Testo integrale dell'articolo che la rivista "Aprile" dello scorso febbraio ha pubblicato in forma ridotta

IL CLONE DEL CREATORE

Maria Schiavo

 


Maddalena Sisto



La legge 40 sulla procreazione assistita, con la decisione recente della Consulta di sottoporre a referendum solo alcuni punti di essa, senza rimetterla totalmente, come speravano in molti, al giudizio delle donne e degli uomini di questo Paese, ha dato occasione a una nuova e forse effimera ondata di dibattiti, che mi spingono a intervenire.
In realtà, in Italia le posizioni più visibili che si sono venute a creare sono quella della Chiesa e quella del Partito radicale, promotore di leggi, sul divorzio, sull'aborto, sbandierate da sempre come una vittoria contro l' oscurantismo clericale. Questo partito ogni volta come per caso dimentica l'importanza determinante che hanno avuto in quelle vittorie i movimenti di liberazione degli anni '70, in particolare il movimento delle donne. E dimentica nella sua superficialità sloganistica un'altra cosa ancora più importante: che i gruppi femministi più radicali, come è ampiamente dimostrato da libri e documenti, non consideravano ( allora come oggi ) l' aborto una vittoria contro l'oscurantismo clericale e bigotto, ma laicamente, ponendosi un problema etico, a partire da sé, dal proprio corpo, parlavano di esso come di un rimedio estremo e in molti casi discutibile, che non poteva certo essere trasformato in un metodo contraccettivo come faceva nei suoi centri appositi il Partito radicale.

Oggi la situazione è profondamente cambiata. La scienza, con le moderne biotecnologie è in grado di fare ben altro che procurare un aborto. Essa rischia oggi piuttosto di mettere al mondo "degli aborti" se si guarda alla spregiudicatezza sperimentale di una parte di essa. Ma il metodo di lotta del Partito radicale non è affatto cambiato. Lo schema è sempre lo stesso: da una parte c'è la Chiesa con i suoi pregiudizi millenari, dall'altra la Scienza con le sue meravigliose possibilità. Come se la Chiesa fosse l' unico riferimento, pur se in negativo, per sapere quale orientamento deve prendere la società futura, la vita degli esseri che nasceranno dopo di noi. O si attribuisce esagerata importanza all'opinione ecclesiastica, ( aumentandone il peso che in Italia è già notevolissimo) oppure, come è più probabile, si fa di essa un comodo paravento per non affrontare in modo aperto e leale, veramente laico, problemi etici di difficilissima soluzione.

La sinistra in genere non sembra distinguersi molto dalla posizione radicale, se non che per un atteggiamento più sobrio, ed anche se cautamente, talvolta con alcune riserve, gruppi di donne, associazioni, singole donne, giornaliste, studiose, criticando la legge 40, hanno appoggiato il referendum. Il dibattito su questa brutta legge ha consentito che i punti di vista emergessero più chiaramente, ma non abbastanza, non in modo approfondito e allargato: rimane un elemento di schematismo e di confusione per cui, chi avanza oggi dubbi e perplessità sui problemi sollevati dall'applicazione delle biotecnologie rischia di essere etichettato come cattolico. E viceversa, chi non condivide la posizione della Chiesa ( in parte fatta propria per motivi di opportunismo politico dall'attuale governo nella stesura della sua legge ) sarebbe tout court un progressista ! Come se nel mondo al di là delle varie religioni e spesso al di là delle posizioni politiche, all' interno del pensiero scientifico e filosofico, all' interno di gruppi di donne, o nella libera riflessione dei singoli/e non ci fossero per fortuna posizioni laiche che si distaccano da una supina acquiescienza alle scoperte scientifiche, che non considerano affatto la loro applicazione necessaria e irreversibile. Come se non ci fossero persone che, più che di leggi sulle singole applicazioni, sentono l'esigenza di una riflessione etica sugli attuali sviluppi della scienza.

Poichè gli argomenti in ballo sono di vitale importanza è dunque urgente che il dibattito si allarghi, si intensifichi al di là della legge 40. Quest' ultima riguarda infatti solamente, anche se in modo restrittivo rispetto ad altri Paesi, una delle possibili applicazioni che consentono le biotecnologie: la procreazione assistita in caso di sterilità o di altri impedimenti. Essa rappresenta solo la tappa di un processo in fieri della biogenetica a livello mondiale. Sarebbe opportuno che il dibattito si allargasse sin da oggi sul rapporto scienza-società, invece di aspettare, come purtroppo accade, il prossimo esperimento scientifico sensazionale per riparlarne.

