Le tre ragazze Curie
Mamma Nobel scrive alle figlie

di Anais Ginori

 


Marie Curie con Irene e Eve

 

«Mia piccola Irène, ti mando un grande bacio da Stoccolma, pregandoti di darlo da parte mia anche alla tua sorellina Evette».

Lo scarabocchio di un' equazione sul polonio, l' ultima relazione sulla deviazione magnetica, ma anche parole d' amore e raccomandazioni alle sue bambine, mi mancate tanto, ricordatevi di fare i compiti, attenzione in bicicletta. Le passeggiate in compagnia di Albert Einstein, le cene insieme al presidente Hoover alla Casa Bianca, l' incontro con Edison, le fotografie ufficiali delle conferenze scientifiche d' inizio Novecento.
Barbe, giacche, pantaloni. E solo una sottana, la sua. Sguardo dolce e malinconico, lo chignon arruffato di chi non ha tempo di curare le apparenze, di chi ha già troppi pensieri. «Sarete fiere di sapere che vostra madre non fa mai scena muta durante le riunioni, anzi. Prendo spesso la parola e sono convinta che sia di qualche utilità per far avanzare il lavoro di tutti». Marie Curie era una mamma come tante, Nobel a parte. Sognava il meglio per le sue figlie, le accudiva con apprensione, aveva slanci amorosi ma anche giudizi severi. «Cerca di studiare meglio musica e tedesco, ti manderò presto il riassunto di algebra». Temeva di trascurarle e si sentiva in colpa quando non poteva stare con loro. «Purtroppo non riuscirò a raggiungervi al mare perché devo rimanere in laboratorio. Cercate di essere prudenti».

È un ritratto inedito quello che ci consegna la corrispondenza privata Marie Curie et ses filles. Oltre duecento lettere, pubblicate per la prima volta, che gettano una luce nuova sulla prima scienziata ad aver vinto due volte il Nobel, nel 1903 con il marito Pierre Curie e Henri Becquerel, poi di nuovo nel 1911, da sola; la prima ad aver ottenuto una cattedra alla Sorbona, la prima ad essere sepolta nel Pantheon per meriti propri e non solo perché "moglie di". Il rapporto epistolare con le figlie inizia nell' estate del 1906. Le bambine passano le vacanze dai parenti a Zakopane, in Polonia, mentre Marie Curie resta a Parigi a lavorare.

«Mé», la sua firma nei messaggi, è rimasta da poco vedova. Pierre Curie è morto investito da una carrozza. Irène ha solo nove anni ed Eve ne ha appena compiuti due. Subito dopo il lutto, Marie confessa a un' amica: «La mia vita è distrutta. Farò degli sforzi enormi affinché le mie figlie crescano sane e forti». Per cancellare i dolorosi ricordi, affitta una casa fuori città, dove le bambine possano giocare all' aria aperta. È lei che insegna loro la matematica, con un metodo innovativo, basato su esempi concreti, piuttosto che lezioni teoriche. Ogni giorno, deve fare lunghi tragitti fino al suo laboratorio, nel quinto arrondissement. La governante polacca si occupa di Irène ed Eve quando la madre è costretta ad andare all' estero per partecipare a conferenze, ritirare onorificenze, cercare fondi per le sue ricerche.

Nonostante la fama mondiale, è difficile per lei acquistare il pechblenda, il metallo da cui estrarre il radio per i suoi studi. Negli Stati Uniti, l' amica giornalista Marie Meloney lancia una sottoscrizione per raccogliere cinquantamila dollari, pari a un grammo di radio. Viene invitata anche a Washington dal presidente Herbert Clark Hoover, nel pieno della Grande crisi. «La catastrofe finanziaria, che si è scatenata qui, pare si sia calmata - spiega alle figlie - I governi e le banche, che hanno acquistato ingenti quantità di azioni, hanno probabilmente fatto un buon affare, riuscendo a fermare il panico. Ho visitato la Casa Bianca, mi hanno regalato un piccolo elefante, l' animale simbolo del partito repubblicano. La Casa Bianca è piena di elefantini di ogni dimensione, da soli o in branco».

