Ombre in fuga nell'intrico della giungla
«In Amazzonia» Un reportage di Azzurra Carpo dedicato a uno dei pochi angoli ancora inesplorati del pianeta

di Laura Pugno


Riserva Envira, Brasile, Amazzonia. Il villaggio di Nova Betania, del popolo indio dell'etnia Kaxinawa. Lungo un sentiero vicino al Río Envira, da cui l'enclave prende il nome, il giovane Nemesio Isaac scopre che qualcuno ha lasciato «in bella mostra dei rami tagliati. E parecchie incisioni sulla corteccia di un albero. Incisioni di asce di pietra». È il segnale della presenza dei masko-piro, ultima (o forse, chissà, penultima) tribù «non contattata» della foresta amazzonica. «Ci fermiamo ad osservare per pochi attimi, in silenzio, il misterioso segnale dei masko-piro. Ritorniamo subito alla barca. Quando stiamo per ripartire, Nemesio Isaac balza a terra: "Un attimo, torno subito" e sparisce nella foresta. Ricompare dopo qualche minuto, a torso nudo, senza la maglietta bianca».

La voce narrante è di Azzurra Carpo, autrice di In Amazzonia, reportage che, dopo avere vinto nel 2003 il Premio Italo Calvino intitolato a Paola Biocca, è stato pubblicato nel 2006 da Feltrinelli Traveller, e i masko-piro - ombre più chiare tra le ombre scure della foresta amazzonica, delle tante Amazzonie diverse che si snodano al confine tra Brasile, Perù, Colombia, Ecuador, Venezuela, Guiana francese, Guyana inglese, Suriname - sono la più misteriosa, la più affascinante e la più vulnerabile (ai colpi di fucile dei tagliatori illegali di mogano, alla devastazione del loro habitat, agli anche bene intenzionati tentativi di contatto come quello messo in pratica da tanti Nemesio Isaac ogni giorno con la strategia del dono) delle molte presenze che abitano questo «saggio con tentazioni di racconto», come lo definisce Maurizio Chierici nella prefazione.

Intorno a questi irriducibili nomadi, che non si manifestano ai «contattati» se non per rubare pentole e vestiti, c'è tutta l'Amazzonia: multietnica, predata, vittima di politiche di sfruttamento selvaggio, ma allo stesso tempo decisa a difendersi anche con i mezzi totalmente contemporanei della modernità, se sulla Carretera Interoceànica, «che parte dalle coste dell'Oceano Atlantico, attraversa tutto il Brasile e solca l'ultima foresta primaria dell'Amazzonia peruviana, per poi innestarsi sulle grandi arterie andine e raggiungere l'Oceano Pacifico e i mercati dell'Oriente» - la strada apportatrice di merci e comunicazioni, ma anche devastazioni e pericoli su cui si snoda il viaggio e il libro di Azzurra Carpo - «ci sono indigeni che navigano in Internet» o animano una rete pulsante di radiotrasmittenti, e che imparano a far convivere il complesso del loro sapere ancestrale con le conoscenze occidentali necessarie a combattere le proprie battaglie in e contro l'Occidente.

«Si dice che i masko-piro passino di notte da un lato all'altro della frontiera Brasile-Perù. Li hanno intravisti da lontano, ombre sfuggenti nell'intrico della giungla. Orme molto grandi, resti di cibo e tracce di accampamenti temporanei confermano la presenza di questi gruppi umani che, all'inizio del terzo millennio, non usano armi di metallo ma di pietra, vivono esclusivamente di frutta e radici, di uova di taricaya (tartaruga) e di caccia. Si muovono in massa. Corrono sempre con le donne e i bambini posizionati all'interno del gruppo. (...). I masko-piro non si fermano mai più di una notte nella stessa radura. All'alba riprendono la corsa. O la fuga. Li hanno intravisti dagli aerei, lungo il Río de Las Piedras. Nudi. O sul Río Los Amigos, sempre in Perù, nella regione del Río Madre de Dios, ultimo angolo inesplorato del pianeta, in un'area non lontana da dove passerà la carretera Interoceànica. Si spostano, agilissimi e invisibili, anche dove non c'è traccia di sentiero, marciano instancabili per giorni e giorni inseguendo, forse, la paura».

Affine all'impegno di Carpo, che ha lavorato nella comunità del Río Ucayali, nell'Amazzonia peruviana, a un progetto di cooperazione internazionale per la promozione dei diritti delle donne shipibo, è la battaglia di un'altra donna, francese, Émilie Barrucand, fondatrice dell'associazione Wayanga, che da cinque anni - attraverso il progetto di «rete» tra le diverse etnie indie «Solidarité interethnique» - promuove la difesa dei diritti, delle culture e delle terre dei popoli autoctoni dell'Amazzonia peruviana.

Etnologa di formazione, Barrucand viene «adottata» giovanissima da Ropni, anziano capo carismatico dei Mêbêngôkre Métyktire. Ribattezzata Mopkwoy, «colei che raccoglie l'igname», trascorre lunghi soggiorni nel villaggio dell'etnia Mêbêngôkre, sul Río Xingu, dove il suo status ibrido di donna bianca le consente di prendere parte anche ai ruoli che le attività e le cerimonie tradizionali abitualmente riservano agli uomini, come la caccia alla tartaruga.

Da questo osservatorio privilegiato ha modo di raccogliere le testimonianze di un'Amazzonia non arresa ma inquieta, in attesa di un non ancora scongiurato colpo di grazia, Amazonie en sursis, come il titolo del suo libro pubblicato nel 2005 dalle edizioni Le Cherche Midi.
 

Azzurra Carpo
In Amazzonia
Feltrinelli, 2006, pagg. 272,  Euro 15

questa foto è tratta dalla galleria fotografica di Azzurra Carpo

Articolo apparso su il manifesto del 6 gennaio 2007