Attraverso interventi televisivi, articoli, in questo periodo, si sono udite affermazioni, letti punti di vista, che appaiono molto discutibili non solo perché incondizionatamente favorevoli alle applicazioni della biogenetica, ma per la concezione di rapporto con la natura che sottendono. Emblematico, a questo proposito, quanto ha scritto sull'Unità del 14 gennaio scorso Demetrio Neri, docente di bioetica all'università di Messina. Traendo spunto dalla citazione di Jürgen Habermas che sullo stesso giornale aveva fatto in precedenza il prof. Paolo Prodi, Neri attacca la posizione del filosofo tedesco che, come si sa, ha dichiarato di disapprovare il proseguimento di esperimenti che comportino la modificazione del genoma di qualsiasi essere vivente come una strada che "metterà a repentaglio l'autocomprensione normativa di persone che conducono la loro vita portandosi mutuo ed uguale rispetto".

Evidentemente, la posizione di Habermas è più articolata ( "Il futuro della natura umana", Einaudi, 2002), ma il punto su cui si sofferma maggiormente Neri per centrare la sua critica è quello in cui il filosofo tedesco -pur rendendosi conto di alcuni effetti benefici che le applicazioni delle biotecnologie potrebbero avere ad esempio nella cura di certe malattie- afferma di preferire la casualità della nascita rispetto all'intervento sul genoma "nel momento stesso in cui tali applicazioni rendono possibile scegliere chi nasce -e sia pure in prospettiva- predeterminare il corredo genetico". Riprendendo polemicamente le motivazioni addotte da Habermas, Neri attacca in particolare questo punto della casualità della nascita: " Per la verità io non sono per niente sicuro che la nostra autocomprensione etica di genere, di persone libere ed eguali, sia così strettamente connessa alla 'datità naturale della dotazione organica'. Ripercorrendo mentalmente i processi storico-culturali delle nostre forme di vita, centrate sulla 'figura moderna dell'universalismo egualitario' non trovo grandi tracce di questo nesso: anzi non abbiamo fatto altro che lottare (vittoriosamente, almeno nella civiltà occidentale) contro il peso della datità naturale, riconoscendoci liberi ed eguali non sulla base, ma contro tutte le datità naturali, che di volta in volta venivano evocate: la datità del sesso, del censo sociale, del colore della pelle, dell'orientamento sessuale e così via ".

Ora, davanti ad affermazioni del genere ( il corsivo è mio ) si rimane sbalorditi : ma è così che gli intellettuali italiani che scrivono su giornali di sinistra interpretano e stravolgono i processi storico-culturali centrati sull'egualitarismo, il lavoro politico dei movimenti di liberazione? Quando mai si è detto che abbiamo lottato contro la datità naturale dell'esser nati di sesso femminile piuttosto che maschile, dell' esser nati neri piuttosto che bianchi o gialli, dell' essere omosessuali, transessuali o altro? Noi abbiamo lottato contro la pesante manipolazione, che la società patriarcale ha perpetrato (e in molti luoghi continua a perpetrare) sugli esseri nati di sesso femminile, di colore nero, di comportamenti sessuali diversi, di apparenze sessuali incerte o miste, e così via. Che è una cosa profondamente diversa da quanto afferma il professore di bioetica. La terribile confusione che egli fa è purtroppo rivelatrice di un fatto che sapevamo già ma che speravamo almeno i professori di bioetica non approvassero: la manipolazione millenaria della natura da parte di esseri di sesso maschile della specie umana.

E' infatti proprio il pensiero che questa manipolazione sottende, a suo tempo denunciato da Horkheimer e Adorno nella Dialettica dell'Illuminismo, a non accettare la datità naturale, a vedere nella natura solo un oggetto da sottomettere ai propri fini, da asservire. Parlando come parla Neri, si confondono di fatto le diseguaglianze, i mali naturali, che pure esistono, con le diseguaglianze e i mali creati dalla società umana, contro i quali i movimenti politici radicali hanno combattuto, e si rischia di vedere "illuministicamente" (come direbbero gli autori della scuola di Francoforte, di cui Habermas è in un certo senso l'erede ) nell' intervento umano sulla natura un intervento comunque, a-priori positivo. Gli esperimenti di ingegneria genetica si basano su questa concezione di asservimento della natura, che non è mai stata rimessa in discussione. Anche se esistono delle possibilità di applicazioni benefiche, come sembra, per la cura di alcune malattie; anche se interventi come l'inseminazione artificiale possono dare un senso di libertà, di rottura degli schemi famiiliari, a donne cihe non vogliono passare attraverso il rapporto con l'uomo per procreare, coppie di lesbiche, di gay, rimane un fatto che questa concezione strumentale della natura rischia così di rafforzarsi, di ritorcersi contro le aspettative di una società più libera, più umana, più rispettosa dell'altro/a.

In realtà ciò che viene spesso chiamato -da chi domina politicamente, intellettualmente- "datità naturale" è qualcosa di nient'affatto naturale, nato dallo scontro fra una situazione di bisogno e una di forza, e risoltosi poi a favore di chi ha acquisito il potere di chiamare "naturale" una condizione che non è affatto tale, come Aristotele aveva avuto, secondo Simone Weil, il potere di far credere ai suoi simili che i nati schiavi per natura fossero felici di questa loro condizione.

