FILOMENA, LA RETE DELLE DONNE:
APERTURA : “VERSO IL MANIFESTO SUL CORPO” Si entra subito in medias res: la moderatrice apre la giornata leggendo l’introduzione del libro di Brigitte Gresy, Petit traité contre le sexisme ordinarie, con l’intento di dare il tono alla giornata ed il benvenuto ai partecipanti. Si spiegano in poche battute le ragioni dell’incontro, e si propone la cifra di partecipazione - attiva ed orizzontale - alle persone presenti. Qui, esperienza e competenza pari sono. Con questa idea si è voluto proporre la presenza di coloro che avranno la funzione di istigare ed attivare il dibattito. Paola Caridi racconta come è nata la Rete delle donne che si riconoscono in Filomena. Tutto è cominciato con una mail mandata una domenica mattina di ottobre, sulla spinta del disagio interiore: “Ho sentito un diffuso senso di malessere di fronte alla situazione attuale, la mancanza di continuità rispetto alle cose che erano state ottenute in passato e la necessità di proseguire il percorso iniziato nel passato. Poi mi sono posta il problema delle prossime generazioni. Ho pensato che c’era un linguaggio che non abbiamo trasmesso. E partendo da queste idee ho mandato una mail ai miei contatti: ho ricevuto decine di risposte, è stato come se si fosse aperto uno spiraglio, si fosse rotta una diga”. Occorreva insomma risollevarsi dal silenzio, ma anche dalla piaga degli appelli, che sono una forma di lamentazione. Dall’imbeccata di una, la comune volontà di dialogo ha trovato un luogo ed una modalità di espressione. E’ sgorgato il desiderio collettivo di dare forma, fuori dai propri circuiti privati, alla solitudine. Di mettere in comune le rispettive esperienze, ma anche le competenze, per uscire dal buio. In questo modo è nata la rete, composita per età, storie, ambientazioni. Da pochi giorni essa si è data un nome, FILOMENA. Il suo scopo è creare una nuova cultura femminile, in una battaglia che non è “contro” ma “per” un futuro basato sull’uguaglianza. Serve rifondare un vocabolario che sia semplice, comprensibile e non autoreferenziale. Serve parlare alle donne e delle donne italiane schiacciate dalla loro rappresentazione mediatica, che rimanda un’immagine dell’Italia femminile praticamente inesistente. E’ Francesca Caferri a spiegare le origini del nome Filomena. Da Filomena Marturano, e dall’attualità della forza che il personaggio trasmette. Dall’idea dei fili: verso il passato, verso il futuro. Dai versi di Dante e Petrarca. Dal mito greco della giovane donna violentata che reagisce e si vendica. Da Filomena di Roma, santa delle cause impossibili. Dalla volontà di essere semplici, popolari, originali ma immediate. Silvia Di Benedetto, studentessa, prende la parola per dire le ragioni del suo legame con Filomena: “Vorrei raccontarvi della rabbia dei giovani di fronte a certe situazioni e allo stesso tempo della sensazione di non riuscire a fare nulla di concreto. Questa volta mi pare che ci sia un riscontro di speranza realizzata “in piccolo”, a rompere la delusione silenziosa che rende noi giovani apatici. In questa realtà anche io posso dire qualcosa: quando sono arrivata alla prima riunione non sapevo cosa dire, non avevo l’esperienza delle altre. Però ho parlato e basta. Le parole sono uscite naturali, e non per desiderio di contrapposizione”. Silvia racconta il disagio dei giovani, il loro malessere comune e l’abitudine della TV accesa non per interesse, ma per noia. “C’è solo quel modello lì. Stai lì davanti allo schermo per rilassarti e rimani incastrato in una ragnatela zuccherina”. Non dobbiamo dimenticare che i giovani assenti qui oggi non sono diversi da Silvia. Magari non vedono, non sanno, non pensano che sia possibile cambiare. È difficile che i giovani si avvicinino a cause che non esistono ancora, nella loro mente: per questo c’è bisogno di continuare a dirle certe cose, di ripeterle ancora e ancora. Dibattito: Giovanna Cosenza, semiologa e docente dell’Università di Bologna, illustra – sulla base di uno studio svolto di recente a Bologna – che una delle cause che tiene lontano dalle questioni di genere è la cattiva connotazione della parola “femminista” (aggressività, incapacità di dialogo, repressione). Occorre dunque tartassare, ripetere appunto: seguire la logica della comunicazione di massa che è, appunto, di massa: quantità. Per far ciò servono soldi e rete, come nel mondo della pubblicità. Giovanna Fiume di Palermo fa riferimento allo