Alcune riflessioni sul potere e la politica

Ambrogio Cozzi

 

 

“Perché noi conosciamo le nostre mogli, le nostre figlie, le nostre sorelle”
“Credo che Berlusconi con questi fatti sia stato smascherato, ognuno potrebbe pensare alle proprie figlie in sua compagnia”
“Ma è vero che sua figlia era tra le intime di Berlusconi? Magari, sarebbe a posto tutta la famiglia”

Ho messo le tre citazioni all’inizio per evidenziare un punto di mancata comprensione di quello che sta accadendo da parte della sinistra. L’uso di una strategia che riporta l’orrore dell’ignoto, dell’inquietante di cui si è venuti a conoscenza, all’interno del perimetro familiare, e da questa posizione effettuare un rifiuto, un ritrarsi inorriditi, quasi che il perturbante venisse ad assumere il suo valore solo all’interno del noto, come ritorno dell’ignoto nel noto, o meglio come ritorno di qualcosa che la familiarità aveva espulso e che ora ritorna in forme riconoscibili. E da questo la necessità di una messa a distanza rassicurante attraverso la nuova definizione di confini antichi.

Come si può vedere però dalla terza citazione, c’è qualcosa che fa inciampo, l’orrore non è così condiviso, anzi, produce un effetto contrario, l’invidia per coloro che hanno fatto parte del cerchio. Che cosa è accaduto, come mai non riesce a generalizzarsi la manovra di rifiuto, quel ritrarsi davanti al sacro confine che separa il familiare dall’ignoto?

Una prima ipotesi potrebbe essere quella che ciò che è dato per noto, non lo sia poi così tanto. Credo che la letteratura ci riporti fior di esempi di quanto sia illusoria questa convinzione. Al fondo vi è una sorta di depotenziamento dell’incontro con la sessualità, una sua riduzione a qualcosa di noto, evitando così l’inquietudine che l’incontro con la sessualità introduce, la perdita di riferimenti certi, l’interrogarsi sull’altro sui suoi desideri, e di riverbero l’interrogarsi su di sé, sui propri desideri.
Da qui i richiami al dover essere assumono il valore di rimando all’ideale che non coglie i mutamenti, le differenze che lo smentiscono, certo e acquietato della sua valenza morale, si rivela sordo e cieco a quel che accade. Ci propone non di fare i conti con il mondo, ma di rinchiuderci in un confortevole guscio che ci rassicura sulla bontà e correttezza nostra e del nostro mondo familiare.

Ma vi è anche una lettura riduttiva della complessità del sociale e del  politico, che viene interpretato come una riedizione di quel che il singolo incontra o ha incontrato nel suo ambito più stretto di appartenenza. Come se in fondo la società non costituisse che il raddoppiamento, l’estensione della famiglia.

Quel che viene eluso è il nodo che lega la politica al potere, tabù sempre evitato, nonostante le tragedie politiche del novecento abbiano fornito un’abbondanza di occasioni per interrogarlo.
E’ un nodo che si incontra nel trattamento analitico quando il paziente afferma “…è più forte di me”, sperimentando in maniera traumatica una perdita di padronanza nel ritorno, nella ripetizione di un comportamento che sarebbe meglio inibire, e che invece si continua a mettere in atto.

La ripetizione si presenta sotto due versanti specifici, a seconda del tipo di domanda che chiama in causa. Il primo versante è quello che Freud isola come ripetizione transferale, dove il soggetto indirizza all’analista le richieste che in passato rivolgeva ai suoi genitori. La domanda transferale chiama in causa, in questo caso, l’Altro parentale al quale inconsciamente si rivolge.
A questa possiamo contrapporre una domanda centrata più sul suo oggetto che non sul suo interlocutore. La preghiera illustra questo genere di domanda, l’Altro a cui si rivolge viene a definirsi in funzione ad un possibile soddisfacimento della sua richiesta, quel che si può dire è che si tratta di un Altro che ha poco a che vedere con i personaggi che il singolo ha incontrato nelle sue vicissitudini familiari., è un Altro evocato come onnipotente contrapposto all’Altro familiare segnato dal limite e dall’impotenza.
Si apre quindi nella domanda una prospettiva che va oltre i tradizionali riferimenti familiari e che non è neanche riassumibile dietro il richiamo all’ideale,lo scenario fantasmatico che si apre con il rimando all’onnipotenza come possibilità di perenne soddisfazione, comporta allora un che di inquietante sul rapporto  tra il leader e i suoi seguaci.

