Anna Santoro, La nave delle cicale operose

Clotilde Barbarulli

 

 


Come già ne “Le amiche di Carla”, l’autrice ricorre ad un linguaggio appassionato per dire la trama dei sentimenti, delle scelte, delle lotte politiche, delle speranze di un gruppo di amici ed amiche, nel periodo che va dal dopoguerra agli anni duemila. In pagine  dense di oralità e immagini, Santoro riflette una grafia di sé, in quanto donna che ha attraversato la politica dell’impegno nella scuola e nella ricerca, fino agli amari interrogativi attuali.

Il linguaggio, intessuto di presenze, di echi vicini e lontani, indica la non linearità della memoria, ma soprattutto restituisce le sovrapposizioni, i non detti, le interruzioni proprie del parlare e discutere fra amiche/i, l’affastellarsi di pensieri, insieme alla corporeità  nello scambio comunicativo. Il ritmo spezzato e intenso sottolinea l’ansia di narrare, di fermare sulla carta passioni e sentimenti, intrecciando la propria voce a quella di altri/e: è la politica delle donne, ma anche di uomini, che, nei movimenti, nelle occupazioni, nelle manifestazioni, nei partiti lottano contro  ingiustizie e soprusi in una Napoli invischiata nelle maglie di affari e speculazioni, tra profittatori e costruttori abusivi.

Chi legge si sente avvolta/o dall’ascolto di quelle conversazioni amicali dove le riunioni politiche  s’innestano nella convivialità, dove prevale l’urgenza di esprimere idee e progetti, dolori e gioie, per questo ci si sovrappone, ci s’interroga, non si conclude la frase, confidando nel terreno comune di comprensione e condivisione.  Corpo e voce s’intersecano per costruire una maglia in cui non si possono raccontare le storie di ieri senza interrogarsi su cosa è diventata la politica oggi.

Il passato non è separato né separabile dal presente, anzi vive in simbiosi con questo, come in un gioco di specchi. Santoro rilegge la Storia attraverso un’ottica di genere, attenta alle relazioni, e, quasi evocando  il non ancora (Bloch), mette in luce l’attualità del progetto politico femminista, insieme agli ideali di quanti continuano a credere nella possibilità di una politica che tenga conto dei corpi, dei desideri e bisogni. Le figure femminili esprimono lo spessore delle molteplici esperienze nel difficile percorso di crescita, fra movimenti dal basso e politica istituzionale. L’ininterrotto flusso narrativo restituisce così la ricchezza degli anni ‘60/70  fra utopia, liberazione della parola politica, esplosione dei sentimenti, insieme alla complessità degli anni ’80, con una scrittura  che cerca di fermare sulla pagina fermenti e movimenti, perché l’oblio o il silenzio favoriscono l’inerzia dell’ordine esistente rispetto alle istanze sociali. Raccontare  una Storia increspata di speranze e delusioni, fra scarti e resistenze, è forse la sola trasmissione possibile di senso alle nuove generazioni, contro mistificazioni e rimozioni dell’oggi.

In questa fitta tessitura di storie, che l’autrice con sapiente e appassionante regia dipana nell’attraversare gli anni, il finale è ancora un percorso, uno spazio simbolico in cui stare insieme, fra generazioni diverse, per una politica altra. il tempo passato è vivo e sembra spingere a cercare ancora, perciò l’immaginaria nave americana, smontata pezzo per pezzo in una notte durante la seconda guerra, compare nel finale - sulla scia ideale di  altre navi partite dall’800 in poi - a raccogliere sogni e progetti delle “cicale operose”, donne e uomini “innamorati della vita” che “operano costruiscono inventano” per cambiare il mondo, in una Napoli fra anarchia, criminalità, corruzione, bellezza e cultura.


Anna Santoro, La nave delle cicale operose. Una narrazione,
Robin edizioni, Roma 2012, pp. 437


da Leggere Donna, n.157, ott.-dic. 2012