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Anna Colombo è deceduta il 4 febbraio 2010 a 101 anni. Le biografie, e ancor più le autobiografie hanno per me un grande fascino. Con grande aspettativa ho, quindi, affrontato la lettura di questo lavoro di Anna Colombo e con pari fastidio ho scorso le prime pagine, un po' farraginose nella ricostruzione delle varie figure di famiglia. Procedendo, però, sono stata man mano catturata dalle vicende di una ragazza italiana come tante che cerca di costruirsi un'identità giusto negli anni Trenta e deve misurarsi con gli esiti della politica razziale del fascismo. Niente di sconvolgente, all'inizio, solo tante difficoltà in più. Proprio la “normalità” di questa vita è ciò che colpisce e la burbera sincerità con cui Colombo narra di se stessa adolescente e poi giovane donna. “ Ero una borghesuccia... e sempre chiusa tra i libri; erano gli anni della depressione mondiale, quindi di povertà diffusa e rassegnata. (...) quello che mi metteva contro il fascismo, era la mancanza di libertà, di legalità, l'arbitrio delle decisioni quotidiane, l'evidente sperequazione tra le vie aperte ai ricchi, che potevano accedere ai licei e all'università, e le poche accessibili ai poveri, i cui studi si concludevano a tredici anni!” La scuola ha uno spazio importante in questa biografia, essendo stata la protagonista per molti anni insegnante in licei italiani; il suoi ricordi rappresentano lucidamente la forza del rapporto didattico e, insieme, l’assurdità dell'istituzione scolastica. Attraverso un'esistenza tutt'altro che ovvia, vissuta tra Francia, Romania, Italia e Israele, due matrimoni, due separazioni, una maternità, emerge il dignitoso rigore, la linearità con cui Anna affronta le numerose disavventure della sua lunga vita. E’ sempre guidata da una dirittura morale, da una coerenza puntigliosa che ristorano e confortano in questi nostri tempi di confusione delle lingue e delle idee.
Anna Colombo,
21 agosto 2005 |
