Sbagliato farne solo una questione di pro o contro
la scienza
Fecondazione assistita, cosa c'è dietro questa scelta?
di Ambrogio Cozzi

Rachel Ruysch
Scrivere sull'argomento dei referendum mi provoca una sorta di disagio, mi
sembra infatti di violare il velo di pudore che dovrebbe permanere su
questo tema su un duplice versante: quello del prender la parola come
uomo, e quello della sofferenza che accompagna le coppie che fanno ricorso
alla fecondazione artificiale. Sceglierò pertanto di soffermarmi su questi
aspetti, rinviando ai numerosi articoli apparsi nella stampa e in testi
per gli altri aspetti dei quesiti referendari.
Sul primo punto ritengo di aver poco da aggiungere a quanto ha scritto
Adriano Sofri su La Repubblica di domenica 5 giugno, e questo poco
cercherò di riprenderlo alla fine.
Sul secondo punto invece sono abbastanza sorpreso. Infatti il dibattito
sembra viziato all'origine, quasi fosse scontato il ricorso alla
fecondazione artificiale come una risorsa a cui si accede tranquillamente,
senza alcuna contraddizione, per cui le posizioni sembrano ridursi
all'essere pro o contro la scienza e le possibilità che questa offre.
Cercare di rompere questa maglia discorsiva non è un lavoro facile, e
diviene possibile solo se nel discorso entrano aspetti considerati
secondari, che però portano a modificare radicalmente la prospettiva, e
che rendono importante il voto anche in un'ottica di rilancio di temi che
forse sono più vicini al quotidiano di quanto possa apparire.
Un figlio ha un posto che precede la sua nascita, un posto simbolico
scavato dalle parole di chi lo desidera, lo attende, lo inserisce nel
corso delle generazioni. A volte questo desiderio incontra un limite: il
corpo non risponde, rinvia ad un fallimento che comincia ad essere
interrogato. Il corpo che si ha, che si pensa di governare ci tradisce. Ci
si accorge che quel corpo che si ha, rimanda al corpo che si è, senza il
quale sarebbe impossibile averlo. Un incontro traumatico al quale si
cercano risposte, e il più delle volte soluzioni, che non sono lineari, ma
spesso molto accidentate.
Il ricorso alla scienza si inserisce in questo scacco, ove però, per
riparare il trauma, inscrive gli atti del concepimento in un nuovo
registro, sezionando gli atti stessi per governare la natura da un altro
punto di vista. I gesti amorosi vengono piegati ad altri ritmi,
predeterminati dal sapere sul corpo che si è, sottomettendo interamente
l'altro corpo a questo, quasi eliminando una dialettica necessaria
all'esistenza. Da qui una sensazione di disagio lungo il percorso della
fecondazione assistita, da qui reticenze e difficoltà che rinviano alla
sofferenza iniziale.
L'erotismo che si lega nel concepimento
appare ora slegato, sottoposto ad un altro discorso, i gesti ripetuti si
configurano quasi come una riduzione dei gesti originari. Certo, il
discorso riprende quando la fecondazione ha successo, quasi azzerando il
prima, che diviene ora ricordo sbiadito, di cui alcuni pezzi sono persi.
Ma cosa rimane del prima, della difficoltà nel discorso che precede il
ricorso alla provetta, dei silenzi e delle domande che si pongono davanti
allo scacco? Perché ridurre al silenzio il carico che grava sullo scacco e
che si ricompone solo nei gesti di cura successivi?
Si assiste quasi ad una rappresentazione
caricaturale di certe scelte, eliminando la dimensione di inquietudine che
attraversa i soggetti, che porta alcuni alla fecondazione assistita ed
altri alla decisione di non ricorrervi, quasi che la soluzione esistesse
già in partenza, e non fosse invece frutto di una decisione, di un atto
che interroga i soggetti coinvolti, che vengono così cancellati, ridotti
ad attori di un copione già noto, scritto da altri (senza saper bene chi
siano questi altri: il legislatore? gli scienziati? i vescovi?)
