Catastrofi
di Lea Melandri

Louise Bourgeois
Il millenarismo, come presagio o invocazione della fine del mondo, ha
sempre turbato i sonni della storia, ma oggi sembra aver cambiato decisamente
volto. "Confinati" gli apocalittici "in sette eccentriche",
la religione cede il posto a una cronaca quotidiana cruda e puntigliosa
che documenta con abbondanza di dati la "fine materiale della
Terra per consunzione" (A.Sofri, L'Espresso, 7.8.2002).
L'insistenza con cui vengono segnalati le cause e i numeri di una catastrofe
sociale e ambientale già in atto, si associa al dubbio che a un
sapere così inquietante venga opposta fatalmente una sorta di cancellazione
o dimenticanza. All'enfasi delle denunce forse non è estraneo neppure
quel residuo di sacralità che spinge a vedere nelle conseguenze
devastanti degli errori umani la giusta punizione di una colpa.
Dopo l'attacco alle Torri Gemelle di New York, cuore finanziario e simbolico
dell'Occidente, un immaginario apocalittico è tornato ad agitare
figure assolute di Bene e di Male, angeli vendicatori, divinità
irate per la tracotanza degli uomini. Credere che si sia trattato solo
dell'astuzia ideologica della più grande potenza del mondo, gli
Stati Uniti d'America, per sbarazzarsi di ogni potenziale nemico, significa
dar credito a una razionalità storica separata da passioni e pregiudizi
radicati nel senso comune.
Nei commenti alle alterazioni climatiche che hanno causato nel corso dell'estate
le inondazioni di Praga e Dresda, o a fenomeni di inquinamento atmosferico,
come la grande nuvola carica di veleni comparsa nei cieli dell'Asia, colpiva
a prima vista la compresenza di linguaggi tra loro diversi e contrastanti:
quello scientifico, riferito ai fenomeni naturali ma anche all'economia
e alla politica, e quello di un'etica sostenuta da attese messianiche
di rinascita. Lo stesso è accaduto in occasione della Conferenza
Mondiale sulla "sviluppo sostenibile", che si è tenuta
a Johannesburg, dal 26 agosto al 4 settembre.
Come se si trattasse di liberare un'umanità impazzita dai suoi
vizi, qualcuno ha parlato di "rientro morale", altri,
sulla stessa linea interpretativa, di una necessaria svolta nei comportamenti
tra uomo e uomo, tra uomo e natura: dall'egoismo all'altruismo, dall'arroganza
alla comprensione, dallo sfruttamento alla solidarietà.
Ma più che il richiamo a "valori morali", che
urtano ancora contro la "verità psicologica" degli
umani, è parsa dominante l'idea che la prepotenza, in qualunque
forma si manifesti, nell'oppressione dei propri simili o nel disprezzo
dei limiti naturali, incorre fatalmente in una ritorsione uguale e contraria.
Il delinearsi di una "super-società globale" accentratrice
di poteri, di condizioni privilegiate ed esclusive di sopravvivenza, a
scapito di tutti gli altri abitanti del Pianeta, ha ispirato immagini
forti, minacciose del già fragile "benessere" di pochi.
"La nuvola che si è mangiata il cielo parte da dove partono
ormai tutti gli incubi del nostro Occidente con la coda di paglia e le
mani sporche: dall'Asia
quei 'pastori erranti' trasformati dalla
globalizzazione (io consumo, tu sporchi) nelle formiche delle industrie
più luride, e si chiama 'grande nuvola gialla'. È composta
di gas aerosol, particelle industriali finissime, ceneri, fuliggini, una
coperta mefitica alta tre km, che ha ucciso centinaia di migliaia di persone
e che viaggia per venire a casa nostra, per vendicarsi di noi che abbiamo
scaricato nell'Asia la spazzatura industriale che non vogliamo più"
(La Repubblica, 13.8..2002).
L'odio e i veleni che l'Occidente ha sparso nel mondo, i suoi stessi "valori"
-denaro, competizione-, gli ritornano indietro ingigantiti e lo mostrano
per quello che realmente è: già contaminato da quella "barbarie"
che ha contribuito a far crescere respingendola fuori di sé, fingendosi
un'innocenza mai conosciuta.
Per una specie di "contrappasso", la parte del mondo che si
è pensata dispensatrice di "progresso" e di civiltà,
si trova oggi costretta a contare sul proprio territorio le piaghe che
ha inflitto ad altri, con le sue industrie, le sue bombe, i suoi consumi
illimitati.
L'omologazione, conseguente al prevalere di un modello unico di sviluppo,
agisce ora all'incontrario, dal Sud al Nord, dalle devastanti alluvioni
asiatiche allo straripamento della Moldava e dell'Elba.
"Mittel Europa è un concetto letterario che va molto forte.
Oggi bisognerebbe permutarlo in Bangla Europa, imparentato com'è
con il Bangladesh e i suoi disastri alluvionali, è la globalizzazione
delle disgrazie. Dresda come Dacca? Dacca deve fare i conti con un golfo
del Bengala indomabile e non so se c'è un cantore dei suoi diluvi"
(Il Manifesto, 17.8.2002).
C'è una parte del mondo dove la morte ha nome, storia, leggenda,
e un'altra, la più estesa, dove è solo numero. La malattia
mortale della Terra unifica la famiglia umana, costringe popoli di cultura
e condizioni diverse a ragionare su una sorte comune, ad affrontare per
la prima volta un pericolo di sopravvivenza che alla lunga non risparmierà
nessuno. Ma, insieme alla scoperta di parentele, escono vistose dal silenzio
e dall'invisibilità anche le disuguaglianze, le responsabilità
e, sia pure tra molte opposizioni, alternative di sviluppo e di convivenza.
Fornire insistentemente numeri e previsioni può diventare allora
un modo inconsapevole per adombrare l'ansia e l'infelicità legate
inevitabilmente all'uso distruttivo dei beni che produciamo o che troviamo
in natura. Accanto alle altre "catastrofi" si assiste
oggi anche al declino dell'antica dialettica che ha diviso e contrapposto
natura e cultura, donna e uomo, individuo e società. Cadono barriere
millenarie e consolidate costruzioni di senso: così, paradossalmente,
sono le cose, alienate dai nostri "consumi forzati",
è la natura, ferita nel suo equilibrio, sono le donne, i bambini,
i poveri, i malati, a dire il dolore e la distruttività nascosti
dietro la facciata di un mondo che si è creduto "civile".
L'articolo
è stato pubblicato dalla rivista "Carnet" nell'ottobre
2002
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