Nel mondo fantastico delle sciamane

di Cristina Carpinelli

“Come sciamana sono obbligata dagli Dei ad aiutare gli uomini e a questo scopo ho ricevuto il dono della visione, la possibilità di comunicare con gli Spiriti e la capacità di curare” (N. Stepanova)

 

Nadia Stepanova è una sciamana siberiana. È nata in Burjatija, una regione centro-meridionale della Siberia, situata lungo la costa orientale del Lago Bajkal. Dopo la rivoluzione russa del 1917, questa regione fu annessa all’Urss. Oggi è una repubblica della Federazione russa. Nel corso della II Guerra Mondiale, i burjati combatterono a fianco dell’Armata Rossa. Si raccontano molte leggende sui soldati burjati protetti in battaglia dagli sciamani. Nadia Stepanova, ad esempio, ha raccontato una di queste storie: “Uno dei miei zii fu mandato in guerra e un giorno si trovò nel bel mezzo di un bombardamento. La battaglia infuriava, tutti morivano, attorno a lui c’era una polvere terribile che oscurava la vista. Ad un certo punto sentì il nitrito di un cavallo e di fronte a sé vide un cavaliere celestiale che gli indicava la via. Ebbe salva la vita. Presto si diffuse la voce presso l’esercito russo del ‘cavaliere blu’, che aveva salvato la vita al soldato della divisione burjata”.

I burjati credono nell’esistenza di un pantheon sciamanico composto dall’Eterno Cielo Blu e da 99 Tengri (Divinità) suddivisi in 44 Orientali malevoli e 55 Occidentali benevoli. Essi venerano, inoltre, le 13 Divinità Settentrionali della Terra, la Madre Terra, i Sacri Spiriti del Fuoco, gli Spiriti degli antenati e gli Spiriti locali che proteggono ogni luogo naturale come i potenti Spiriti delle montagne e gli Spiriti delle acque protettori dei fiumi, dei laghi e dei mari. La tradizione rituale burjata è ricca di cerimoniali (Taylagan) compiuti per onorare gli Spiriti della natura. I riti sono effettuati in precisi momenti dell’anno; ad esempio, in primavera, in corrispondenza della rinascita della vita per richiamare il favore degli Dei. Talvolta, durante un Taylagan, gli sciamani praticano un sacrificio rituale di un montone, una capra o di un altro animale secondo il clan e la ragione per cui la cerimonia si sta svolgendo. Oppure, gli anziani, nel loro ruolo di capo clan, donano allo sciamano officiante latte fermentato di cavalla che viene offerto agli Dei. In Burjatija ci sono circa 11 tribù da cui discendono i clan che compongono il popolo burjata. Il clan degli Abzey, di cui fa parte la Stepanova, appartiene alla tribù Echirit. I suoi protettori sono Spiriti che si manifestano come cavalli celestiali. Nadia Stepanova all’inizio di ogni rituale si rivolge sempre a queste creature. E così si comporta ogni sciamano di questa antica terra posta sulle sponde del ‘mare sacro’ (il lago Bajkal). Il nome della Siberia deriva dal mongolo ‘siber’ (terra pura) e dal tartaro ‘sibir’ che significa ‘terra addormentata’. Un vero e proprio paese delle meraviglie, solcato da grandi catene montuose, colline d’oro e fiumi possenti, caleidoscopio di razze, etnie, religioni, tradizioni, e luogo d’origine dello sciamanesimo. Il cuore della (pura) terra addormentata è il lago Bajkal, comunemente chiamato dai popoli dell’area siberiana ‘mare’ per la sua grande estensione. Le sue onde increspate, le sponde sabbiose, l’energia potente che emana, fanno pensare alla forza impetuosa e sempre in movimento del mare, piuttosto che alle acque calme ed immobili di un lago. È venerato dalle tribù siberiane: “Riflettendosi sulla superficie delle sue acque si può leggere il proprio destino”.

Sin dai primi anni di vita, la Stepanova ha manifestato il dono di ‘vedere’ gli Spiriti e gli Dei. Ma solo dagli anni ‘80 Nadia Stepanova ha accettato di diventare sciamana. Oggi é una delle figure femminili più importanti dello sciamanesimo burjata. Ogni sciamano burjata si considera erede del patrimonio spirituale dei propri padri, per cui il suo ruolo, nel rispetto della tradizione, è quello di onorare gli Spiriti protettori della Terra, benedicendo i luoghi, i clan e le famiglie, affinché i figli siano pronti e degni di abitare la terra dei propri avi. Ecco perché per la Stepanova praticare lo sciamanesimo significa riconoscere gli antenati, che sono le radici spirituali dei popoli. Bisogna riconciliarsi con loro ed onorarli, poiché intercedono per noi nel mondo delle Divinità. Fare lo sciamano vuol dire, inoltre, rendere consapevole l’individuo delle sue potenzialità di guaritore: “Far emergere dal velo dei secoli il guaritore che c’è in noi, attraverso un viaggio interiore, per andare al di là della nostra quotidianità, dei nostri limiti e delle nostre insicurezze” e, nello stesso tempo, prendersi cura delle persone: “È molto facile curare una persona, dice la Stepanova, quando la sua anima é aperta e piena di gentilezza, perché avviene un miracolo. La sua stessa bontà ritorna a lei come il riflesso di uno specchio”. Purtroppo, aggiunge, “negli ultimi anni c’é stato un tentativo di separare l’individuo dalla sua spiritualità e, di conseguenza, molte persone hanno perso la propria anima”.
Savoniha è una ‘vecchia credente’ di 95 anni, che vive nel cuore della Siberia centro-meridionale indicata sulla mappa come la repubblica autonoma degli Altaj. Qui, oltre tre secoli fa, trovarono rifugio gran parte dei ‘vecchi credenti’ (starovery), che alla fine del Seicento non accettarono la riforma liturgica del Patriarca di Mosca Nikon e furono, perciò, perseguitati come scismatici dagli zar e dalle autorità ecclesiastiche. Alcuni loro discendenti abitano ancora questa landa dalla bellezza incontaminata.

