A proposito di “stalking”. Nota sulla violenza sessista

di Maria Grazia Campari


Roma, 24 novembre 2007

In seguito a svariati tentativi di emanare una legge organica “di sensibilizzazione e prevenzione contro la violenza in famiglia” (disegno di legge del precedente governo), è stato varato dalla Camera dei Deputati il 29 gennaio scorso, l’articolato che prevede il nuovo reato di “stalking” o “atti persecutori”. Come valutarlo?

Per una valutazione sensata, converrà forse allargare lo sguardo, poi svolgere alcune considerazioni di merito.
Il Parlamento europeo (di prossima scadenza che ci accingiamo, forse poco utilmente, a rieleggere) ha stabilito con decisione n. 803/2004/CE, che “la violenza fisica, sessuale e psicologica contro i bambini e le donne, ivi comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata, lede il loro diritto alla vita, alla sicurezza, alla dignità, all’integrità fisica ed emotiva e costituisce una minaccia grave per la salute fisica e psichica delle vittime”. Inoltre, gli effetti di tali atti costituiscono “un’autentica minaccia per la salute e un ostacolo al godimento del diritto a una cittadinanza sicura, libera e giusta”

Anche il Consiglio di Europa ha varato una raccomandazione (5/02) in cui sottolinea che “la violenza maschile contro le donne è il maggior problema strutturale della società che si basa sulla ineguale distribuzione di potere nelle relazioni tra uomo e donna”
La Commissione europea, nella conferenza del 31 gennaio 2009, ha ribadito la necessità di individuare percorsi utili “per eliminare tempestivamente ruoli tradizionali e stereotipi legati al genere, in particolare nei settori della educazione, formazione, cultura”, anche  sostenendo “la partecipazione delle donne all’economia e ai processi decisionali in materia politica”.

L’Unione europea manifesta, quindi, orientamenti tesi ad affrontare  il cuore del problema: la violenza sessista quale manifestazione di abuso derivante da situazioni di  svantaggio sociale e politico a sfavore delle donne.
Essa enuncia anche le coordinate di un percorso promozionale di opportunità e diritti, quale risposta complessa e coinvolgente i pubblici Poteri per l’avvio a soluzione di un problema complesso, non fosse altro che a causa del suo orribile e persistente radicamento nel tessuto sociale.


Come sopra detto, a fronte di ciò il legislatore italiano ha varato, quale dubbio contributo alla risoluzione del problema, il disegno di legge che prevede il nuovo reato di “atti persecutori”, seguendo la logica per cui prima si crea allarme sociale su fatti criminosi, accuratamente decontestualizzati, poi si risponde creando nuove fattispecie di reati generiche, difficilmente costatabili, prive di reale efficacia risolutiva del problema.

Delitti e sanzioni destinate a restare sulla carta come “grida” manzoniane che, però, hanno l’effetto di mistificare e nascondere il fatto che è la famiglia della tradizione religiosa cristiano-cattolica il luogo privilegiato ove si origina e si coltiva la svalutazione umana e la violenza sessista contro le donne. Che di lì si propaga a livello di gruppo sociale, di Regione e di Stato.
Un ordine discorsivo e politico-sociale che, attraverso un uso retrogado della cultura e della religione, nega l’autogoverno laico della vita e della morte, avvolgendo soprattutto le donne in una rete stretta intessuta di nodi autoritari.

Quella sullo “stalking” si presenta come una previsione legislativa che rende protagonista, una volta di più, il carnefice, previsione che nulla dispone in favore della vittima, neppure di colei che è destinata a subire ripetutamente le aggressioni, che non contiene strumenti di riparo, di cura, di sollievo dall’angoscia, di un possibile percorso di emancipazione dal dolore e dal bisogno materiale e psicologico...


Sotto il medesimo cielo euromediterraneo, la cattolicissima Spagna ha varato, con ben maggiore serietà ed efficacia, la “Legge organica sulle misure di protezione contro la violenza di genere” (n.1/2004) che riconosce la violenza - anche quando abbia luogo fra le mura domestiche - come problema sociale di cui i Poteri pubblici devono farsi carico per prevenire e porre rimedio attraverso sistemi adeguati, non limitandosi ad inasprire le pene. In questa ottica è stato predisposto un intervento integrato e multidisciplinare che deriva dal fatto di considerare quale origine delle violenza sessista la discriminazione della donna nella società, ciò che consente l’adozione di trattamenti differenziati per sesso.

E’ stato varato un piano nazionale di acculturamento e sensibilizzazione rivolto a tutti ed è previsto un monitoraggio sull’osservaza e l’applicazione concreta della legge mediante apposita Commissione del Consiglio dei Ministri, per la metà formato da donne, che rivedono annualmente le provvidenze necessarie.

Inoltre, poichè il fenomeno della violenza in famiglia è differenziato (solo per il 2% è commessa da donne), anche il trattamento legale è differenziato.
Quindi, la legge da valore all’inizio della violenza e colpisce più gravemente l’uomo che la donna; ad esempio, minacce anche lievi da parte dell’uomo costituiscono delitto ed è prevista la tutela immediata della vittima: nel termine di 72 ore dalla denuncia il giudice deve emettere un ordine di allontanamento dell’aggressore . Altro che ammonimento del questore con la possibilità di tenere armi a portata di mano, come per la legge italiana.

La legge spagnola prevede inoltre il diritto a prestazioni di sostegno formativo e lavorativo per le donne non autonome.
Il messagio alle istituzioni è che esse devono assumere ruoli attivi e responsabili anche nella acculturazione: nella lotta contro i pregiudizi prevede lezioni inidividuali e collettive per disimparare l’educazione famigliare trasmessa dalla famiglia patriarcale;
la sottomissione agli uomini, la sopportazionbe delle violenze e la devozione alla Chiesa non son più moneta corrente. Al senso di colpa la vittima impara  a sostituire la coscienza del proprio valore e la responsabilità per divenire cittadina a pieno titolo.

A tal fine una legislazione complessiva prevede che i partiti politici debbano avviare azioni positive per aumentare la presenza di donne in ruoli decisionali; che sia obbligatoria la presenza di una percentuale dal 40 al 60 per cento di donne nelle liste elettorali, ciò a seguito della riforma elettorale e del codice di parità varato nel 2007.

Le leggi cambiano la vita, quindi vanno fatte secondo criterii equanimi e monitorate costantemente nella loro effettività e applicazione.

 

9-03-2009

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