituzioni europee che verranno, in parte, rinnovate nel prossimo futuro.

Proponiamo che il Parlamento europeo si faccia promotore di un regolamento cogente per tutti gli Stati - del tipo di quello già emanato per la libera circolazione dei lavoratori – che contenga l’obbligo di ogni Stato membro dell’Unione di applicare al proprio interno un complesso normativo composto dalle legislazioni più avanzate già in vigore in uno dei 27 componenti l’Unione. La regola legale dovrebbe riguardare la dignità delle donne e la libertà dalle discriminazioni sessiste, affrontando principalmente le tematiche relative alla libertà di scelta riproduttiva, alla liberazione dalla violenza sessista, alla partecipazione paritaria a tutti i livelli decisionali politici, economici, sociali, culturali.

Si darebbe corpo alle previsioni paritarie della Carta Europea dei diritti fondamentali e al programma paritario progettato dalla Commissione europea, operativo (dal 2006 al 2010), ma, allo stato, invisibile. (1)

Ma c’è di più: il percorso può fornire anche indicazioni ulteriori in termini di diritti individuali e collettivi, ad esempio imporre una agenda di diritti validi per tutti i lavoratori ovunque collocati nel territorio dell’Unione in grado di evitare situazioni di concorrenza al ribasso (social dumping) che la libertà di allocazione di impresa e di migrazione di addetti, in altri termini il prepotere del mercato globalizzato, hanno reso così dolorosamente attuali.
Vi è poi un altro motivo che induce a sottolineare l’importanza di una agenda di diritti agganciata alla nostra appartenenza europea: il valore della laicità assunto dall’Europa quale barriera contro un uso retrogrado delle credenze religiose, volte a creare dipendenza da un monopolio morale vantato da strutture confessionali ademocratiche pervase dalla pericolosa tendenza a trasferire dogmi religiosi nelle leggi dello Stato.

Una deriva di cui soffriamo da gran tempo in Italia, che produce ormai incessantemente leggi anticostituzionali, bloccando quelle agganciate a interpretazioni costituzionali evolutive come la pienezza di diritti per le coppie di fatto di qualunque sesso, l’autodeterminazione riproduttiva e genitoriale, l’ultima e decisiva parola di ciascuno sulla propria vita e morte.

In un mondo globalizzato retto da poteri economici transnazionali spesso feroci, aggrapparsi ai diritti e pretendere la generalizzazione delle loro espressioni più avanzate in termini di garanzie costituisce misura minima di civiltà per la umana convivenza.

 

(1) Clausola proposta: Ogni Stato membro sarà tenuto ad applicare ai suoi cittadini un complesso legislativo composto dalle legislazioni più avanzate già esistenti in uno dei 27 Stati componenti l’Unione. Queste leggi sono destinate e regolare diritti specifici sui seguenti campi: libertà di scelta riproduttiva, educazione sessuale, vita professionale e famigliare, libertà di contrarre matrimonio, garanzie nel campo del lavoro ecc.

 

7-03-2009

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