E' evidente che la possibilità di intervenire sul genoma ha fatto sì che si giungesse come a un bivio. Anche coloro -donne e uomini- che sono favorevoli al proseguimento di esperimenti in tal senso non possono ignorare la gravità di questa scelta. In un certo senso è come se si fosse arrivati al culmine di un processo di dominio sulla natura che per Adorno e Horkeimer era cominciato già al tempo dei Greci, per Simone Weil con la scienza moderna, con Galilei, con l'introduzione del concetto di forza come unico principio che regge il cosmo. Secondo la filosofa francese, l'umanesimo sorto nel Rinascimento e culminato nella Rivouluzione dell' 89, ha cercato di opporsi a questa concezione basata unicamente sulla forza, ma la "filosofia che ha ispirato lo spirito laico e la politica radicale si fonda contemporaneamente su questa scienza e su quest'umanesimo, che sono, come si vede, visibilmente incompatibili. Nel corso di questi ultimi secoli la contraddizione tra scienza e umanesimo è stata percepita in modo confuso, benché non si sia mai avuto il coraggio intellettuale di guardarla in faccia. Senza averla prima esposta, si è tentato di risolverla. Questa slealtà dell' intelligenza è sempre punita con l' errore." (La prima radice).

Sembra oggi che questa contraddizione sia più che mai presente e il coraggio di guardarla veramente in faccia da parte dello spirito laico, della politica di sinistra scarseggia. E non è un caso che essa riappaia in tutta la sua evidenza nel momento in cui la scienza sembra arrivata al culmine del suo processo di dominio. Il suo tentativo di sostiuirsi alla natura, di piegarla totalmente ai suoi fini si fa sempre più pressante. E' l'antichissimo sogno, il mito della Creazione e del Creatore che si fa avanti con estrema evidenza in queste ultime tappe dello sviluppo scientifico, in cui lo scienziato diventa capace di intervenire sul genoma fino alla fabbricazione completa di esseri viventi di ogni specie.
E' l'antichissimo sogno dei maschi dominatori della specie umana che almeno in Occidente ha da sempre il suo modello nel Dio Creatore della Bibbia, nella sua potenza, "et lux fuit", creatrice. E ci si chiede a questo proposito se l'ipotesi di Maria Zambrano, espressa in L'agonia dell'Europa, di una religione giudaico-cristiana divenuta nell'interpretazione occidentale una religione totalmente ancorata al mondo, che vuole realizzare qui, ora e subito, il regno dei Cieli, la città di Dio, non sia l'espressione più appropriata per leggere questo processo di dialogo dell' uomo occidentale con il Divino come tentativo di carpirgli il fuoco della creazione, attraverso una comunione materiale che gli permette, come i fedeli, di mangiare il corpo divino, che diventa così carne e sangue del corpo creato a sua immagine e somiglianza. Di incorporarlo fino a confondersi con lui, fino al punto di poterlo sostituire. Suo clone perfetto, capace ormai di essere non simile, ma uguale, stesso, medesimo. Clone del Creatore. Realizzazione completa del prodigioso "a solo" che l'intelligenza maschile ha già fatto risentire a lungo, attraverso i secoli, sottomettendo la natura, obliterandola sin nell'essere che ha partorito i suoi figli. ( Luce Irigaray, Speculum ).

Non si tratta di ipotesi prive di fondamento. Le applicazioni delle biotecnologie vanno verso la sostituzione del frutto fecondato nel ventre femminile, ultima servitù alla natura - se si esclude la morte- con il manufatto di laboratorio, con la fabbricazione su ordinazione dell'essere vivente umano e non. Ne parlava con molto candore nel numero del febbraio 2000 del Monde diplomatique, uno scienziato, a proposito delle possibilità future della clonazione. Un'umanità moralmente progredita, diceva, sarebbe quella in cui la donna potrebbe essere infine liberata dalla condanna biblica "Tu partorirai con dolore", e la procreazione potrebbe essere definitivamente scissa dalla sessualità.
Purtroppo questo mondo "moralmente progredito" è altamente improbabile e lontano. E invece rimangono molto inquietanti e vicine le prospettive delle applicazioni scientifiche dell'ingegneria genetica che come tutto il resto sono già cadute nelle mani avide e senza scrupoli della logica di mercato. Quale controllo a tutto questo? Solo un mondo di donne e di uomini, di persone estremamente vigili e consapevoli potrà impedire che la natura continui ad essere asservita in ogni suo aspetto, prefigurando un diverso rapporto con essa, rimettendo in discussione le certezze arroganti di una scienza che si appresta a considerare sempre più "naturale" (come già avviene per il mondo vegetale, per alcuni animali) l'applicazione utilitaristica di nuove scoperte, inconsapevole in parte essa stessa delle conseguenze. O forse, perfetto Clone del Creatore, lo scienziato avrebbe acquisito il potere di sottrarsi a qualsiasi umano controllo? Una scienza così potente non sarebbe che una nuova forma mostruosa di totalitarismo.

7-03-05