spaesamento ed alla estraneità nei confronti di una coltura politica sia di destra che di sinistra. Si sono chiusi gli spazi che si erano aperti in precedenza. Tuttavia, la questione sollevata dell’identità italiana di Filomena è un problema nella cultura politica di questo paese, che ha spesso usato una certa immagine di donna – la donna come forza anti-istituzionale, la donna con il seno nudo per l’allattamento – che ben si è sposata poi con le teorie nazionaliste.Negli interventi successivi, Renata Pepicelli difende invece l’identità italiana, dicendo che essa deriva dalla particolare visione delle donne in questa particolare situazione. Antonella Maggio dal canto suo mette in evidenza come si dovrebbe smettere di parlare di pari opportunità, per usare invece il concetto di equità. 1° SESSIONE : DONNE & LAVORO La questione del lavoro è la questione delle donne nel nostro paese, lo dice a chiare lettere Simona Sala aprendo questa sessione dei lavori. Quando c’è meno occupazione femminile, c’è meno spazio di libertà per le donne, esordisce Valeria Fedeli, segretaria generale del sindacato dei tessili della Cgil (Filtea). L’Italia, negli anni passati, era il paese che forse meglio aveva incrociato le politiche europee con quelle di attuazione della Costituzione, e questa è una vittoria da attribuirsi in larga parte anche al movimento femminista. Oggi, il settore tessile propone meglio di qualunque altro il paradigma delle contraddizioni che attraversano la globalizzazione, laddove la crisi economica fa deflagrare in Italia la mancanza di politiche per le donne. Lo scriveva un anno e mezzo fa il Times che l’Italia era un paese a cultura familistica forte (la cura complessiva grava sulle donne), in cui le donne si sono sempre comunque collocate in ambiti professionali “riservati”: questo, oggi, è uno dei motivi dell’arretramento economico dell’Italia . Il lavoro delle donne serve a far uscire dalla crisi, è una priorità per lo sviluppo e la crescita del paese. L’Italia era già il penultimo paese in Europa per occupazione femminile – scenario che la dice lunga sull’arretratezza italiana – adesso si assiste ad un’ulteriore regressione in merito all’idea che le donne possano essere la carta vincente per risolvere il contesto attuale. Alla forte compressione da parte delle imprese nell’assunzione di donne corrisponde, spesso, un atteggiamento passivo: è più facile mandare a casa le donne piuttosto che gli uomini. Esiste poi un problema di dialogo, perché non si parla alle donne operaie come nemmeno alle donne professioniste. Bisogna combattere la cultura della neutralità, che si traduce in negazione della differenza di genere. “Il lavoro è l’asse determinante per le donne, per il quale occorre sì consapevolezza ma anche alleanza. Le donne devono quindi uscire dalla loro passività: serve all’economia, serve alla cultura della società, serve agli uomini; è una priorità per tutti”. La giovane economista Camilla Landi racconta come sia relativamente facile e parificato l’accesso alla professione iniziale. Dopo qualche tempo però è inevitabile confrontarsi con i grossi nodi derivanti dal “problema di essere donna” : le donne devono dimostrare molto di più. Nel corso di un colloquio lavorativo mentre ad una donna vengono chiesti i propri programmi familiari, ad un uomo questo non accade. È molto radicato il pregiudizio che le donne non sappiano gestire il lavoro degli altri. Spesso, purtroppo, si assiste ad una mascolinizzazione della donna che avendo lottato tanto per raggiungere la propria realizzazione assimila e ripropone i comportamenti dell’uomo. L’Italia è l’unico paese della UE con il tasso di occupazione del 47% nel 2008, a fronte della media europea del 59,1%, e l’obiettivo fissato dal trattato di Lisbona che stabilisce la soglia del 60% entro il 2010. In Italia, una donna con istruzione superiore su 4 non lavora. La maternità corrisponde ad una regressione in tutti i paesi, ma non così tanto come in Italia. Il part time riveste il 30% della tipologia lavorativa e non è percepito come un lavoro di qualità. In Italia, le posizioni manageriali restano appannaggio degli uomini anche in settori di lavoro che sono tradizionalmente femminili (come la scuola). Non è quindi solo il full time a prevalere, domina una logica di full full time! Seguono gli interventi dal pubblico. Tiziana Guerrisi si presenta come donna-giovane-precaria e racconta la sua storia di giornalista cui