Grazia Colombo, Emanuela Cocever, Letizia Bianchi, Il lavoro di cura. Come si impara, come si insegna

Quando un manuale è utile anche per i/le non addetti/e ai lavori

di Adriana Perrotta Rabissi

 

 

La forma del libro è quella di un manuale, rivolto a chi vuole diventare operatore/trice nei servizi socio-sanitari, corredato di esercizi di autoverifica alla fine di ognuno dei cinque capitoli di cui si compone; è stato scritto da tre donne impegnate da anni nella formazione del personale e nella gestione dei servizi stessi.
E' da notare che tra i suggerimenti bibliografici se ne trovano, oltre a quelli specialistici, anche alcuni di natura letteraria, per chi voglia approfondire i temi del "curare" e dell'"essere curati".
Già questo elemento suggerisce che uno degli obiettivi principali del testo, accanto a quello di fornire conoscenze e competenze professionalizzanti, è quello di creare e diffondere una "cultura della cura" in una società come la nostra che svaluta nei fatti, enfatizzandolo a parole, qualunque lavoro e/o attività che presenti un alto contenuto di cura.
Si spiega così la tensione che percorre tutto il testo, volta a fare uscire il lavoro di cura dal ghetto del privato/individuale in cui è rinchiuso, per indagare la "condizione umana" dell'oggi, nel nostro tempo/spazio culturale, a partire da una questione terminologica, spesso sottovalutata ma ricca di implicazioni: il doppio significato del verbo curare, nell'accezione medica e in quella antropologica di prendersi cura di qualcuno.
Ad apertura di libro le parole della pedagogista di Myriam David offrono la chiave di lettura:
"Non so se riuscirò a dire quello che voglio dire […] Riguarda la mancanza di cura e quello che la cura porta […] non solo ai bambini, ma, credo, all'umanità.
[…]
Credo che non si è detto, a proposito del fenomeno dei campi, di un posto come Auschwitz, per esempio, e degli altri…non si è detto che quello che è stato dinamico nel senso della distruzione, è stato la non-cura assoluta… La non cura è l'assenza di cibo o il cibo disgustoso, è la sporcizia disgustosa, sono i vestiti disgustosi, lo sfinimento, l'assenza di sonno, è quello che si fa al corpo".
Da questa scelta si comprende come le autrici procedano ad analizzare e tematizzare prima di tutto la relazione tra chi cura e chi è curato, nei vari contesti e nelle diverse situazioni: asili nido, ospedali, scuole materne, case di riposo... e i rischi di sovraesposizione emotiva a cui sono esposti/e gli operatori/trici, a causa della duplice dimensione materiale e emozionale/affettiva in cui si trovano ad operare.
A cerchi concentrici l'attenzione si estende ai familiari dei soggetti, bambini, anziani, malati, presi in cura, all'interazione tra questi e le istituzioni che spesso richiedono l'aiuto dei familiari a patto che questi seguano modelli di comportamento rigidamente prefissati e funzionali all'autoriproduzione dei luoghi stessi in cui si erogano le cure.
Viene anche esaminata la contraddizione che spesso vivono le donne che si occupano professionalmente della cura (e che sono ancora la maggioranza degli addetti) contraddizione, a volte risolta e a volte no, tra l'esperienza maturata nella propria vita di relazioni familiari e sociali e la tendenza a disconoscerla nella quotidianità del lavoro, come un elemento perturbante di una rigorosa professionalità.
L'insieme delle riflessioni presenti nel libro, riguardo un aspetto così fondamentale della nostra vita, singola e collettiva, che ci vede, nel corso del tempo, destinati/e a ricoprire quasi tutti i ruoli che chiama in causa, mi sembra aiutino oltre che a comprendere, a governare lo stato di ansia che ci coglie di fronte alle esperienze prevedibili e imprevedibili che ci si presentano nel corso della vita.

Grazia Colombo, Emanuela Cocever, Letizia Bianchi
Il lavoro di cura. Come si impara, come si insegna
Roma, Carocci Editore, 2004
pp.182, E. 16,80