Abbiamo deciso di prendere la parola non
per assolvere a un ovvio dovere, ma per il nostro desiderio, per la nostra
libertà, per la ricchezza delle nostre vite e delle nostre relazioni. Il
14 ottobre scorso, questa parola maschile, cresciuta in anni di dialogo
tra uomini, in piccoli gruppi, in una ricerca a volte faticosa, a volte
dolorosa, nel nostro immaginario, nei nostri desideri, nella percezione
del nostro corpo, è divenuta parola pubblica, assunzione di responsabilità
che chiede a noi, e alle donne, agli uomini, alla politica, un cambio di
scenario. Alle donne vogliamo dire, che non cerchiamo plauso o approvazione ma che desideriamo costruire una relazione in cui il nostro differire, la nostra ricerca di costruzione di uno spazio di libertà, possa incontrarsi con la libertà femminile. Una libertà che, sappiamo, ci ha interrogato e ha messo in discussione ruoli, poteri e privilegi, ma che ci ha offerto contemporaneamente una grande occasione di libertà per le nostre vite e per i nostri desideri e di ricchezza per le nostre relazioni. Non ci interessa un confronto tra due identità, o tra un pensiero critico, quello femminile e un sistema di poteri maschili. Riteniamo possibile inaugurare una relazione politica libera e conflittuale tra soggettività che riconoscano il proprio desiderio e quello dell’altra. Soggetti mai risolti una volta per tutte, che riconoscano di non essere trasparenti a se stessi, ma anzi di portare con sé tutte le complicità e le ambiguità che derivano dalla storia cui apparteniamo. Soggetti radicati nei corpi, che riconoscano nel proprio corpo, nei propri desideri, nel proprio immaginario un terreno di conflitto.
Non ci è più possibile guardare un tavolo
di soli uomini, o un virile schieramento di uomini pronti allo scontro in
piazza, non ci è possibile ascoltare la supponenza di un esperto che
pontifica in televisione o da una cattedra universitaria, senza provare
fastidio, senza domandarci in che misura siamo riusciti a svincolarci da
questi modelli e da queste pratiche. I saperi, i pensieri politici, anche
quelli radicali e antagonisti, la capacità di stare al mondo e di sapere
come va il mondo che gli uomini hanno inteso incarnare fino ad oggi non ci
bastano più, non riescono a esprimere la nostra esperienza di vita, anzi
troppo spesso la occultano a loro stessi e a noi. Non riusciamo più ad entusiasmarci sentendoci forti nei riti collettivi maschili. E non perché abbiamo perso una passione nel cambiamento e nel conflitto, ma al contrario perché vogliamo portarla fino in fondo, anche contro le pigrizie, le liturgie e le complicità che segnano anche la politica che si vuole di trasformazione. Allo stesso modo non accettiamo la proposta di chi ci chiede di “dominare i nostri istinti”, di esercitare la virtù virile dell’autocontrollo per risolvere il problema della violenza, perché questa richiesta rimanda a un idea della nostra sessualità come istinto basso e primordiale che nel migliore dei casi va limitato o contenuto. Al contrario vogliamo liberare il nostro
desiderio, la nostra sessualità, l’esperienza del nostro corpo dalle
rappresentazioni che l’hanno reso estraneo a noi, luogo incompatibile con
l’intimità, con la delicatezza, con l’ascolto e l’incontro. A partire dal
nostro percorso scegliamo e chiediamo di non essere più un fenomeno (da
guardare con curiosità, stupore, ironia, diffidenza o ammirazione) ma di
essere riconosciuti nella nostra soggettività per rendere possibile
un’interlocuzione, una reciprocità e anche un conflitto, dunque per
entrare nel merito delle questioni. Oggi, 25 novembre, e negli anni futuri, indosseremo un piccolo fiocco bianco, non solo per impegnarci a non compiere violenza contro le donne e anzi per contrastarla ove si presentasse, ma anche per allargare quegli spazi e occasioni di libertà che si aprono sia per le donne che per gli uomini. Crediamo infatti che costruire una
relazione diversa tra i sessi significhi essere capaci di accogliere la
differenza e la pluralità dei desideri in tutti gli aspetti della nostra
vita: dalle relazioni affettive, agli ambienti di lavoro, agli spazi della
politica. E siamo convinti per questo che nella nostra libertà ci sia una
risorsa per sconfiggere la violenza.
|