Questo testo si collega al corso
tenuto da Donatella Bassanesi e Mia Mendini
"La casa e il museo: percorsi tra arte e vita"

Milano - Parigi
Gli artisti nella casa-museo Boschi-Di Stefano

di Donatella Bassanesi

 

Sulla facciata degli edifici sono scritti gli umori, i costumi, i pensieri più segreti del loro tempo
i segreti chiamano, ed è crudele non dare ascolto alle loro voci dolenti e bramose di eco

A. Savinio


Nella palazzina progettata (fino nei particolari: delle porte, delle finestre, del bagno…) e realizzata tra il 1929 e il 1931 da Pietro Portaluppi, c'è un appartamento che fu abitato dai donatori di questa collezione (museo oggi, che raccoglie trecento opere, patrimonio della città e traccia di un percorso che va dagli anni '10 fino ad intorno agli anni '60).
Nell'anticamera si trovano ritratti i padroni di casa, ad accogliere gli ospiti. C'è un grande quadro, di Remo Brindisi, del '51, nel quale la coppia è come se camminasse per una strada - Marieda e Antonio Boschi vicini eppure divergenti verso le estremità della cornice, ad aprire uno spazio tra l'uno e l'altro, ad allargare la strada e a portare in avanti i grattacieli bianchi in fondo.
Questa immagine, che sembra riprodurre l'attimo dello scatto, il momento fermato dalla macchina fotografica, ci pone di fronte non solo una coppia ma una città che fu anche luogo della pittura, ha in sé, profondamente nascosta, quella lontananza, quella forma di magia, che è l'arte: "Dipingere non è un'operazione estetica; è una forma di magia intesa a compiere un'opera di mediazione tra questo mondo estraneo ed ostile e noi" (P. Picasso). "L'arte viene da lontano e va lontano. Questo il fascino dell'arte e la ragione perché la gente le si affolla intorno, la guarda come si guarda un viaggiatore che torna da paesi remotissimi, e dal quale si aspettano racconti meravigliosi" (A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Milano, 1984).

Prima della grande guerra, in quel periodo che fu sentito come un periodo (relativo) di pace, in Europa i conflitti potevano essere polemos, un discutere tra pari, per arrivare a una composizione dei contrasti. È l'armonia a cui pensa Kandinsky, è l'arte moderna che proprio in questi anni prende forma:"La nostra armonia è formata da una lotta dei toni, dall'equilibrio perduto, dal venir meno dei 'principi', da inattesi rulli di tamburo, da grandi interrogativi, da aspirazioni apparentemente senza scopo, impulsi e nostalgie apparentemente incoerenti, catene e legami spezzati, contrasti e contraddizioni".
E in una lettera del 1913 Viani scrive: "Da elementi frammentari voglio che l'osservatore ricostruisca in cuor suo il significato animatore dell'opera. (…)considero le cose e i colori schematicamente come pure i sentimenti, segno diremo così di una prospettiva psicologica. (…) Credo che sia restato in cuor mio un vago senso di 'pellegrinare': concepite le cose attraverso un 'trauma psichico', forse in esse rimane sempre un'impronta mortale".

Milano città proiettata verso la modernità, (la città in cui si era formato i futurismo - per il quale l'immagine era momenti progressivi di un movimento, si volle chiamare movimento non scuola e trasmise la parola movimento oltre gli ambiti dell'arte) per una tragedia della storia (che è anche storia del pensiero-dei pensieri) per il susseguirsi di guerre, insieme a tutte le città d'Europa subì un tracollo, si potrebbe dire si oscurò, divenne una realtà soffocata.

Le scoperte scientifiche del primo decennio del secolo - la materia è energia, la teoria della relatività di Einstein - che avevano prodotto in Italia il futurismo, il cubismo a Parigi, il gruppo del Cavaliere azzurro a Monaco (e si tratta per tutti, e diversamente, di vedere lo spazio non fisso ma in movimento), adesso dialogano con la tecnica applicata agli armamenti.
Milano diventa città soffocata "in un nebbioso nembo ove fantasmi di pietra emergono da una bassa caligine che la negra folla percorre con lumi e campanelli; convogli di uomini e animali, macchine semoventi salgono in continuo coro le facciate lunghe delle case raggianti come opifici, e di là precipitano in altri canali tenebrosi (…) per folti labirinti si spandono verso il cuore lontano e i deserti palazzi del governatore; vasti cantieri che la pietra ricopre e stringe il ferro, odorosi di vapore, di carbone minerale e di olio combusto, tra le cui ruote si agita e tumultua un iroso popolo sconvolto dalle passioni; fermi come navi ancorate sui loro confini lontani, in quella zona buia ove i cani si aggirano assieme con gli assassini, e fuma intorno la terra squamosa e infruttifera che circonda le capitali" (A. Savinio, Casa "la Vita", Milano, 1943).

