Caso Delbono: distinguere, distinguere, distinguere

di Cristina Pecchioli e Assunta Sarlo


A disagio. E' così che ci sentiamo a leggere cronache e commenti sul caso Delbono.

E non ci finisce di convincere, applicata a questa vicenda, l'unica categoria dell'arroganza maschile spezzata dalla presa di parole delle donne.
E così Veronica Lario, e poi Patrizia D'Addario e adesso Cinzia Cracchi ne sarebbero eguale testimonianza. E ci mette a disagio non certo perché non condividiamo il giudizio sul pensiero, evidentemente diffuso tra questi uomini, di non dover pagare mai dazio, protetti dal silenzio e da una privacy che in realtà è franata sotto mille spinte.

Sentiamo però l'esigenza di distinguere, di non costringere il libero gioco delle relazioni tra uomini e donne, dotati entrambi di autodeterminazione nel loro stare al mondo e in relazione con l'altro, nell'unica categoria della parola che solleva il velo e dichiara nudo l'imperatore.

Nel caso di Cinzia Cracchi la domanda che ci siamo poste è un'altra: perché una donna, che ha una relazione d'amore con un uomo più potente, non mantiene una propria autonomia di vita, si fa (ma quanto è brutto questo lasciar fare) trasferire dal posto di lavoro cui era, con le proprie forze, arrivata per seguirlo in Regione e "stargli accanto"?   Non c'è qualcosa che ci suona stonato in tutto questo?
Cinzia Cracchi - una donna ferita, dicono in tanti e non stentiamo a credere quanto bruciante possa essere non solo la fine di un amore ma anche il conseguente trasferimento al centro unico prenotazioni  -  oggi dice di "avere perduto tutto": ci sembra, ancora una volta, che si riproponga una figura di donna che sta accanto al potere e ne gode i benefici al prezzo della propria autonomia, senza chiedersi troppo su trasferimenti, soldi, note spese e week end per poi, a relazione finita e davanti a comportamenti maschili sicuramente arroganti e censurabili, fare un'"operazione verità" i cui contorni non ci appaiono così limpidi.  

E ci sembra che la categoria della donna vittima dell'arroganza maschile che trova riscatto nella presa di parola contenga, se applicata senza i molti distinguo di ogni situazione, un possibile agguato: non guardare dentro il nostro modo di stare nelle relazioni con il maschile, che non è eguale per tutte (non sono eguali Veronica, Patrizia e Cinzia), riproporre un femminile accessorio al potere e talvolta complice dei suoi modi peggiori.
Non ci sembra insomma un gran servigio per le donne che hanno a cuore e praticano un loro disegno di  autonomia, a maggior ragione nel caso di quelle che più di altre al potere sono vicine.

 

5-02-2010

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