Forse se una parte almeno di questi
discorsi trovasse cittadinanza politica il dibattito muterebbe,
diventerebbe una interrogazione sul rapporto con la scienza differente,
cercherebbe di includere quella parte nascosta sulla sessualità in
rapporto alla fecondazione assistita che oggi è assente. L'alternativa
sarebbe sicuramente meno secca, si aprirebbero delle crepe per un
confronto più ricco, anche se meno facile.
Il discorso diviene ancora più difficoltoso se si parla di fecondazione
eterologa. Quali linee segue il desiderio all'interno di una coppia se si
sceglie di far ricorso ad una presenza fantasma fuori dalla coppia,
sconosciuta e che tale dovrà rimanere? Quale significato simbolico assume
la presenza di un figlio il cui posto è stato pensato dentro questa
decisione?
Forse queste domande rinviano a mutamenti silenti che hanno
sotterraneamente preceduto la fecondazione artificiale, e che si situano
nel declino della figura paterna, nella domanda tragica rivolta ai figli
di essere amati prima di riuscire ad amarli. Quasi un gioco di specchi che
ben rappresenta la difficoltà delle relazioni con i figli oggi, e che
cerca penosamente di non fare i conti sullo scarto tra il proprio
investimento e la presenza del figlio reale, cercando anzi di annullare
queste differenze nelle immagini riflesse di sè nell'altro, quasi chiamato
a confermare l'investimento iniziale che si ferma sull'inizio. Annullando
il tempo come dimensione che traccia un percorso e nei segni che lascia
lungo il percorso indica le differenze. Un tempo fermato, immobile sulla
soglia dell'inizio.
Si sostituisce lo specchio in cui
riflettersi all'inquietudine che la presenza dell'altro crea, "avventura
incerta" da non percorrere per evitare delusioni e sofferenze, momenti di
passione e momenti di sbandamento nell'accorgersi che l'altro voluto e
desiderato non è come noi lo vogliamo, ma si staglia e si stacca come
differenza rispetto al nostro desiderio. Fantasmi che popolano le
difficoltà del quotidiano, e che rendono evidente la tragicità delle
scelte, e che forse ci fa apparire quel che accade nei percorsi che
portano al laboratorio e alla provetta segni di difficoltà più diffuse,
meno asettiche, meno innocenti di quel che a prima vista può apparire.
Reimmerse nella quotidianità di cui sono
intrise, queste scelte parlano di tutti noi, dei cambiamenti cui abbiamo
assistito o partecipato, delle difficoltà del vivere che la politica non è
riuscita a dire, forse perchè non ne aveva i termini, forse perchè i
nostri pudori hanno fatto calare un velo di silenzio per non esporci a
sguardi estranei e perturbanti. Forse perchè abbiamo cercato di evitare
l'incertezza e il vacillamento che questo esporci avrebbe comportato.
Riprendere questi elementi, non è forse segno di un profondo amore per la
vita, di una cura per la vita che trova radice nel quotidiano per riuscire
a staccarsene senza negarlo?
Credo che se oggi ci si trova costretti nell'alternativa secca, che
elimina le presenze concrete, a dover formulare quattro sì, si possa
cercare di uscire dalle strettoie per ritrovare una possibilità di ripresa
di questi temi, che altri esiti di questo referendum invece chiuderebbero.
Ci sono quindi aspetti su cui si può prendere la parola anche come uomini,
senza inutili forzature, ma partendo anche dal quotidiano dell'essere e
del divenire padri, come posizione che oggi non è così scontato occupare.
Senza questo aspetto cui la fecondazione rimanda, cioè senza riprendere il
divenire padri o madri in un vuoto di modelli, il dibattito sulla
fecondazione rimane un po' acefalo, poichè non si capisce a che cosa
rinvia, a quali soggetti fa riferimento. Credo sia anche questa la strada
per evitare di rimanere rinchiusi solo sull'alternativa secca, che rinvia
a soggetti solo come fruitori del mercato delle opportunità, cancellando
nel contempo gli aspetti di scelta che invece rinviano all'amore e alla
cura, alla presenza di questi campi nel quotidiano, che lo attraversano,
lo segnano e lo significano anche tramite la nostra presenza e le nostre
risposte.
questo
articolo è apparso in Queer inserto di
Liberazione del 12 giugno 2005
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