Non vi stupite degli stupri sono il conformismo maschile

di Maria Rosa Cutrufelli


Christiane Pflug

 

“Tanto, in fondo, le donne ci stanno tutte». Questa è la stupefacente ‘giustificazione’ che i ragazzini stupratori di Lanciano hanno offerto ai poliziotti al momento dell’arresto. Una frase che esemplifica alla perfezione lo stato di profonda inciviltà che ancora caratterizza il rapporto fra i sessi.

Un rapporto basato sulla paura, sull’ignoranza, sul sospetto. Come dimostrano le due notizie rimbalzate ieri sulle agenzie: lo stupro di gruppo contro una giovane disabile a Bologna e soprattutto la seconda violenza “di branco” contro un’altra ragazzina di Lanciano scoperta dagli inquirenti.

Come dimostra con drammatica evidenza l’altro recente episodio di stupro avvenuto a La Spezia, dove accade che una giovane infermiera venga violentata per non aver prestato fede all’avvertimento di un automobilista. «C’è un individuo che ti segue», le aveva detto l’uomo, offrendole un passaggio. Un’avance fantasiosa, avrebbe pensato qualsiasi ragazza. E così ha pensato anche l’infermiera spezzina. Ma purtroppo quell’individuo esisteva davvero e l’automobilista aveva capito giusto.

Lanciano, La Spezia: casi fra i tanti riportati dai quotidiani in queste ultime settimane. Stupri avvenuti per strada. Di giorno. Addirittura in pieno centro cittadino. Un’emergenza, hanno scritto in molti.

Senza dubbio un impressionante elenco d’insopportabili violenze, spesso accadute nel silenzio complice dei passanti. O degli amici e delle amiche, come nel caso di Lanciano. Amiche (e amici) che quando le ragazzine sono state rapite non hanno nemmeno fatto un numero di telefono per chiedere aiuto ai genitori, se non alla polizia.

E dunque: l’emergenza è soltanto lo stupro o non anche questo silenzio agghiacciante? E’ qualcosa che riguarda soltanto dei devianti, degli psicopatici, dei ‘mostri’ (magari immigrati e clandestini), o non è invece qualcosa che ci riguarda tutti, che riguarda il nostro modello di società, le regole della convivenza e in primo luogo del rapporto fra i sessi?

Molti anni fa (venti, per la precisione) una sociologa scriveva: «Lo stupro non è esclusivamente l’atto di qualche psicopatico sadico: esso è assai più diffuso di quanto si creda. Anzi, si sta addirittura scoprendo che lo stupro non è un atto tanto deviante, quanto, al contrario, essenzialmente conformista».

Perché “conformista”?

Proprio perché sarebbe la conferma, per così dire, dell’atteggiamento sessista comune alla stragrande maggioranza degli uomini. Perché, in sostanza, non sarebbe che la riprova violenta di un ordine e di un sistema patriarcale.

Questo si diceva venti anni fa. Poi il femminismo ha restituito la responsabilità dello stupro agli uomini, affinché, come ebbe a dichiarare un analista, «se ne facessero carico quelli sufficientemente coraggiosi da guardare dentro di sé». Questo coraggio purtroppo è rimasto prerogativa di pochi. Non è diventato cultura diffusa. Soprattutto, non si è trasformato in gesto politico.

A chi è mai venuto in mente che ‘guardare dentro di sé’ potrebbe essere una priorità politica? Ma allora perché stupirsi se i ragazzini-stupratori di Lanciano, come scrivono i giornalisti, non hanno dato segno di pentirsi? Perché dovrebbero?

La loro impresa ha una logica sociale. E’ l’attuazione pratica, per quanto estrema, delle idee correnti sul sesso e sulle donne che, dacché mondo è mondo, “devono stare al loro posto”.

D’altronde, se le statistiche dicono la verità, la vera emergenza non è quella delle strade. Se tre volte su quattro la violenza non viene commessa in strada ma al riparo delle mura domestiche, allora è lì che si annida il cancro. E’ lì che cresce giorno dopo giorno.

E se le cose stanno così, allora è chiaro che le tanto invocate castrazioni chimiche o la chiusura dei confini agli immigrati (sospetti proprio perché immigrati) non sono “rimedi” ma grottesche assurdità. Ciniche, quando gli stupri diventano pretesto per portare avanti una linea politica.

Fa bene Stefania Giorgi sul “Manifesto” a sottolineare come le parole stupro e aborto «tornino a marciare in sincrono, nell’agenda politica e nel palinsesto dei media». Forse non a caso. Sicuramente non in modo innocente.

Perché aborto e stupro sono parole che bruciano come marchi sulla pelle delle donne. Parole che suscitano un dibattito non proprio limpido, che tende sempre e di nuovo a vittimizzare le donne, a espropriarle della coscienza di sé, a spingerle in un’area di marginalità politica e psicologica.

A fin di bene, s’intende. “Che occhi grandi hai, nonna”, diceva Cappuccetto Rosso al lupo nascosto sotto le coperte. “Per vederti meglio, bambina mia.”

Tranquille, è per proteggervi meglio, ci dicono i tanti “paladini” delle donne che vogliono leggi che introducano pene corporali ma non vogliono leggi che garantiscano una piena partecipazione delle donne alla politica istituzionale (“tanto a loro non interessa…”).

E allora forse è il caso di ricordare a tutte (e a tutti) quello che sosteneva Simone Weil, e cioè che il vero nemico è colui «che dice d’essere il nostro difensore e fa di noi degli schiavi». O delle eterne vittime. Bisognose di perenne tutela. Incapaci di autodeterminarci. Nella procreazione. Nella sessualità. Nella vita.

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 7 dicembre 2005