Dopo la castagnata: desideri appesi a un filo…
Nicoletta Buonapace
Alla ”Castagnata” sotto le volte del salone di Corso di Porta Nuova, nel piovoso pomeriggio del 7 Novembre, eravamo una quarantina di donne.
Tra chiacchiere, vino e castagne abbiamo giocato con i nostri desideri.
Avevamo costruito due alberi per appenderli: uno per Milano e un altro per appendere i nostri sogni per l’Italia.
C’era anche una specie di ragnatela aerea, nella quale s’intrecciavano i fili del corpo, della mente, dello spirito e del cuore, a cui potevamo attaccare le nostre parole.
Poco dopo, sugli alberi e sui fili. pendevano i biglietti colorati dei nostri desideri.
Come avevamo promesso, ecco qui il nostro feed-.back con le riflessioni che ci hanno suscitato, rileggendoli con più attenzione, durante la nostra riunione del lunedi. Sarebbe interessante che chi c’era avesse voglia di dire la sua rispetto a ciò che abbiamo pensato, magari con una mail.
Queste righe sono perciò come un sasso gettato nello stagno
Innanzitutto ci è sembrato che le intervenute fossero una parte molto speciale della nostra comunità, particolarmente sensibile e attenta alle questioni più generali che toccano tutti/e , al di là dell’orientamento sessuale.
L’albero di Milano
Sembra che quella parte di comunità che abbiamo incontrato abbia una forte coscienza ecologica. Richiede infatti una cura particolare per l’ambiente-città, in termini di aree verdi, piste ciclabili, qualità dell’aria. La maggioranza ha espresso desideri relativi proprio all’ambiente: il migliore funzionamento dei mezzi pubblici, il recupero e la progettazione di spazi per il cohousing e una socialità più allargata.
In seconda battuta, si chiedono soprattutto luoghi fisici d’incontro e aggregazione tra donne, insieme ad attività, istituzionalmente predisposte, di formazione degli operatori in luoghi come scuole, consultori, ospedali, svolte da persone glbt.
Altre desiderano fortemente una casa delle donne, dove fare cultura lesbica e femminista, e dove potersi incontrare, pensare, discutere.
C’è solo un biglietto nel quale si chiede esplicitamente un registro delle coppie di fatto e una tutela legale in quanto lesbiche .
E soltanto uno che chiede, genericamente, un maggiore riconoscimento civile.
Ma cosa significa riconoscimento civile? Il poter liberamente dirsi lesbiche nei luoghi di lavoro e in qualunque altro luogo, la rivendicazione di un diritto alla tutela della propria persona in quanto lesbiche?
Notazione: la parola lesbiche compare in soli due biglietti.
Seconda notazione: si richiede una maggiore sicurezza per le donne, ma non si capisce in che senso.
Paura della strada, della notte, della città?
Terza notazione: non se ne può più della Moratti.
Meglio un sindaco che s’interessi delle donne che non una sindaca che distrugge servizi e città.
L’albero d’Italia
Come per Milano, anche qui il primo pensiero sembra andare a un desiderio di rinnovamento della vita politica in generale. Si chiede una politica che sia altra da quella che si fa nei luoghi di potere, Una politica che abbia a cuore l’interesse e il bene del paese, che esca dalle logiche del denaro, del clientelismo, dalla disintegrazione morale e civile alla quale stiamo evidentemente assistendo da troppo tempo. E quello che si chiede sono in fondo, diritti elementari e di tutti, come la tutela del lavoro, la dignità e la tutela delle diversità, un maggiore peso alle donne in Parlamento, una legge contro l’omofobia e diritti civili per le coppie omosessuali, ma anche per le persone singole alle quali “non pensa mai nessuno”. Anche qui la parole “lesbica” compare solo due volte.
Il filo del corpo
Ci ha colpito che alla parola “corpo” nessuna abbia pensato a qualche forma di erotismo (Quel che più si avvicina è il desiderio espresso da due donne di “dolci e lunghi massaggi da una donna”.)
Si desidera soprattutto una buona forma fisica, la possibilità di usufruire di palestre dove incontrare donne lesbiche, l’attenzione all’alimentazione e alla salute fisica in un ambiente dalla qualità di vita migliore in termini di “aria migliore e meno stress”.
C’è però un richiamo anche a una dimensione più integrata. Si desidera “un uso sempre più consapevole” del corpo e l’abolizione degli stereotipi. Ora ci chiediamo: di quali stereotipi si parla? Di quelli basati sul desiderio di una certa forma fisica, di un corpo magro, “bello” e giovane, di un corpo “femminile”? E’ interessante però, ci sembra, che anche il corpo, sia percepito come specchio di una serie di stereotipi…
Tuttavia, ancora più interessante è che la dimensione del piacere e dell’erotismo, sia completamente assente dal nostro orizzonte.