Savoniha è stata testimone della campagna antireligiosa di Stalin durante la quale perse suo padre, uno dei principali rappresentanti dei ‘vecchi credenti’ siberiani. Ma, come dice lei stessa, ha potuto guarire la sua anima ferita attraverso il perdono: “Il perdono mi ha permesso di godere dell’autunno della mia vita. I1 perdono non é semplicemente una parola, una preghiera che si pronuncia con le labbra, ma é qualcosa che si deve interiormente acquisire. Il perdono mi ha resa libera: ogni cosa ha preso una forma meno distinta, ogni pensiero é divenuto più leggero e, passando dal cuore, non ferisce più i miei sentimenti. (…) Dobbiamo essere tutti buoni e non trascurare gli altri. Dobbiamo imparare a scusarci con il nostro prossimo e a servire la vita così come si presenta. Inviare amore incondizionato, perché l’amore è la forza più potente. I profeti hanno detto il vero: dov’é il paradiso? Questo é il nostro paradiso!”.

Vera Sajina, Baazan Tulushovna e Ai-Tchourek Ojun (Cuore di Luna) sono sciamane di Tuva, un’antica terra che si estende dalla gelida foresta siberiana alla Mongolia. Esse sono depositarie degli antichi insegnamenti che per secoli hanno scandito la vita nella taiga siberiana. Tuva è, infatti, una regione di sciamani e cantori che fanno uso degli armonici del suono. L’alta catena montuosa del Sajan la protegge mantenendola pura e selvaggia. I tuvini amano la natura e vivono in armonia con essa, temendo l’ira dei potenti spiriti delle montagne.

Dice Ai-Tchourek: “Per entrare in contatto con gli spiriti delle montagne e per fare loro piacere cantiamo alla maniera tradizionale usando gli armonici; le nostre melodie sono nate contemplando la vita, i suoni della natura, il canto degli uccelli, il fischio del vento nella steppa, le correnti che passano per le gole di montagna”. “Da quando ho accettato il mio destino di sciamana, afferma ‘Cuore di Luna’, gli spiriti dei miei antenati mi hanno insegnato l’origine cosmica dell’uomo e della natura, e mi hanno parlato di nostro padre l’Eterno Cielo Blu e di nostra Madre Terra. Dedico la mia vita al popolo gentile di Tuva che vede in me una poetessa e una sacerdotessa, una guaritrice e un’indovina, una maestra e un’amica, ma sopratutto vede in me il legame tra l’uomo e Dio”.
Ancora bambina, ‘Cuore di Luna’, che appartiene alla stirpe Deer Ukttut Cham Yzyguurlut Calama, sente i racconti di pietre antichissime, ode i messaggi che le invia il vento e si perde nei tramonti del sole. Sono il disvelarsi di antichi segni della forza sciamanica. Anche la madre è una discendente degli sciamani celestiali. Gli sciamani di Tuva hanno lignaggi diversi: ci sono gli sciamani celestiali, che provengono dalle sirene della steppa o della tajga, ci sono gli sciamani delle acque e quelli che si accostano agli spiriti dei demoni per conoscere la sorte delle anime dei morti. Tutti loro hanno un compito comune: aiutare le persone. Per fare ciò si servono del linguaggio segreto degli animali, del canto diafonico ‘khoomei’, del tamburo e del viaggio estatico, della fumigazione con il ginepro della tajga ‘artish’. All’inizio degli anni ‘90, Ai-Tchourek Ojun, dopo un periodo trascorso lontano dalla sua terra natia, ritorna a Tuva, dove viene riconosciuta come grande sciamana dal suo popolo. Lavora instancabilmente alla Dungur Society (Dungur è il tamburo sciamanico) di Kyzyl (capitale della repubblica tuvina) per portare aiuto ai malati, raccoglie attorno a sé un gruppo di giovani e percorre in lungo e in largo il paese per contribuire alla rinascita dello sciamanesimo tuvino. Di villaggio in villaggio, ricostituisce i legami con gli Spiriti padroni dei luoghi, innalza, infaticabile, delle ovaa (altari sciamanici) consacrate agli Spiriti della Terra ed, infine, interpreta il futuro attraverso i Kuvaanak, un antico metodo di divinazione tuvina basato sulla lettura di 41 pietre cariche del magnetismo che deriva loro dalla Madre Terra.
 

Articolo segnalato su www.noidonne.org


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