Il contrasto come movimento ed espressione di libertà ha cambiato completamente di segno con la guerra (già con la prima guerra mondiale). Gli artisti, come incupiti, hanno una visione statica dello spazio, rendono ai corpi, peso, massa, si rivolgono esplicitamente al passato. Tuttavia, alla retorica delle immagini si oppone in una certa quantità anche Sironi (dalle solitudini drammatiche e silenziose, pitture che sono quasi idee di sculture in cui si proietta il passato). Sironi, il pittore forse più significativo nel gruppo dei "Sette" che si costituisce nel '23 intorno alla galleria Pesaro (e intorno a Margherita Sarfatti), che scrive nel '32:"il disegno permette di vedere, meglio della pittura, nel segreto dell'arte dell'artista".

Molti artisti sono attratti da Parigi (capitale dell'arte tra otto e novecento), crogiolo di esperienze, dove si producono figure singolari, pittori (alcuni dei quali diventano i massimi tra i contemporanei) che provengono da luoghi linguisticamente lontani, si sviluppano opponendosi e tuttavia nutrendosi l'uno dell'altro, l'uno della diversità dall'altro (così è Chagall, russo ed ebreo, che rap-presenta ri-presenta, rende al presente, luoghi rivisitati della propria infanzia, luoghi in cui risuonano tradizioni e luoghi della memoria; così è Picasso, spagnolo, che si porta contemporaneamente sempre più indietro e sempre più avanti nel tempo, tradizioni africane e decostruzioni).

A Parigi De Chirico (greco ma che si trasferisce presto con la famiglia in Italia) trova la sua misura, il senso del suo fare, ricerca la realtà 'seconda' (metafisica) delle cose, che è sconvolgimento del normale rapporto proporzionale: "bisogna scoprire il demone in ogni cosa" che si rivela nel sogno, nei "momenti anormali". L'aspetto metafisico delle cose sono segni svuotati: le piazze rivelano il vuoto pauroso, l'evento è fuori campo. Lo spaesamento è dato dall'assenza dell'umano nell'uomo stesso: la figura umana è calco, gesso (falso), manichino, revenant (fantasma), maschera e falso che devia, confonde. Anche Campigli vive una stagione parigina. Lì ricerca una fonte originaria (che diventa originarietà-originalità della pittura) fa emergere figure arcaiche, "trae gusto di moderno dal sapore dell'antico" (A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Milano, 1984). De Pisis vive tra Milano, Parigi e Venezia, nelle sue lettere traspare un'osservazione continua della luce, delle trasparenze. "I grandi alberi lungo la Senna, una luce d'oriente …tratti di luna velata" (Lettera, Parigi 14 maggio 1930). "Splendida la luce del settembre, dolce morte dell'estate" (Lettera, Venezia, 15-9-31). "S. Germain (alberi verdissimi, pulviscolo d'oro nell'aria, misterioso tramonto alla Delacroix in fondo dopo palazzi grigi e torri" (Lettera, 14-5-32). "Ho dipinto ieri e oggi un gran mazzo di fiori dove ho raggiunto una irrealtà di palpito rara!" (Venezia, 4-7-47).

