Il corpo bomba
di Lea Melandri


"Il dono di sé colpisce l'immaginazione più di quello della ricchezza. Una prodigalità naturale introduce nel gioco delle forze un sovrappiù che dà potenza a colui che pone la gloria al di sopra dell'interesse. Ognuno di noi allora viene spinto fuori dalla limitatezza della sua persona e si perde, per quanto può, nella comunità dei suoi simili"

(G.Bataille, Il limite dell'utile, Adelphi 2000
).


georgia O' Keeffe


L'articolo è stato pubblicato dalla rivista "Carnet" nel
Giugno 2002

Quando scrisse queste considerazioni, tra il 1939 e il 1945, Bataille pensava a ciò che accomuna "vita guerriera" e "vita religiosa" -l'abnegazione fino alla morte- e ne indicava l'esempio più evidente in "una comunità mistica di soldati come l'Islam". Non poteva certo immaginare che la disponibilità al "martirio", ritenuto segno di predilezione divina e riconoscimento di onore presso la comunità di appartenenza, si sarebbe trasformata un giorno nella lucida, rabbiosa scelta di impugnare il proprio corpo come un'arma o di farlo esplodere come una bomba per uccidere, umiliare, riempire di orrore il "nemico".

L'"evento" che l'11 settembre 2001, giorno dell'attacco di terroristi suicidi alle Torri Gemelle di New York, è parso cambiare il corso della storia, deve gran parte della sua terribilità e del suo fascino alla comparsa di una "nuova forma di guerra" capace, come sottolineò unanimemente la stampa occidentale, di sconvolgere la vita quotidiana evocando le angosce primordiali dell'imprevedibile, ma anche di rendere impotenti e obsoleti i più raffinati sistemi militari: le "bombe umane", scagliate contro una "pacifica comunità" hanno dimostrato di poter ottenere con pochi individui gli effetti devastanti di un esercito. Nel corso dei mesi successivi, e a tuttora, sia pure in dimensioni meno spettacolari e in contesti molto diversi, la strategia sorprendente imposta, in nome dell'Islam, dai terroristi di Al Quaeda è sembrata generalizzarsi: dai "martiri" palestinesi che in numero crescente, soprattutto dopo l'occupazione dei Territori decisa dal governo Sharon, si sono fatti esplodere nei luoghi abitualmente più frequentati dagli israeliani, bar, autobus, supermercati, fino al gesto di un probabile aspirante suicida che il 18 aprile scorso si è schiantato con un aereo da turismo contro il grattacielo Pirelli a Milano, provocando due morti. Ma l'omologazione è fuorviante, sia quando giustifica come "difesa dal terrorismo" guerre e massacri di civili, sia quando individua ideologicamente nell'omicidio-suicidio l'arma dei deboli e degli oppressi.

All'attentato dell'11 settembre a New York qualcuno ha attribuito la valenza simbolica di una "sfida". "Contro un sistema che vive dell'esclusione della morte, morte-zero anche in guerra -ha scritto J.Baudrillard (Lo spirito del terrorismo, Cortina 2002)- si erge la morte sacrificale per un'idea".
La contrapposizione, come avverte lo stesso Baudrillard, ha radici anche all'interno della nostra civiltà, come ombra o contropartita nascosta di un potere che, esaltandosi oltre misura, prepara fatalmente anche la sua caduta. Questo immaginario le avanguardie dell'Islam hanno dimostrato di conoscerlo e di saperlo abilmente manovrare, e non solo per i rapporti intercorsi con gli Stati Uniti prima dell'11 settembre.
La mistica della guerra, al di là delle diverse fedi religiose e politiche, parla la lingua comune di un arcaico "ideale virile" che cova, mai del tutto estinto, dietro l'immagine di un tranquillo, "civile", benessere.
L'"eroe-martire", figura incarnata del legame comunitario, ricompare ogni volta che , per stringere in un corpo solo la nazione, diventa necessario innalzare un'idea, un credo, al di sopra dell'interesse del singolo e della stessa pulsione biologica alla sopravvivenza.

Del "virile" coraggio di sacrificare la vita, in nome di Dio e del proprio popolo, hanno parlato da fronti opposti sia Bush che Bin Laden, ma un richiamo velato in questo senso si poteva leggere anche nell'allusione di Susan Sontag alla "viltà" dei suoi connazionali, abituati da tempo a colpire dall'alto, al riparo di armi sofisticate e senza perdite proprie. Fantasmi di divinità guerriere e di apocalittici angeli vendicatori hanno fatto passare in secondo piano la retorica di morte che accompagna da sempre la lotta per il dominio, riportata al suo volto originario: due contendenti, due "nazioni" cementate al proprio interno dal sangue che le "patrie" chiedono in questi casi ai loro figli. Per quanto riguarda il terrorismo suicida praticato da palestinesi, il contesto e i modi sono visibilmente diversi: non una lotta organizzata e sostenuta da potentati economici e finanziari, come per Al Quaeda, ma la reazione disperata a un'occupazione devastante, tanto che qualcuno ha potuto vederla come scelta estrema di "resistenza". Anche in questo caso, tuttavia, l'odio e la disperazione che trasformano il corpo in una bomba, più che a una spinta liberatoria sembrano rispondere a un imperativo di morte, che ha la sua radice nei riti sacrificali, fatti per placare e intercedere salvezza presso un qualche Dio.
Con l'attacco suicida, compiuto perlopiù isolatamente e con armi improvvisate da strumenti di uso domestico, la "guerra" si privatizza tanto da poter prescindere da ogni preparazione; il comando viene dall'interno, dai massacri che il singolo ha potuto vedere coi suoi occhi, dall'ira sofferta per la morte di un amico.
Il massimo di individualità viene a coincidere col massimo di fusione col gruppo.
Che si tratti, nel suo significato più remoto, di un'offerta sacrificale -richiamo alla passione di Cristo o al sacrificio di Abramo- lo dimostrano l'età e il sesso degli aspiranti suicidi: giovani, persino adolescenti, e donne. Il Dio che promette rigenerazione ha bisogno di "innocenti". Il corpo sacrificale per eccellenza è stato, all'origine, quello femminile: materialmente escluso dalla comunità storica degli uomini, simbolicamente presente come vittima e testimone della benevolenza divina.

Il sacrificio di sé, da questa preistoria dimenticata, sembra aver accompagnato ininterrottamente il destino femminile: dedizione all'altro e adeguamento a modelli imposti.
Ma quello che solitamente si consuma nell'oscurità, e senza valore alcuno, può essere talvolta impugnato pubblicamente, in modo che tutti lo vedano: è così che le donne, nella storia religiosa in particolare, hanno potuto, assolutizzando la loro condizione di vittime, aprirsi un varco alla storia, martoriate nel corpo ma esaltate come gli "eroi", in quanto incarnazione degli ideali collettivi. Viene il dubbio che qualcosa di analogo stia avvenendo nell'animo dei giovani palestinesi di fronte a una strada senza uscita: volgere in attivo una morte certa, farla valere per la propria gente e per chi la opprime. Una valenza tragica, sanguinosa, terrificante, che vorrebbe paradossalmente far giustizia ridistribuendo sofferenza e morte, aprire gli occhi di chi non vuole vedere chiudendoli per sempre, rendere visibile la propria umanità disumanizzandosi.