viene richiesto, in quanto donna, “la capacità di stare al proprio posto”, e su cui si esercita, con tali meccanismi comportamentali, un controllo indotto. L’intraprendenza, lo spirito di iniziativa, la voglia di fare e di relazionarsi agli altri per creare un clima di serenità nel posto di lavoro, apprezzata dai capi per i colleghi maschi, si trasforma nel caso di lei donna nella percezione diffusa di trovarsi di fronte ad una persona ingenua, o sconsiderata nel peggiore dei casi. Insomma,un’arrogante. Tiziana racconta la propria storia di resistenza sottile, che però appare come una forma viziata della propria capacità di rendita. Seguono gli interventi di Floriana Lenti, giornalista precaria spremuta anche lei in un’organizzazione in cui le donne formano l’asse portante, ma il leader è un uomo, senza discussione. La rappresentante di Pari o Dispare – un gruppo emancipatorio nato alla fine del 2009 da alcune donne imprenditrici e giovani donne – rammenta la nascita, nel 1969, dell’associazione “Aspettare Stanca”, che puntava allora ad una interpretazione costituzionale della apertura a tutto tondo delle carriere professionali alle donne nel pubblico. Ricorda anche Valeria Fedeli questo collegamento stretto e cruciale con l’art. 3 della Costituzione, soprattutto il secondo comma che rivendica la attuazione di politiche adeguate. Viviana Simonelli dal canto suo parla di cultura, e della capacità di usare – oggi –gli strumenti che pure esistono. Ad esempio, gli esoneri dal lavoro per la paternità, che nessun uomo utilizza. In Finlandia i congedi parentali maschili sono stati resi obbligatori per gli uomini, ribatte la Fedeli, mica sono necessariamente migliori i maschi finlandesi. Eppure in questo modo si è formata la cultura dell’esonero per la paternità, a fronte di una reazione iniziale recalcitrante. Barbara Mangiapane rileva come sia difficile immaginare un cambiamento radicale della situazione finché si continuerà a pensare ed agire su modelli organizzativi maschili, indossando il doppiopetto e non il nostro abito. Michela Michilli, a proposito di abiti, racconta come la sua esperienza di ruoli di responsabilità le abbia fatto riporre il tailleur in favore di abiti femminili, così disimparando a comandare come un uomo e assumendo stili di leadership femminili. Simona Lanzoni dell’associazione Pangea riporta il paradosso esistente in economia: le donne – che realizzano normalmente imprese economiche più produttive e solide rispetto all’analogo maschile – vengono etichettate dalle banche con indici di anomalia, ragion per cui i finanziamenti alle donne hanno tassi di interesse più elevati. Un assoluto controsenso. 2° SESSIONE : IMMAGINE Polimorfica, tendenziosa: l’immagine dominante della donna si intreccia con il profilo ancora tenue di Filomena. La radiografia dell’esistente si incrocia con l’anatomia di ciò che desideriamo essere. Renata Pepicelli lancia Filomena “dai molti corpi e dalle molte immagini “. In effetti, Giovanna Cosenza parla di ben quindici generi, anche se svolge la sua indagine semiotica sui tre primari: uomo/donna/omosessuale. Attraverso alcuni esempi di pubblicità, diversificati per potere di impatto mediatico, decodifica il messaggio subliminale che attribuisce all’uomo un principio identitario negato alla donna, ridotta a puro oggetto del desiderio, a creatura senza ruolo senza età senza professione senza pelle, col corpo dipinto e manipolato: “Come torna a casa la donna che è stata dipinta a manipolata tutto il giorno? - si chiede la semiologa - il set pubblicitario è paragonabile ad un set porno”. Lo stereotipo esprime la tragedia del letteralismo, che porta solo violenza e coercizione, l’identità è invece il risultato di un processo di conoscenza e di partecipazione. E’ questa la sintesi che viene fuori da molti interventi, che affrontano in maniera anche vivace la questione del velo e dell’infibulazione come tratti identitari. Tra le tra le altre, parla Giovanna Fiume, che racconta una storia ambientata nel 1515, e cita una bella immagine dell’Africa fatta da Leone l’Africano, un diplomatico marocchino: “Parlò dei pesci volanti che non sono né pesci né uccelli ma sono appunto la nuova specie. L’identità non è un fatto, è un processo di costruzione a cui partecipano i soggetti… L’identità ci cambia…O siamo disposte a mettere in discussione la nostra identità, oppure non la comprenderemo mai chi siamo. Il nostro compito è quello di aspirare a diventare dei pesci volanti”. Dopo aver ascoltato le relazioni delle altre donne, la moderatrice conclude che la direzione sta nell’ibridismo. Occorre ripensare, scardinare, sovvertire l’identità. L’identità è trasformazione. Lo spaesamento di cui abbiamo tanto parlato può assumere anche una valenza creativa e positiva. Una cosa è l’essere dominate e parlate, altra cosa è scegliere di accompagnarci, per esempio, alle donne migranti, per fare insieme una battaglia che sconquassa e mescola la questione dei generi e dei ruoli. Una cosa il disorientamento, altra cosa lo spaesamento creativo, la rinuncia al ruolo e al genere statico. 