I maschi prendono la parola

di Stefano Ciccone

 
Jeanne Hebuterne

La nuova libertà femminile nel pensare e nell'agire il mondo, la crescente presenza delle donne nel mondo del lavoro, della cultura, della politica si accompagnano alla crisi di strutture di potere che sancivano un ruolo maschile nella famiglia, la centralità del maschile nella sessualità. Questa enorme trasformazione cosa rappresenta per noi uomini? Una minaccia o un'opportunità?

Le reazioni maschili a questo cambiamento assumono diverse forme spesso banalizzate nelle categorie della depressione, della crisi, della femminilizzazione, oppure della reazione revanchista; del buonismo volontaristico o della difesa egoistica dei propri privilegi. Queste pagine intendono dare conto di un percorso di riflessione maschile che cerca di percorrere un'altra strada: quella di cogliere questa rivoluzione come un'opportunità per gli uomini per reinventare un modo di stare al mondo, di percepire se stessi, di costruire relazioni con le donne e con gli altri uomini.

Il primo gesto pubblico di questo percorso è stato rompere la complicità maschile su fenomeni come la violenza sessuale; rompere un silenzio degli uomini su un ordine sociale segnato dal potere maschile. La reazione sociale nei confronti dello stupro basata sulla categoria della devianza ci apparve immediatamente una via di fuga per non vedere le radici di un comportamento rappresentato come estremo e per questa via rimosso, e che invece affonda nel nostro universo di normalità. Questo ci portò a chiederci se davvero gli stupratori fossero "altro" da noi.

Per la ricerca degli uomini sulla propria identità sessuata, il rapporto con la storia del proprio genere (quello degli oppressori) e la tensione tra la propria ricerca di libertà e accesso ai "dividendi del potere maschile" è un nodo più intricato di quello affrontato dalle donne nel rompere la naturalità del domino patriarcale. Pone la necessità di vigilare sul rischio continuo di un'operazione inautentica ridotta all'atto volontaristico di solidarietà con le rivendicazioni delle donne, di denuncia della violenza maschile o di assunzione di un orizzonte emancipazionista.

Credo che per un uomo questa strada sia un'occasione preziosa per tentare di sperimentare, oltre la falsa alternativa tra estraneità e complicità con la storia del proprio sesso, l'opportunità per pensare un percorso di liberazione.

Le due "differenze" non sono simmetriche. La storia della differenza maschile è la storia di una parzialità che si è fatta norma e si è pensata come neutra. Non si tratta soltanto di disvelare la presunta neutralità dell’ “ordine patriarcale” ma di cogliere ciò che quest'ordine ci dice e ciò che occulta della parzialità che lo ha generato.

L'asimmetria sta anche, ovviamente, nel fatto che una "differenza", quella delle donne, è oggetto e frutto di una riflessione collettiva che per gli uomini non c'è. Ciò pone il rischio di attribuire ai pochi uomini impegnati in questa ricerca una "rappresentatività" che non hanno e che non possono avere.

Gli elementi di ricchezza e continuità che a distanza di anni ritrovo nella riflessione che abbiamo sviluppato sono nella critica di una motivazione volontaristica e nell'intuizione di individuare la "miseria", della sessualità maschile come nodo fondante dell'identità che vogliamo destrutturare. La natura maschile non come dato definitivo ma come risultato di una stratificazione che, a partire da dati biologici ineludibili, come ad esempio la disparità tra i sessi nel processo riproduttivo, ha prodotto una tensione oppressiva e distruttiva.

Se la politica è soprattutto capacità di aprire spazi di li­bertà e di espressione dei conflitti, di critica delle strutture di potere che segnano le relazioni tra le persone, scegliere di partire dalla rappresentazione sociale del corpo maschile e di indagare le forme della sessualità non è per noi una fuga nel privato o nella scoperta superficiale della tenerezza ma al contrario il tentativo di fare i conti con il nodo del potere e la sua pervasività senza facili scorciatoie di denuncia del sistema politico.

Se guardiamo al continuo ritorno di forme di subalternità a modelli e linguaggi "virili" e gerarchici che segnano anche i movimenti all'opposizione, vediamo che il nodo del maschile è sempre più un nodo politico che un movimento che voglia trasformare il mondo non può più eludere. La critica del maschile è per noi dunque inseparabile da una riflessione sulla critica della politica dei linguaggi, dei saperi, dei meccanismi di costruzione di gerarchie che attingono a modelli di mascolinità e femminilità.

La politica dunque non come eserci­zio di opposizione a tutto tondo ad un "potere" lontano e semplificato nella sua estra­neità (un Impero indistinto, un Sistema industrial militare astratto) ma come esercizio quotidiano di critica e di liberazione.

Quella che cerchiamo è, al contrario, una nuova radicalità rispetto alla costruzione della soggettività, (una soggettività che non può prescindere dal corpo) nella politica, dell'essere tutti interi nel conflitto e vivere il conflitto tutto intero. E la scelta della non­violenza significa tenere sempre aperto uno sguardo sul nesso profondo tra critica delle forme del potere (comportamenti che lo riproducono o vi si adattano, lo simulano, lo scimmiottano) e forme della politica.

Ma non credo che possa bastare il disvelamento di questi meccanismi, e distanziarci da questi processi: ci resterebbe solo di fare appello ad un'altra qualità virile che è quella dell'autocontrollo.

Quello che mi interessa è sviluppare insieme una domanda sulle ragioni profonde che portano gli uomini a costruirli, e su questa domanda costruire un percorso di liberazione, di ricchezza per le nostre vite. Questa ricerca può forse arricchire il dibattito sulla costruzione di una politica del cambiamento.

Bibliografia

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- Sito:
Maschileplurale@libero.it

 

questo articolo è apparso in Queer, inserto di Liberazione  della domenica, il 3 aprile 2005