da Liberazione del 28 Dicembre 2004


Un femminismo non udente

di Lidia Cirillo


Jeanne Hébuterne, Modigliani

 


Il femminismo italiano è silenzioso o loquace? Forse bisognerebbe osservare, prima di ogni altra cosa, che il femminismo nostrano è soprattutto non udente. E che anche fuor di metafora il non parlare è legato al non udire. Poco udente, quindi poco parlante. Paradossalmente ciò che il femminismo non ascolta sono proprio le donne. Da alcuni anni, diciamo cinque o sei, le nuove generazioni parlano, ma le vecchie generazioni non ascoltano. Avvertono certamente un brusio, ma poiché di quelle voci non conoscono i linguaggi, non distinguono le parole, le frasi e le domande.

Alcuni episodi hanno avuto dell'incredibile. Dopo il Social Forum europeo di Firenze, dove aveva avuto luogo un'assemblea affollatissima e appassionata con numerose donne giovani, comparvero qua e là (in modo particolare sul Manifesto) articoli sul silenzio del femminismo e delle donne. Eppure tra le relatrici di quell'assemblea c'era Christine Delphy, di cui tutte per anni abbiamo continuato a rimasticare le brillanti analisi sul nesso produzione - riproduzione. E, se è vero che alcuni interventi rivendicarono contro il femminismo la "lotta di classe", è anche vero che alla sdegnata replica di Delphy rispose il caloroso applauso di quasi tutte.

Dopo la giornata delle donne alla vigilia del Sf di Parigi, in cui ci siamo incontrate in tremila, in gran parte giovani o giovanissime, la musica non è cambiata. All'incontro europeo della Marcia mondiale delle donne che si è svolto in Galizia nella primavera di quest'anno, a cui hanno partecipato diecimila delegate (molte delle quali ancora una volta di giovane età) quotidiani e riviste hanno dedicato altrove talvolta pagine intere o lunghi articoli.

In Italia non ne ha parlato nessuno, perché è mancata la mediazione che consente l'accesso a quel che resta della stampa delle sinistre. E' mancata cioè la mediazione non delle donne che hanno una prosa pubblicabile (che di questi tempi non sono poi poche), ma di donne capaci di trovare brecce in un sistema di comunicazione interno protetto da recinti spesso impenetrabili.

Nei limiti delle mie conoscenze e possibilità vorrei offrirmi come interprete, scusandomi di errori eventuali di ortografia e di lessico.

In primo luogo le giovani generazioni in questi ultimi anni hanno parlato soprattutto il linguaggio del movimento dei movimenti, cioè una mescolanza di dialetti diversi, legati a culture, a percorsi politici, a esperienze e a bisogni tra loro diversi. Tuttavia, pur nella molteplicità delle lingue, alcune parole hanno radice comune e significato comune. Femminismo per esempio significa agire delle donne, come si diceva una volta "in quanto donne", per se stesse e per altri/e.

Il legame con l'agire o almeno la forte aspirazione ad agire è legata strettamente alla composizione sociale della maggioranza delle nuove generazioni e alla dimensione globale in cui hanno cominciato a muoversi e a sperare. Le manifestazioni mondiali del 2000, a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di donne di quasi tutti i paesi del mondo, hanno visto insieme gruppi di base latinoamericani, associazioni di difesa di diritti violati, intellettuali e contadine indiane, giovani vite precarie dell'Europa occidentale, migranti da Sud a Nord e da Est a Ovest.

Proprio perché i tempi e i luoghi fanno prevalere l'aspirazione ad affrontare problemi e risolverli, come la sua parte maschile, anche la parte femminile soffre di periodiche crisi depressive e battute d'arresto di fronte alle difficoltà estreme di tradurre le aspirazioni in risultati effettivi. Quando è riuscita ad agire e ha parlato quindi ad alta voce, questa parte ha evocato il bisogno di movimento, utilizzando preferibilmente le narrazioni femministe degli anni Settanta, quelle della denuncia dell'oppressione, della rivendicazione e dei diritti. Chi ha creduto di individuare in questo un elemento di arretratezza, ha idee discutibili su ciò che è vecchio e ciò che è nuovo. Le parole e i discorsi in politica hanno senso, se servono a orientare l'agire e l'agire risponde a una molteplicità di bisogni, ciascuno dei quali cerca e spesso anche trova il linguaggio più adatto per sé.

Per le giovani generazioni per altro, assai più che per la nostra, femminismo si declina preferibilmente al plurale, anche se il singolare è ammesso e serve a indicare il fenomeno nel suo complesso e in tutte le sue articolazioni. Tra i femminismi che in questi ultimi anni hanno parlato e hanno agito, attirando a sé donne giovani, c'è quello che potremmo chiamare femminismo sindacale, nelle sue interconnessioni con il movimento dei movimenti.

In questo femminismo si sono manifestate due costanti storiche della politica delle donne. La prima è la tendenza del femminismo a nascere e ri-nascere al fianco del radicalismo politico e il sindacato, con tutti i suoi limiti, è restato in questi anni una delle poche istituzioni ancora in qualche modo vitali del vecchio movimento operaio. La seconda è la tendenza delle donne a irrompere sulla scena politica, strappando agli uomini l'iniziativa nei momenti in cui lo stato delle cose è troppo grave per lasciarla nelle loro mani. Nella vicina Confederazione elvetica, dove di rado accade qualcosa di esemplare dal punto di vista dei conflitti, la politica sociale di un governo fortemente inclinato a destra è naufragata quest'anno per l'iniziativa di Rouges de colère, una rete di una settantina di gruppi femministi e femminili, nata da donne del sindacato. Tre referendum di abrogazione di misure antisociali (soprattutto, ma non solo, contro le donne) hanno vinto in misura schiacciante quasi esclusivamente per l'attività della rete.

In Italia una parte almeno delle giovani generazioni femministe ha scelto di misurarsi con il tema della precarietà del lavoro e della vita, di costruire reti proprie e di partecipare a reti miste. Un meeting romano che ha avuto luogo il 23 ottobre ha dato il via a un processo di costruzione e radicamento, che ha già parlato di sé con le voci diverse di quante hanno già fatto o tentato esperienze. Certo la voce delle nuove generazioni femministe è ancora flebile. Certo i suoi discorsi spesso si interrompono a metà. Certo ancora siamo alla fase della citazione e della replica, perché speso i fenomeni nuovi parlano all'inizio con parole già dette.

Ma parla, eccome se parla! Per sentirne la voce basta togliersi dalle orecchie i batuffoli di una tradizione femminista ormai terribilmente autoreferenziale e ripetitiva.