Chiara Cataldi, Prima bevi il tè, poi fai la guerra

Liliana Moro


Un libro davvero opportuno questo di Chiara Cataldi.

Tutti concentrati come siamo sui problemi economici: di debiti nazionali e familiari, di fallimenti bancari e imprenditoriali, di precarietà e disoccupazione, di euro in crisi e di mercati in agguato, in questo clima, un libro così viene a ricordarci che siamo in guerra.
Ora, mentre ci stiamo organizzando per le vacanze, magari, proprio ora, c'è una guerra in cui molti italiani sono coinvolti e direttamente protagonisti. Ragazzi o ragazze che potremmo incrociare in metropolitana o sulla spiaggia possono aver da poco lasciato un campo militare o un ufficio blindato. Perché in scenari di guerra ci sono carabinieri, diplomatici, addetti di uffici governativi e volontari di ong, infermieri, medici, imprenditori. In questo caso si tratta dell' Afghanistan.

Cataldi ci mostra il volto quotidiano, normale, della guerra e di chi la porta avanti, a vari livelli, e ciò che emerge da queste pagine, che sono semplici e precise, quasi fossero il diario di una ragazza che ha vissuto un anno in Afghanistan, è davvero inquietante.
Certo Chiara si trovava lontano dalla linea del fronte, dalle caserme, dai luoghi fortificati dove vivono i militari, ma dov'è il fronte in Afghanistan ? Non secondo la versione ufficiale ma sicuramente un fronte è nella stessa capitale, Kabul, dove le strade sono devastate dai crateri delle bombe e dai blocchi di cemento dei checkpoint; a Kabul, in città, in un luogo sicuro come l'Ambasciata italiana, risiedeva Chiara, cercando di svolgere i suoi compiti di contrattista e di rimanere umana.

Come avverte nell'introduzione:
A fronte di una già vasta letteratura sull'Afghanistan, principalmente di tipo epico o di scoop giornalistico, io ho cercato di raccontare come sia possibile vivere la quotidianità in un Paese tormentato da anni di guerre


Proprio la quotidianità è l'aspetto più sconvolgente della sua testimonianza: come si possa far compere al supermercato (per occidentali, beninteso, dove i prezzi sono proibitivi per gli afghani, mentre gli stranieri non possono andare in un mercato locale senza prendere accurate precauzioni per non farsi riconoscere come tali) oppure andare in piscina, al ristorante (dopo aver superato accurati controlli di sicurezza) o ai mozzarella party (organizzati quando arrivano i necessari rifornimenti dall'Italia).
Quando bombe e attentati sono eventi previsti e frequenti, le incombenze della vita di tutti i giorni assumono strani connotati, ma per altri aspetti sono così vicine a ciò che avviene qui in Italia che si svela con forte evidenza la continuità tra questo e quel mondo.

Paradossalmente un Afghanistan esotico, 'talebano' è meno sconvolgente di una Kabul dove si vende la pasta Barilla e lo yogurt Nestlè. Perché questo insinua il dubbio che sia esattamente questa continuità a provocare deflagrazione.

Un occhio particolare è dedicato alla situazione delle donne, anche in questo caso le cose non sono semplici: innegabile la condizione di separatezza e segregazione delle donne afghane, ma questa non si traduce in inferiorità sempre e comunque. Inviata a un pranzo presso ospiti afghani Chiara è preoccupata di tenere bene in testa il velo essendo l'unica donna alla tavola, ma poi vive momenti di grande serenità quando viene accompagnata nella parte della casa riservata alle donne “sarei rimasta in questo cortile incantato chissà quanto, con queste donne sorridenti e vocianti”.
In un'altra occasione però deve allontanarsi da una partita dello sport nazionale, il buskashi, quando si accorge di essere l'unica donna presente sentendosi addosso gli sguardi di tutti gli spettatori “nonostante sia coperta dalla testa ai piedi con un ammasso informe di vestiti, intuisco di essere diventata l'attrazione principale”.

Di fatto Chiara e le altre donne italiane potevano circolare solo nascondendo accuratamente il loro corpo e la loro provenienza, al limite anche sotto il burqa. Ma non stavamo facendo la guerra perché le donne afgane potessero toglierselo?


Chiara Cataldi, Prima bevi il tè, poi fai la guerra. Un anno a Kabul,
Stampa alternativa, 2012, pag,188, € 13

 

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