Il leader non è il padre a cui non si vuole obbedire, la cui autorità si rifugge, al leader si aspira ad obbedire, in una spirale perversa dove il transfert genera potere, ma contestualmente il potere genera transfert. Entrambi partecipano di quell’area della traslazione che non è così limpida come si credeva, che rivela una prossimità inquietante con fenomeni che non possono essere negati e che nella storia si sono presentificati più volte.
E’ il cuore del fenomeno che Freud cercava di cogliere nell’articolo del 1930 sulla personalità di Thomas W. Wilson, presidente americano in quegli anni “…(Wilson) ha dichiarato ripetutamente che per lui i fatti in quanto tali non hanno alcun significato (…) gli riusciva naturale scacciare dalla mente gli eventi reali del mondo esterno o rinnegarli quando contraddicevano le sue aspettative”

Ma ampliando il discorso: “In ogni epoca della storia dell’umanità sono esistiti matti, visionari, folli, nevrotici gravi e individui che la psichiatria definirebbe malati di mente, i quali hanno svolto funzioni importantissime, e non solo quando, a causa della loro origine, erano per avventura investiti dei pieni poteri”.
Qui allora vediamo che si delinea un legame tra follia e potere, dove quel che caratterizza forse il leader folle è che lui crede alla sua menzogna, e forse il segreto del suo successo sta nel fatto che, ponendosi come il depositario di quella risposta all’oggetto della domanda che le folle bramano vedere soddisfatta, riesce a farla credere anche agli altri.
Ma che dire dei seguaci, dei gregari, degli ammiratori sedotti e affascinati?
Potremmo individuare due vie sulle quali riflettere: la prima è quella della passione, e in questo campo andrebbero analizzati tutti quei riferimenti agli oggetti psichici che rimandano alla corporeità. Questo rende conto di uno scivolamento sottile per cui il leader non sostiene la causa, ma si candida a venir identificato con la stessa.

Il secondo elemento è che quel che la passione occulta è l’angoscia, che appare quando la luna di miele tra il leader e le folle adoranti viene a cadere oppure vacilla.
L’occupazione di un posto di padre (si noti l’ironia del termine ‘papi’, che rimanda ad un infantilismo delle relazioni, che va oltre il vezzeggiativo, fa indice di un’onnipotenza, di una possibilità di cambiare i destini così presente nelle parole intercettate e che viene fatto coincidere con un diminutivo, quasi ad esorcizzarne la potenza che può rivelarsi anche malefica, mentre il vezzeggiativo ne depotenzia questo aspetto) ne sospende il rinvio che in Freud pare conservare un qualcosa di enigmatico. Anzi, nell’occuparne la posizione, il leader sospende ogni rinvio all’enigma, la risposta è già lì, lui detiene l’oggetto della domanda e la possibilità di mutare le sorti individuali. Novello re taumaturgo , interviene per curare e guarire.

Liberare allora il riferimento al padre dall’abbraccio mortifero con l’idea del leader comporta una capacità analitica che esca dal rimando puramente familiare; vuol dire permettere, soprattutto in quelle situazioni che paiono attentare al rispetto per la dignità e il pensiero di ciascuno, che dire bene non venga sostituito da quel dire il bene che reperisce nell’adesione al diktat del leader la sua tanto desiderata legittimazione.

 

da Gli altri del 11-2-2011

 

 

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