Una bella serata
30 novembre 2005
di Elena Cianci


Antonella Prota Giurleo

Mi infilo un berretto, la cervicale non perdona, e mi dirigo di buon passo verso il tram. Sento una strana eccitazione: chissà chi ci sarà. Forse rivedrò qualche faccia amica. Il tram è semivuoto e nella prima carrozza rimaniamo presto in tre. Tre donne: stessa fascia di età, anno più, anno meno. Una ha una folta testa ricciuta di un bel rosso, l’altra è molto curata. Due belle donne. Gli sguardi si incrociano; furtivamente ci studiamo almeno così a me pare. Il tram si ferma in 5 Giornate e mentre scendiamo ci sfioriamo. Il semaforo segna giallo ma non riusciamo ad attraversare subito la strada "Non c’è più lo sprint di una volta" mi dice la bella signora rossa "vedo che andiamo dalla stessa parte". Io che non aspettavo che un cenno dico: sì, verso la Camera del Lavoro. Anche la signora ben curata sorride e dice che sta andando nella nostra stessa direzione. Tutte e tre abbiamo un sorriso complice e contemporaneamente ci chiediamo chi ci sarà e in quante saremo. Arrivate, ci salutiamo. Cerchiamo volti conosciuti. "Allora buona serata. Magari ci vediamo dentro". Una bella signora con un vezzoso cappello violetto (scoprirò che era la famosa psicoanalista Lella Ravasi) mi apre la porta e mi invita ad entrare. "Da che parte andiamo?" chiede. "Seguiamo le altre" dico "anzi, fermiamoci al banco per lasciare il nostro recapito". Guardiamo verso il teatro che è già gremito di donne. "Non mi par vero" riprende la signora "è come essere tornata ai vecchi tempi". Ci sorridiamo e ci separiamo. Di nuovo "buona serata".

Il teatro si riempie velocemente. Il flusso di persone non si arresta. Ci sono solo posti in piedi. Tante, tantissime donne; gli uomini si contano sulle dita di due mani (Repubblica diceva "tanti uomini" Boh!). Alcune donne sono assenti giustificate, almeno quelle che conosco io. Viene aperta un’altra sala. I giornali parleranno di 1000 persone. Vedo Laura che mi sorride. Intanto un gran trambusto vicino al palco. Ottavia Piccolo è quasi pronta ad accogliere il pubblico. Con piglio deciso apre la serata Susanna Camusso.

Mi giro e vedo chi? Doretta. Conosco Doretta da tanti anni ma non ricordo esperienze di questo tipo con lei. Mi fa un immenso piacere trovarla lì anche se è molto stanca, mi confessa. Scorgo Francesca; lei no, lei è sempre presente. Frequenta la Marcia Mondiale delle Donne ed è attiva in altri gruppi. Era al G8 a Genova e per un soffio non è caduta sotto le manganellate dei poliziotti. Elda, anche lei in prima fila l’altra sera, al contrario le ha prese. Non riesco ad avvicinare Francesca perché nel frattempo sono stata sospinta verso il centro del teatro. Mi sento toccare. "Ma, scusa tu non sei la ….ma sì dai eri alle Fonderie… eri della Fiom ma guarda" L’aiuto a ricordarsi il mio nome. "Sì sono Elena Cianci e tu sei Anna Celadin" – "Ma non è possibile!” Abbracci e baci. Era la sindacalista che nei primi anni ’70 seguiva le sorti della fabbrica in cui lavoravo. Fonderia, ghisa di prima fusione, vasche da bagno. Praticamente l’inferno.

Intanto si avvicendano sul palco quella santa donna dell’Assunta Sarlo, che ha avuto la magnifica idea di iniziare il tam-tam elettronico, e tutte le donne iscritte a parlare. Intorno a me i sorrisi non si contano. Parla ora una ragazza disoccupata. Rappresenta il gruppo… non ricordo esattamente il nome… ricordo solo: proletaria rivoluzionaria, parole che non si sentono più. Provo malinconia. Chi di noi non ha urlato almeno una vota la parola "rivoluzione" o "proletariato".

