Non posso tacere


di Mariolina Congedo*

Non posso tacere sulla vicenda dolorosa della famiglia Englaro sono state spese troppe parole e scrivo nel timore che il clamore mediatico non consenta a chi legge la riflessione pacata che ho la presunzione di proporre. Ma voglio correre questo rischio, in modo assolutamente personale, per ragioni inerenti sia alla mia professione che al mio credo religioso. Mi scuso con le persone che nomino, che forse preferirebbero il silenzio.

E’ ormai un malcostume italiano che gli aspetti tecnici delle vicende sanitarie oggetto di contese politico-giudiziarie vengano trattati con preoccupante leggerezza. I distinguo faticosamente identificati dai medici, le conclusioni oggetto d’impegno, osservazione ed uso consapevole della tecnologia diagnostica non sembrano valere niente rispetto al consolidarsi minaccioso di fronti ideologicamente in opposizione, talmente distanti che non è possibile restare “neutri”, ed ognuno di noi, almeno nel suo intimo, deve schierarsi.
La difficoltà a rendere efficace una sentenza è grave perché mantiene nella confusione un Paese che soffre di cronica sfiducia nelle istituzioni e tende alla ricerca di soluzioni “fai da te”, molto distanti dagli standard di consolidata civiltà a cui ambiremmo.  
Queste cose sono state dette e ripetute da fonti autorevoli ed evito di dilungarmi.

Se questa è una battaglia della laicità, vi sono, però, delle osservazioni che vorrei proporre soltanto a chi, come me, si riconosce nel Cristianesimo.
Sono colpita dalla mancanza di carità che caratterizza tante reazioni a questa vicenda: il giogo sulle spalle di chi vive nella propria famiglia il dolore per una condizione come quella di Eluana, è enorme, e servirebbe una fraterna comprensione, anche nella diversità di pareri, piuttosto che crociate ideologiche.
Ma entriamo nel merito della “morte sospesa”, della condizione indotta dalla tecnologia ed indefinitamente mantenibile: possibile che non percepiamo il paganesimo della difesa di un corpo privato di qualunque relazione e progettualità? Proprio per chi crede, la Vita non è semplicemente un insieme di funzioni vegetative e difendere così strenuamente quelle appare come la negazione di una prospettiva più grande nella quale anche Eluana si colloca, se crediamo nella misericordia di Dio. Sono felice della posizione di ascolto e condivisione assunta da alcuni sacerdoti del Friuli-Venezia Giulia nella lettera di Natale 2008 intitolata “Nella complessità con ragionevole speranza e rinnovato impegno” . “Avvertiamo l’esigenza di porsi molto di più in ascolto della vita e di tutte le sue situazioni e per questo di aprirci con rispetto a diverse possibilità. Com’è vero che nessuno dovrebbe sollecitare, tantomeno obbligare qualcuno ad anticipare la propria morte biologica, ci chiediamo se è ugualmente possibile che nessuno sia obbligato a vivere anche in quelle condizioni estreme che inducono a desiderare la morte come una liberazione da una vita considerata impossibile.”

Personalmente sono a favore delle legittime richieste della famiglia Englaro e comprendo che questa dolorosa battaglia rappresenta un percorso di civiltà, non solo per consentire l’autonomia nelle scelte che ci riguardano, ma anche per sollevare dall’isolamento e dal timore chi scelte analoghe compie nella solitudine e nel silenzio. Prima di essere distratti dalle luci natalizie, guardiamo al caparbio coraggio di Beppino Englaro come ad una dolorosa ricerca di legalità, nell’interesse di tutti.

*Mariolina Congedo
medico neurologo
membro del Gruppo di Studio di Bioetica e Cure Palliative
della Società Italiana di Neurologia

Trieste, 20.12.08