Non sappiamo a questo punto se sia perché reprimiamo questa parte o perché la diamo per scontato, vivendola…felicemente.
Il filo del cuore
Anche il benessere del cuore sembra intrecciarsi al desiderio di una socialità più allargata.
Quello che si desidera sono certamente amori profondi, appaganti, persino plurimi, ma anche amicizie, e una società che ci tuteli e ci riconosca, come se per stare bene interiormente tutto dovesse essere collegato ( amore, amicizia, società).
C’è anche il desiderio di rendere condiviso l’amore attraverso una ritualità, diversa tuttavia da quella del matrimonio ( “poter celebrare il mio amore con una festa collettiva, tipo matrimonio, ma diversa…”).
Interessante è il forte richiamo, in questo filo del cuore, alla comunità lesbica. Si chiede che sia più forte, più unita, con meno paura e una maggiore disponibilità e solidarietà tra di noi. C’è un forte desiderio di pace che coinvolga tutti/e. Si ha in mente una società che, nel suo complesso, abbia a cuore la pace e l’armonia.
Qui, la parola “lesbica” è scritta solo una volta.
I fili della mente e dello spirito
Entrambe le cose chiamano in causa la necessità e il desiderio di trasformare se stesse, le relazioni, la società.
Si chiede “una visione più ampia”, al di là delle ristrettezze dell’io e i suoi egoismi. Si sogna una dimensione in cui imparare a vivere in armonia con sé e le altre: “riuscire a volare giusto un po’ più in alto”, il raggiungimento di un’essenza realizzata e pacifica insieme, una comunità in cui si possa vivere un sentimento di appartenenza e che “un grande e caloroso abbraccio con le amiche possa trasmettere delle emozioni di “sorellanza”, si sogna una società in cui “ogni persona possa essere se stessa senza più maschilismo”.
E poi emerge qualcosa come il desiderio di una sospensione del giudizio, “non delirare e non mordere tutti come doberman”, un pensiero senza la pesantezza dell’arrovellamento, ma anche l’idea che si possa nutrire la mente e lo spirito e trasformarli soprattutto…con le altre donne.
Ecco dunque quasi l’urgenza di luoghi in cui fare cultura, leggere libri, scambiare opinioni e pensieri, “socializzare con persone rilassate e intelligenti” e quella di iniziative che, così ci sembra, possano alimentare e costruire un immaginario “lesbico” che ancora facciamo fatica a percepire.
Infatti, anche in questo caso la parola “lesbica” non compare che una volta, ma solo a metà coniugandola con “femminista” – là dove si chiedono iniziative “lesbo-femministe stimolanti da un punto di vista culturale”.
Ora ci chiediamo: abbiamo ancora una specificità lesbica?
Siamo in un momento di tale tristezza e povertà politica che noi stesse regrediamo alla difesa elementare del pianeta, del diritto alla tutela del lavoro e di tutti i “diversi”?
La nostra armonia e benessere fisico, spirituale, amoroso è indipendente dal fatto che siamo lesbiche? Il nostro percorso è ormai assimilabile a quello di tutti coloro che cercano di sopravvivere con una coscienza ancora di “sinistra”? Non abbiamo più bisogno di identificarci in quanto lesbiche? E i nostri diritti, la nostra dignità, è assimilabile a quella di tutti coloro che la vedono messa in discussione?
O invece stiamo di nuovo imparando a reprimerci? Nessuna scrive che vorrebbe poter baciare per strada la sua compagna, ad esempio. Siamo forse soffocate dai macroproblemi di questo momento storico? Il disastro eco-ambientale, la precarietà del lavoro, le tante forme di guerra e guerriglia urbana, le politiche sempre più aggressive ci fanno arretrare alla difesa di diritti elementari ?
Il potere ci toglie persino la possibilità d’immaginare di poter desiderare qualcosa per noi stesse?
Non parliamo di sessualità, di libertà dai condizionamenti relativi al nostro essere lesbiche. Siamo libere o represse?
Forse se fossimo realmente libere non avremmo tanto bisogno di una comunità nella quale rifletterci e di luoghi dove “prendere ossigeno”, leggendo e discutendo temi che ci toccano da vicino.
Quale esperienza può cambiare il nostro immaginario e quello sociale? Ci crediamo ancora?
Queste domande ci siamo poste e se qualcuna ha voglia di darci delle risposte o di discutere con noi, ci farebbe felici.
In ogni caso riproporremo queste domande in una serie d’incontri che stiamo mettendo a punto insieme alle compagne del gruppo Visibilia, durante i quali proietteremo dei film e documentari seguiti da discussioni e accompagnati da aperitivi.*
Cercheremo così di dare seguito ai desideri che, insieme, abbiamo intrecciato.
* Comunicheremo prossimamente il programma dettagliato delle serate.
18-12-2010
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