Arriva a Parigi anche Savinio, che fu compositore, pittore, scrittore di saggi, di racconti, di opere di teatro (fratello minore di De Chirico, Andrea De Chirico cambiando nome diventa Alberto Savinio - per distinguersi dal fratello maggiore). Savinio teorizza, scrive moltissimo, cerca una forma che risolva il caos dell'esistere, che incanali un'energia originaria (e da ricercare nelle origini) capace di una soluzione catartica nell'opera. La sua ricerca (non solo nell'ambito della pittura, ma della scrittura, della musica) si orienta verso quella che si chiamerà l'opera totale (che è la ricerca di Schonberg). Nell'introduzione del 1925 dell'opera Capitano Ulisse, Savinio scrive: "Quanto più vivi, orgogliosi, mordenti i colori, tanto più efficace, completa l'operazione catartica". Un pensiero (e una visione) che si ritrova in uno scritto del 1940:"Portare con ogni mezzo la 'cosa' dipinta al suo massimo d'intensità: richiedere a ogni segno, a ogni pennellata il massimo risultato. Dipingere forte per accrescere la portata della 'parola' pittorica (…) renderla più lunga e risonante" (A. Savinio, "Bollettino della Galleria il Milione", n. 66. Milano, 1940). L'intensità del colore, della pennellata corrisponde per Savinio a una vitalità primordiale, quando gli umani erano vicini agli animali, quando erano vicini al paradiso perduto. La vitalità primordiale sta in " cavalli, leoni, aquile, cani", "uomini e bestie erano compagni una volta e si capivano. Poi, a poco a poco, l'uomo sbandì le bestie dalla sua vita. Del raglio dell'asino, di questo grido straziante e mitologico, non rimane in noi se non una lontana eco, fra i ricordi tristi e universali dell'infanzia" (A. Savinio, "Bollettino della Galleria il Milione, n. 66. Milano, 1940). E vitalità primordiale c'è nella composizione della creatura dell'ermafrodita, che sono gli "uomini della Poesia": "in questi uomini che sono assieme donne, in queste creature che sulla faccia visibile portano l'invisibile ambigua maschera dell'Ermafrodito, c'è anche un misterioso istinto di madre; e tutte le cose essi le considerano con materna proprietà, come se le avessero generate" (A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Milano, 1984). Nostalgia per il paradiso perduto è ricerca dietro alle facciate delle cose: "Io cerco (…) l'anima segreta delle cose, e per trovarla sono costretto molte volte a guardare dietro la loro facciata consunta dall'uso e diventata irriconoscibile" (A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Milano, 1984). E nostalgia del paradiso perduto è, per lui, riprodurre la figura umana.

Intanto a Milano Ernesto Treccani - che scrive: "disegnare molto, e disegnare le vite: uomini nel loro lavoro, disegnare i volti nelle loro diverse espressioni, i personaggi nel movimento e nell'ambiente" in modo "d'abbattere il muro resistente che voleva tenermi lontano dagli uomini e dalle donne che dentro di me amavo ancora prima di conoscere" - fonda nel 1938 la rivista "Corrente". Molti artisti fanno riferimento a "Corrente" tra cui Cassinari, Guttuso, Sassu, Vedova. Non vogliono sottostare a verità di regime, perché, come scriveva Antonio Banfi: "l'arte non può essere lo schermo della verità rivelata dal regime". Ma la rivista sarà (appena due anni dopo la sua uscita), nel 1940, chiusa perché considerata indesiderabile dal fascismo.

Un lungo periodo di guerre, che copre quasi un terzo del secolo, si chiude. Eppure, ancora dopo, Milano appare terra bruciata, città sacrificata che guarda dalle finestre dei grattacieli."Questa monocola città (…) città vulcano (…) che a somiglianza di Polifemo reca in fronte un occhio unico, intorno al quale l'orbita enorme delle case s'avvolge" (A. Savinio, Ascolta il tuo cuore, città, Milano, 1984) (p. 25). "Questi grattacieli che si sono raccolti nel piazzale Fiume, e aprono le braccia di un'immensa croce sugli ex bastioni di Porta Venezia e di Porta Nuova, e dilungano l'asse della croce nel viale che conduce alla Stazione, compongono una medesima famiglia di giganti, occhiuti come Argo e impennacchiati dalle loro caldaie di riscaldamento. Un'altra famiglia di grattacieli (…).a S. Babila, per umiliare ancor più la chiesetta romanico lombarda (…) sorta sull'area di un tempio dedicato al sole. Anche il santo vescovo di Antiochia ha voluto 'mangiarsi' una divinità pagana" (ibid. p. 98-99… "è come una città colpita qua e là da distruzioni immani, in mezzo alle quali sorgono già, come viluppi di nuvole dalla bocca di un cratere, gruppi massicci di costruzioni nuove (…). Città dura. Città di ferro. Enormi palazzi si serrano in gruppo, uniscono le rigorose file delle loro finestre prive di persiane - i loro occhi senza ciglia - si danno la mano attraverso archi massicci, pesano con tutti i loro dodici piani sui portici che li sorreggono di sotto, e che stanno zampe zampe zampe plumbee e quadrate nella positura di mostruose scolopendre raggelate" (A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Milano, 1984).

Ma, dal '47, coraggiosamente, alcuni artisti aprono una nuova stagione. Fontana, Vedova, Dova, Crippa, Burri, Baj, Manzoni, e altri intendono tornare a guardare lo spazio e il tempo come relazioni, variabili. Tornano a studiare questi luoghi (che sono della scienza e sono delle arti), pur feriti: sono i tagli di Fontana, il neocubismo di Dova, il nucleare di Baj e di Dova, l'informale di Vedova e Manzoni. È un terreno nuovo di esperienze in quella ambiguità che è l'opera d'arte (che sta tra il fare e il pensiero), in quel sentire che è l'arte.