Cogne: il sospetto
di Lea Melandri

Non è solo nel mondo animale che le madri uccidono i loro piccoli; gli infanticidi, per quanto rari, si danno anche tra le mura domestiche. Ma sono quasi sempre episodi che passano frettolosamente in cronaca, associati a circostanze che ne eludono la drammaticità o la giustificano su basi più rassicuranti: miseria, degrado, irregolarità sociale, patologia accertata.


Il 22 febbraio, in un appartamento occupato abusivamente alla periferia di Novara, la giovane sposa di un albanese picchia selvaggiamente la neonata di tre mese "perché piangeva". La notizia compare due giorni di seguito, il tempo per far sapere che la piccola è morta in ospedale e che la madre è in stato di arresto. Le circostanze hanno la funzione di attenuare una verità che entra in modo traumatico a scuotere convinzioni tanto radicate nell'animo umano quanto restie a lasciarsi descrivere e modificare. Ma può anche succedere che, in mancanza di coperture di qualsiasi tipo, l'atto che dissacra l'idea acquisita di amore materno trovi altre vie per rivelarsi come "possibile".

A Cogne, il 30 gennaio, un bambino di tre anni, Samuele, viene trovato in casa "con la testa sfondata" per i colpi inferti da un "oggetto contundente". Il brevissimo tempo in cui avviene il delitto, la posizione isolata della casa, per cui sarebbe stato difficile per qualsiasi estraneo entrarvi e uscire senza essere visto, le sorprendenti testimonianze date dalla madre e da un'amica psichiatra, chiamata per prima in aiuto, che parlano di una improbabile morte per emorragia o aneurisma, tutto contribuisce a orientare fin dal principio l'attenzione verso un interno di famiglia. Le due donne incaricate di condurre l'inchiesta, come pm e come procuratore della repubblica, dopo aver sperato inutilmente in una confessione a breve tempo, affidano alle "prove oggettive" della più moderna tecnologia investigativa un esito che molti ormai credono di conoscere, e che temono. Dal silenzio dell'autorità inquirente e dalla cautela dei media ad azzardare un volto, sia pure "supposto", per l'assassino, esce ingigantito per contrasto il sospetto che a trasformarsi in strumento di morte possa essere stata la stessa mano che nutre e consola i figli.
La speranza di trovare la prova inconfutabile del delitto -un'arma, un vestito insnaguinato- "lontano" dalle normali, prevedibili abitudini di un appartato chalet ai piedi del Gran Paradiso, sogno di ogni coppia di sposi, diventa in alcuni commenti giornalistici preghiera o invocazione retorica. Nessuno, nemmeno i magistrati che si occupano del caso, sembrano credere che nella tranquilla valle di Cogne si aggirino mostri o lupi affamati. A ricondurre ogni giorno i riflettori sulla casa di legno e di pietra, simile a mille altre in Val d'Aosta, in assenza di notizie di rilievo, si può pensare perciò che sia soprattutto il dubbio inquietante di dover vedere sotto una nuova luce, impensabile e imprevedibile, movimenti quotidiani comuni a tutte le famiglie.

Di questa "normalità" i coniugi Lorenzi, i genitori di Samuele, stando alle descrizioni dei compaesani, non sono un esemplare qualsiasi, ma un modello quasi perfetto: belli, sportivi, amanti della montagna, felicemente collocati nei ruoli più tradizionali del maschio e della femmina, lui attivo nella professione e nella vita pubblica, lei sempre più vincolata alle occupazioni di moglie e madre incline a "far tutt'uno" coi figli. Difficile immaginare una parentela più stretta tra l'ideale pubblicitario della coppia e l'iconografia cristiana della famiglia. Il prolungarsi dell'indagine consente ai cronisti di moderare gli eccessi celebrativi, ma, per quanto ingrigito, il quadro rimane pur sempre quello di una normalità che non ha niente di perturbante: litigi tra coniugi, ansie materne, solitudine della donna in un tempo scandito totalmente dai ritmi famigliari.
L'ipotesi avanzata da alcuni esperti, che si sia trattato di un raptus omicida, porta ad avvallare ancora di più un sospetto che si esita a pronunciare, e che solo attraverso le indiscrezioni di paese osa prendere indirettamente corpo: Anna Maria Lorenzi è la prima di dieci fratelli e sorelle, una "vicemadre", il suo matrimonio forse non è più felice come appare, e la sua maternità è turbata dal timore ossessivo di un figlio "ritardato". Tutto fa pensare a un'esplosione di ira cresciuta sulle radici di un malessere antico: altri pianti da consolare nella numerosa famiglia d'origine, sofferenze e insoddisfazioni proprie mai ascoltate. L'atto omicida, nella sua eccezionalità, interrompe la linea continua di ciò che appare alla ragione noto e controllabile, ma non esula mai del tutto dal legame sotterraneo con il tessuto abituale dei nostri comportamenti. Inquietante, così da dover essere espulsa e estraniata, è proprio la possibilità di una parentela tra la violenza che corrode silenziosamente i corpi, i sentimenti, i pensieri, e la sua esplosione incontrollata, che colpisce fuori posto ma mai a caso.

Ciò che emerge a fatica da una più consapevole coscienza femminile è che il ruolo di madre, potenzialità biologica divenuta norma, valore, destino sociale della donna, porta in sé l'ambivalenza dell'amore e dell'odio, della dedizione e della rivolta. L'"altro", il "mostruoso", non è che la faccia meno visibile dei nostri affetti e dei nostri atti, ciò che la vita dei singoli e la storia sociale conservano di impensabile e indicibile. Gli stessi "interrogativi inquietanti" che la comunità di un piccolo paese, per bocca del suo parroco, rivolge alla figura femminile sospettata di aver stravolto il suo compito di madre, andrebbero calati su quei riti, pietosi e crudelissimi, che hanno permesso, anche in questo caso, di tenere fermi i luoghi comuni del dover essere: i funerali, lo strazio della madre stretta tra il bisogno di raccogliere la solidarietà del paese e di far fronte al sospetto della sua colpevolezza. Nell'antico teatro greco il coro sottolineava la tragicità delle vicende umane, oggi le rivernicia perché conservino la loro ipocrita coloritura ideale.

Ai piccoli compagni di scuola di Samuele le madri raccontano che il loro amico è volato in cielo, vicino a Dio come gli angeli, mentre si affannano, per un altro verso, a nasconderne il feretro sotto una montagna di giocattoli che non vedrà mai. Ma le domande dei bambini sono, al contrario, molto realistiche e precise. Esentati dal riserbo, formulano a voce alta ciò che gli adulti mormorano, temono, dicono attraverso quella geniale via d'uscita che è la "negazione". Chiedono "chi è stato?", ma anche "mamma, tu mi uccideresti?", si accontentano all'apparenza di credere che sia stata "una persona cattiva", ma subito dopo si trovano inspiegabilmente a mettere quel volto assoluto del Male sulla figura aggraziata della giovane signora che a Natale, insieme a Samuele, ha incarnato per tutti la Madonna del Presepe di Cogne.
Le "prove oggettive" possono essere contestate, una confessione non arrivare mai, ma nel sentire comune il sospetto ha già consumato una verità dissacrante, che non lascia più dormire sonni "normali" né accontentarsi di certezze acquisite una volta per sempre.