Al centro di progressi scientifici epocali, Marie Curie resterà sempre umile, ironica. Durante un viaggio in treno a Berlino è seduta accanto al pugile Jack Dempsey, campione del mondo. «Quando è sceso in stazione, la folla era in visibilio. In fondo c' è una così grande differenza tra acclamare lui o me?». A Birmingham, durante un' importante conferenza, sceglie di stare in disparte. «Stasera lascerò che gli uomini vadano da soli all' università, non posso sopportare altre conversazioni in mezzo al fumo».

Non ama le mondanità, quasi tutti i suoi amici sono nel mondo scientifico. «Ho trovato con molto piacere Einstein al mio arrivo a Ginevra. Abbiamo preso l' abitudine di vagabondare insieme chiacchierando del più e del meno». L' inventore della teoria della relatività è come lei amante della montagna, insieme hanno fatto escursioni a Brunico. «È il miglior scienziato che io conosca», diceva Einstein chiamandola al maschile. Lei lo convince a partecipare alla Commissione internazionale per la cooperazione intellettuale. Creata nel 1922 a Ginevra doveva favorire la pace mondiale e sancire che «la scienza è un bene comune dell' umanità». Le riunioni con gli altri scienziati sono spesso complicate ed estenuanti. «Sono uscita a fare una piccola passeggiata in città ma è stata solo una rapida distrazione perché sono schiava di questa commissione che è impegnativa almeno quanto il suo nome».

Con le figlie, Marie Curie condivide tutto. Sono il filo rosso della sua vita. Ripete spesso: «Siete la mia più grande ricchezza». La primogenita, Irène, comincia presto a frequentare il laboratorio. Eve studia invece musica, ama la letteratura. La madre è disorientata da questa figlia artista, di una bellezza inquieta. «Bambina mia, ti auguro di superare tutte le tue preoccupazioni e spero che tu riesca a organizzare la tua vita in modo più calmo e ragionevole. Forse non sono stata capace di spiegarti cos' è la felicità, ma so per certo quali sono le vere tragedie». Durante la prima guerra mondiale, madre e figlia cominciano a lavorare insieme. Girano i campi di battaglia a bordo di unità chirurgiche mobili, chiamate petites Curie, che permettono di usare i raggi X per localizzare proiettili sul corpo dei soldati. «Figlia mia, sei un' amica eccezionale, rendi la mia vita più facile. Pensare al lavoro con accanto il tuo sorriso mi dà coraggio».

Molti dei loro scambi epistolari riguardano la ricerca scientifica. «Dimmi con precisione cosa hai scoperto sulla deviazione magnetica» chiede Marie Curie a Irène. È una famiglia tutta al femminile, dove il talento si eredita di madre in figlia, generazione dopo generazione. Nel 1935 anche Irène vince il Nobel per la Chimica insieme al marito Frédéric Joliot. La loro figlia, Hélène, è diventata un' importante fisica francese e oggi ha deciso di aprire il suo archivio, pubblicando la corrispondenza privata nel centenario del secondo Nobel. «Sono cresciuta con l' idea che la ricerca scientifica non sia fatica, ma piacere» racconta oggi l' ultima rappresentante della stirpe, ottantatreenne, sposata con il nipote del fisico Paul Langevin. «In famiglia abbiamo sempre avuto una concezione umanista della scienza» spiega Hélène Langevin-Joliot, militante per l' uso pacifico del nucleare.

«Temo che la scienza possa esser e deviata dalle forze regressive
», ammoniva già nel 1932 Marie Curie, che però non ha mai voluto impegnarsi direttamente in politica. Irène, invece, ha sostenuto il movimento antifascista spagnolo, poi è entrata come sottosegretario nel governo del Fronte Popolare. Eve si è impegnata nella resistenza francese contro i nazisti, partecipando alle trasmissioni di Radio Londra. La piccola «Evette», attratta più dall' arte che dalla scienza, si è salvata dal destino di sua sorella e sua madre, morte entrambe di una leucemia fulminante per l' esposizione ai materiali radioattivi.

«Ho scritto le mie volontà testamentarie - avverte Marie Curie nel 1934 - le troverete nel cassetto superiore del mobile del salone». Anche questa volta alle figlie aveva consegnato parole di amore e un' ultima richiesta. Fare buon uso di un grammo di radio appena acquistato, come fosse un terzo figlio.

 

 

da Repubblica 20 marzo 2011