Tennis : On est là

Daniela Pastor

 

Si sapeva che il country club di Roquebrune non avrebbe offerto agli spettatori dell’incontro di coppa Davis Francia-Usa la stessa accoglienza del “suo” torneo di Montecarlo.-No, madame, perché l’evento non è organizzato da noi-fu la risposta alla mia richiesta telefonica se in quei tre giorni ci sarebbe stata la tariffa forfettaria per i parcheggi sotterranei al lungomare e la navetta gratuita come per il Master 1000.

Non ero, però, pronta al deserto. Un accampamento militare nei film sulla guerra in Africa è l’immagine che mi suggerivano le  bianche tende  degli stand degli sponsor  chiuse o semiaperte su banconi o trame di ferro ancora vuoti: . Un sito in allestimento: forse  è questa la definizione più appropriata per ciò che vedevo, mentre la gente sciamava nei viali davanti alle  porte chiuse anche delle tavole calde che una settimana dopo, all’inizio del torneo, saranno state sicuramente in funzione: quella chiamata 3 set, più veloce, di sandwich, patatine e bibite, e la cinque set, un fornito e caro  self service, con i monitor per seguire le partite. Due sole  postazioni mobili  di ristoro, invece, per “quelli della Davis” già in fila un’ora prima dell’incontro per assicurarsi le poche baguettes esposte;vuota anche la terrazza del ristorante che si affaccia sul campo centrale, con i tavoli all’interno del club, e leggendo l’Équipe di sabato avrei appreso che in una delle salette riservate avevano pranzato prima di mezzogiorno Amélie Mauresmo e la numero 1 del mondo, Victoria Azarenka, celebrando l’inizio della loro collaborazione- Sono stata due ore ad osservarla in allenamento- confessa l’ex campionessa francese – ed è stano. Siamo diverse, eppure ho l’impressione di specchiarmi nella  sua volontà, nell’impegno, nel  desiderio di perfezione. Mi ritrovo nelle sue reazioni e nelle sue domande- Nello stesso tempo, trascorsi due anni dal ritiro, non ho più l’ego della giocatrice e posso essere lì solo per lei.-

Questo “esserci per l’altro”diventerà poi il motivo dominante di quei giorni,  la sensazione più viva che  ne ho riportato .Col passare dei minuti che mi separavano dall’inizio del primo match svaniva la delusione per  l’assenza di tutto ciò che in fondo è il superfluo di una partita di tennis, anche per lo spettatore: niente “villaggi” degli sponsor,  ma neppure il via vai di camerieri che servono il pranzo sulla terrazza sopra i giocatori che sudano, disturbati dal vocio dei clienti, dal rumore di piatti e posate, dallo stappare delle bottiglie. Si offriva solo una struttura con l’essenziale per concentrarsi  sullo spettacolo sportivo...

A tutto c’è un limite, però, pensai un po’ stizzita quando, lasciata la terrazza  scesi  alle toilettes sotto il ristorante presso la piscina., a disposizione degli spettatori durante il  torneo. Mezz’ora prima dell’inizio del match, io e una signora con la t- shirt blu della  squadra francese, ci aggiravamo sconsolate in quegli spazi lerci, aprendo le varie porte e rinchiudendole subito, alla ricerca  di uno pulito. Ci siamo guardate commentando all’unisono che tutto era ben diverso dal solito.-Mais enfin -concluse lei- On est là pour les garçons-(ma alla fine, siamo qui per i ragazzi). Per la cronaca, dopo qualche ora trovai pulitissime quelle toilettes  e gremite di gente che si voltò incuriosita a guardarmi quando l’inserviente mi chiamò : ero stupita si ricordasse di me dopo due anni che non andavo a Montecarlo. Al suo posto, fino al 2008, c’era stata Camille, madre di un ragazzo disabile al quale i nuovi organizzatori del torneo per quell’anno avevano negato il pass, sempre esibito con fierezza per i viali del club. Avevo, allora, scritto su di lei e su di lui, e con l’articolo nella borsa mi ero preparata ad incontrarla, ma nel 2009 non c’era più. Al suo posto conobbi Fahtima, portoghese, con tante speranze allora, e che forse solo ora si stavano realizzando, perchè mi presentò sua figlia: diciannovenne,  bella ragazza, occhi scuri, vivaci  e ridenti come quelli della madre, felice di essere in Francia da tre settimane, e già organizzata con il lavoro: non solo si alterna con lei al ristorante, ma fa la parrucchiera a domicilio..