Improvvisamente la tecnologia ci tradisce. Chi parla è costretta ad urlare e a chi tocca ora? Sì, a Lea constato compiaciuta. "Ma scusa chi è che mi sembra di conoscerla?" chiede una signora seduta. "Come chi è?" –rispondo –"E’ Lea Melandri". "Ah, già, sì, ma scusa, è per caso mamma della Giovanna Melandri? "No. Non credo siano nemmeno parenti. Ma glielo chiederò." "Ma la conosci? Bè sì, faccio dei corsi con lei. Alla Libera Università delle Donne". "Ah sì, dimmi.." E comincia un breve racconto ma, scusa ascoltiamo quello che Lea ha da dirci. Non mancano gli applausi di assenso al suo accorato discorso. Vedo Liliana che mi sorride e mi stringe la mano. E di nuovo altre ospiti. Vedo e abbraccio calorosamente Adriana dell'Università delle Donne. Ma chi si sta agitando dall’altra parte del teatro verso di me? No, non è possibile, Dorotea! Frequento Dorotea da una decina d’anni; è la mamma di un compagno di scuola di Maddalena. E’ una ingegnera, che è riuscita, con fatica inenarrabile a fare la mamma, la moglie e la dirigente. Ha orari impossibili; era arrivata direttamente dall’ufficio, forse senza cenare ma, era lì, arrivata con l’amica Laura una psicologa che non ricordo esattamente in quale struttura pubblica lavori. La raggiungo e rivedo la donna rossa ricciuta che mi sorride. Finalmente ci presentiamo "Io sono Elena" e lei "Io mi chiamo Francesca".

Intanto è arrivata vicino al palco una signora minuta dall’aria combattiva: viene dall’Algeria; ritirerà un premio in Val d’Aosta per il suo impegno per i diritti delle donne algerine. E mentre le sue parole sono proprio quelle che voglio ascoltare, la mia mente va al suo bellissimo paese che visitai nel 1978. Il mio primo viaggio da sola senza il mio compagno eh no, non posso dimenticarlo. Ricordo i profumi, i colori, le donne velate ma solo con una specie di mascherina di pizzo. Ma in Kabilia no, lì le donne erano coloratissime, con gioielli stupendi e non velate perché i turchi lì non erano arrivati. Così mi raccontarono all’epoca. Non so se è la vera ragione.

E mentre sono assorta nei miei sogni vedo un po’ di donne della Libera Università, sì quelle che mi mettono un po’ soggezione. Vicino a loro c’è anche Parisina che forse non mi riconosce. Giro lo sguardo ma, chi mi sorride? Ma sì è Franca della CGIL donna, conosciuta, guarda caso in Algeria durante il famoso viaggio dove c’era anche Adriana, sindacalista, che intravedo dall’altra parte del teatro. Vedo Grazia le faccio un cenno con la mano ma lei si aggira vicino al palco sta forse cercando qualcuno e non mi vede. Cerco poi Nicoletta e vicino a lei trovo Lea; anche lei non perde un incontro. E’ un mistero come faccia a fare tutto.

Che soddisfazione, ho visto/rivisto molte donne conosciute nel corso del tempo. Mi è mancata solo Maddalena, mia figlia. Avrei voluto fare quest’esperienza con lei. Càspita però è quasi mezzanotte. Colgo l’offerta di un passaggio di Nicoletta. Sono un po’ stanca ma in uno stato di grazia. Una leggera euforia non mi farà dormire fino all’una passata.

Mi sento come negli anni ’70 quando di ritorno da una manifestazione con le compagne, infreddolita, senza voce, dopo aver gridato slogan, cantato, camminato, sotto una bandiera rossa avevo la sensazione, molto piccola, di aver cambiato anche in una infinitesima parte, il mondo. Dunque una svolta positiva; finalmente reagiamo alle provocazioni. Si tratta ora di rimboccarci "di nuovo" le maniche; siamo all’inizio di una nuova fase e sono contenta di esserci.

Da un’occhiata, forse un po’ sommaria, alla platea ho visto teste grigie, facce di cinquantenni, quarantenni e di figlie anche giovanissime. Mi pare che mancassero le trentenni. Chiediamoci perché. Sono entrata nel sito www.usciamodalsilenzio.org  e ho dato la mia disponibilità per il 18 dicembre per la preparazione della manifestazione del 14 gennaio 2006. Ci rivedremo tutte là mi auguro.

La notizia dell’ultima ora vuole che anche in altre città le donne vogliano manifestare e l’idea che contemporaneamente da nord a sud fiumi di donne camminino per le strade d’Italia affermando i loro diritti mi dà un brivido. Come nella fiaba di Pollicino un enorme stivale si muoverà ma dentro ci sarà l’altra metà del cielo.

 

 06 gennaio 2006