I consultori
nelle prospettive femminili
Piera
Serra
E' importante
difendere la laicità dei consultori, la preziosa professionalità
di chi vi opera e la libertà delle utenti di accettare o rifiutare
gli aiuti offerti. Sarebbe tuttavia opportuno anche rispondere agli operatori
che ricercano un confronto sulla gestione e funzionamento di questi presidi
(vedi per esempio www.usciamodalsilenzio.org/consultori-emiliar.pdf):
chiederci se il modello delle prestazioni sia sempre pienamente favorevole
alle donne che vengono assistite; vi sono infatti situazioni di conflitto
tra un interesse maschile e uno femminile nelle quali può capitare
che il primo oscuri il secondo, al di là delle buone intenzioni
di chi opera.
Recentemente, per esempio, ho intervistato diversi colleghi (psicologi)
sulla questione delle donne che scelgono di abortire pur desiderando portare
avanti la gravidanza, motivate dal non sentirsi in diritto di contraddire
un marito o fidanzato che si mostra contrario alla nascita. Ebbene, alcuni
psicologi ritengono opportuno che una donna rinunci alla maternità
se si accorge che la nascita di un bambino o bambina non sarebbe l'esito
del desiderio di tutti e due i genitori. Taluni addirittura sono convinti
che, se è giusto rispettare il diritto della donna a scegliere
di non diventare madre, sia parimenti giusto rispettare il diritto dell'uomo
di scegliere di non diventare padre: compiono una deduzione razionalistica,
ineccepibile sul piano della logica, senza accorgersi che trascurano e
oscurano il dolore che è per una donna rinunciare a procreare un
figlio di cui si sia prefigurata la nascita, nonché la profondità
di una ferita che segnerà la sua vita come un'amputazione.
Il punto è che una donna non è autosufficiente nella procreazione:
non solo ha bisogno di chi si occupi del suo sostentamento durante il
puerperio, ma ha anche bisogno di giuste relazioni affinché il
nuovo nato possa crescere serenamente: l'esperienza psicoanalitica di
tutto il secolo scorso ci ha resi consapevoli del fatto che nella nostra
specie, per diventare soggetti autonomi, la relazione con la madre non
è sufficiente.
Allora, al diritto - ovunque asserito - della donna di scegliere la maternità
deve corrispondere l'effettiva disponibilità dei mezzi morali e
materiali necessari per una nascita. E nei casi in cui la società
e la famiglia siano inadempienti, pare delegato ai consultori il compito
- immenso, per la verità - di ricercare soluzioni alternative.
Ad esso spetterebbe non solo l'aiuto economico, ma anche, quando manchi
una rete di positive relazioni intorno alla donna, l'offerta di tutti
gli interventi utili alla creazione di relazioni efficaci: o la valorizzazione
ed eventuale terapia dei rapporti familiari e amicali già esistenti,
o la costruzione di circuiti di comunicazione e scambio come quelli dell'auto-aiuto,
o l'attivazione dei centri antiviolenza. Si tratta di iter concretamente
percorribili; so infatti per esempio di casi di donne utenti di un centro
antiviolenza in quanto vittime di maltrattamenti domestici, aiutate anche
a portare avanti una gravidanza contro il parere del marito: non è
assurdo pensare che un tale aiuto potrebbe essere offerto non solo nel
caso della donna vittima di violenze, ma anche nel caso della donna che
desideri ma non osi non abortire (un aborto scelto per assecondare volontà
altrui non è forse una forma di violenza fisica auto-inflitta?).
Ma il consultorio oggi è in grado di operare in questa direzione?
Le informazioni di cui disponiamo fanno temere che non sempre lo sia.
Non solo le affermazioni di alcuni professionisti fanno pensare che chi
opera sia indotto a mantenere una prospettiva tecnica "neutra",
ma anche la conoscenza delle carenze di risorse genera perplessità:
il mese scorso chiesi ai colleghi dei consultori un intervento psicologico
urgente da offrire a una donna che aveva da poco saputo di essere in gravidanza.
Segnalai che inviavo il caso (che non posso qui descrivere nei particolari,
per non renderlo riconoscibile) perché erano presenti i principali
fattori psicologici e sociali che nella letteratura specialistica sono
individuati come indicatori di rischio di depressione nella gravidanza
e nel post-partum, tra cui un serio disturbo di natura relazionale, nonché
precarietà abitativa. Ebbene, con cinque telefonate e una e-mail
riuscii ad ottenere che lo psicologo vedesse la donna dopo quattordici
giorni: quanto tempo sarebbe occorso se l'utente si fosse presentata direttamente,
senza essere segnalata come caso urgente? Certo, i colleghi mi spiegarono
che in presenza di una richiesta di interruzione della gravidanza l'appuntamento
sarebbe stato garantito nel giro di poche ore: questo ci può bastare?
Non si dovrebbe, invece, mettere questi professionisti nelle condizioni
di intervenire tempestivamente nei casi a rischio, al fine di prevenire
per quanto possibile la richiesta di aborto in donne che desiderano la
maternità?
Oltre a un monte-ore degli operatori insufficiente, anche gli strumenti
finanziari sembrano troppo scarsi: se può capitare che assistenti
sociali inviino utenti incinte povere al movimento per la vita per un
aiuto economico, è certamente perché i sussidi a disposizione
di queste operatrici sono insufficienti per far fronte alle necessità
di tutte le utenti.
Allora, occorre, subito, un movimento culturale che raggiunga chi prende
le decisioni sugli aiuti da offrire alle donne in gravidanza ed esiti
sia nella piena utilizzazione di un sapere professionale che in questi
trent'anni si è sedimentato e perfezionato, sia nella creazione
di canali di interlocuzione tra i professionisti e i mondi femminili:
a professionisti isolati all'interno dei presidi corrisponde un modello
di intervento tecnicistico, un contegno di ossequio notarile alla legge
e corrisponde una donna sola, schiacciata nell'identità di "paziente"
o "assistita".
Se ben guardiamo le implicazioni che tutto ciò potrebbe comportare,
non possiamo nasconderci che si tratta di cambiamenti grandi e certamente
faticosi da perseguire perchè controcorrente rispetto al modello
attuale di gestione della maternità: più efficaci sono gli
interventi offerti dai servizi alla donna in gravidanza, più essa
diventa autonoma dalle volontà del padre del concepito nel decidere
sulla gravidanza stessa. Questo comporta un avanzamento nella promozione
della responsabilità femminile sulle nascite. Che può avere
ricadute sui rapporti tra i generi.
Articolo pubblicato su Liberazione del 10 Gennaio 2006
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