3° SESSIONE : I TEMPI Adriana Correa Machado, segretaria della “Città delle Mamme”, condivide l’efficace ed emozionante racconto personale sul tempo legato alla presenza della figlia, e dei suoi ritmi legati alla non cognizione del tempo. Dal contraddittorio vissuto di questa esperienza è nato il progetto, già diffuso in altri paesi, della Città delle Mamme – la possibilità per le mamme in fase di allattamento di incontrarsi per vedere insieme film di prima visione accanto ai loro piccoli. Antonella Maggio, pedagogista, racconta la inesistenza degli asili nido e delle scuole a tempo pieno in Sicilia, associata alla idea che le donne debbano occuparsi della cura dei bambini. 4° SESSIONE : OBIETTIVI E METODI DI LAVORO Donatella Ferrante apre la sessione con alcune domande rivolte alle due speakers, in realtà rivolte a tutte le persone partecipanti:
Viviana spiega come l’evento intenda proporsi come una dichiarazione di esistenza di FILOMENA. La conferenza, che sarebbe desiderabile spostare realisticamente a dopo l’estate, deve essere un momento per lanciare nuove azioni. Laboratori, piccoli progetti pilota di monitoraggio e di azione in ambiti come le scuole e le università. Si tratta di lanciare le problematiche nei luoghi significativi, essenziali per il lavoro e l’agire futuro di FILOMENA. Occorre mettere in campo attività concrete, anche di studio e di ricerca dal basso, che sappiano mobilitare le donne e renderle protagoniste dell’acquisizione di nuovi saperi. Paola Caridi mette i evidenza come forse il lavoro andrà sviluppato sui due macrotemi:
La modalità di comunicazione – quali che siano le scelte tematiche, i contenuti – dovrà passare però attraverso il racconto. Serve lavorare duro in questo senso. Serve anche a passare esperienze, stanare dall’isolamento, suscitare emozioni. Si citano a proposito una serie di iniziative cui FILOMENA potrebbe partecipare nei prossimi mesi. Ad esempio, il SUQ di Genova a giugno. Poi altre iniziative territoriali come il Festival della Letteratura di Mantova. Alla fine di tutto questo lavorio sul territorio serve però quello che è stato chiamato dall’inizio un nuovo patto, una serie di rivendicazioni non negoziabili con la politica italiana, ed europea. L’intervento sollecita la proposta di mettere FILOMENA in diretto contatto ed interazione con la rete delle associazioni che – anche in Italia – stanno lavorando sulla Convenzione per la Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione contro le Donne del 1979 (CEDAW), spesso descritta come il diritto internazionale delle donne. Simona Lanzoni presenta le attività legate a questa battaglia in Italia, nonché alcune specifiche iniziative previste nel mese di maggio (precisamente il 3 maggio ci sarà una giornata dedicata a CEDAW e comunicazione: per saperne di più, vale la pena consultare www.womeninnet.org). Si propongono alcune piste operative. Adriana Machado punta alla dignità della maternità, ed alla sua inclusione a tutto tondo nella vita della donna, che deve assumere un ruolo importante in quanto madre. Paola Ferrara propone forme di resistenza zen, sul piano individuale, ma associate ad attività collettive come lo sciopero delle donne – vedasi lo sciopero degli immigrati il 1 marzo 2010. Si discute a lungo su forme di mobilitazione creativa che potrebbero essere prese in considerazione, ed attuate soprattutto – ma non solo – dalle donne più giovani (flesh mob, ed altre forme di comunicazione virale). CONCLUSIONI Senza nessun intento di esaustività, queste sono alcune delle conclusioni più rilevanti da portare a casa, e sulle quali continuare a ragionare nei prossimi appuntamenti e nei gruppi di lavoro:
“Ci siamo fatte un grande dono oggi. Non ne disperdiamo la bellezza, e l’energia positiva che ha prodotto. GRAZIE!”
24-04-2010 |