Due donne portoghesi nel sottosuolo, e un giudice di sedia portoghese nel punto più alto del campo… dubito che si siano incontrati: “Loro”(i protagonisti, atleti, tecnici , giudici, ecc) non condividono neppure i servizi igienici con noi spettatori, siamo noi che condividiamo ogni emozione,o forse abbiamo l’illusione di farlo, mentre in quelle ore di gioco dimentichiamo noi stessi per farci riempire dai loro gesti, respirare con loro, trattenere il fiato, sognando forse  di aiutare la pallina a superare la rete  con il desiderio nel nostro sguardo.

Non credo  però che i tifosi francesi della squadra di Davis si pongano questi interrogativi: l’importante è esserci per il capitano e per i ragazzi
Occupano tutto un settore della tribuna J, quella con il sole alle spalle, dietro l’arbitro e la panchina dei tennisti; si dispongono per età, in alto i più giovani, e via a scalare fino alle signore più anziane, davanti, quelle che da tempo ho soprannominato le tricoteuses, come le battagliere donne della rivoluzione francese che partecipavano alle assemblee portandosi spesso il lavoro a maglia. Nelle prime tre file c’erano donne ultrasettantenni con la loro divisa: maglietta blu con la scritta France sul petto e Don’t Forget the artists sulla schiena; le tshirt  sono uguali a quelle delle ragazze, ma gli accessori sono unici: vecchi orologini da polso con il cinturino in oro, anelli di famiglia, d’oro anch’essi o con pietre preziose, però all’anulare, sopra la fede, ci sono anellini da bigiotteria, con le perle tricolori, come agli orecchini, e poi c’è un curioso gadget, tre grandi mani di plastica che, scosse, suonano come le nacchere spagnole. Era un tale spettacolo vederle agitate ritmicamente fra le dita  un po’ tremanti della più anziana delle tricoteuses  che una bimba seduta davanti a lei dimenticò totalmente la partita per guardarla, sorridere, e poi stendere anche lei le braccia quando la signora le allungava invitando le altre a gridare “Tous ensemble, tous ensemble, ouais, ouais”( tutti insieme, sì).

Di solito erano i giovani ad intonare i cori, ma le anziane avevano più sensibilità nell’avvertire i momenti in cui bisognava intervenire, perché i ragazzi si demoralizzavano prima, specie al secondo giorno, quando i fratelli Bryan fecero subito il break, si trasformarono in un “muro” a rete, che forse neppure i magici pallonetti di un Santoro in giornata sarebbero riusciti a superare, e invece si trovavano difronte un Lllodra timoroso e un Benneteau frastornato. Le tricoteuses erano consapevoli che il doppio era un’impresa quasi disperata, forse per questo, prima che cominciasse il match hanno intonato:- On est là, on est là, (siamo qui, siamo qui) qualunque sia il risultato-

Anche il giorno successivo, nel singolare che ahimè per i francesi, Tsonga perderà,  l’invocazione a lui finiva con  “ tes supporters sont là”. Davanti ad un Isner dominatore e ai garçons francesi apparsi poco a loro agio su quella superficie,la macchia blu dei tifosi francesi in tribuna, composta più da donne che da uomini, mi sembrava più che mai un corpo femminile ideale, materno, premuroso, il corpo in cui meglio incarniamo il sogno dell’amore disinteressato, di chi ci accetta comunque, che non ci giudica, ci accoglie nella sconfitta e nella vittoria.  Quell’amore che poi cerchiamo nell’amico e  nel/nella compagno/a  di  vita, pronti a dirci  nei momenti difficili  “Sono qui, ti sto accanto, lo supereremo insieme”.

Chi  ama gioca d’anticipo, intuisce il dolore prima ancora che sia manifesto. Appena Tsonga a testa bassa si è avviato a stringere la mano a Isner, les tricoteuses avevano già quasi dimenticato il proprio smacco e quello del giocatore (pronto a riprendere la sua vita nei tornei, dopo la sfortunata parentesi della Davis), ma un nome correva fra di loro, sussurrato,con timore,tenerezza, quasi a proteggerlo…”le capitain, le capitain”.Già, Forget, che (come dirà poi Patrick Dominguez ai microfoni della tv francese fuori dal country club) non voleva finire così i suoi 14 anni come capitano della squadra di Davis, e aveva supplicato la sera prima i suoi ragazzi di reagire”Dall’alba alla notte, siamo stati qui per te, Guy, grazie” gli cantavano in coro, e lui potè finalmente sciogliersi in  lacrime rivolgendosi a loro.

Ma le donne, e donne come queste poi, che da varie parti della Francia decidono di passare il week end di Pasqua al seguito di una squadra di tennis, non sono solo madri , ma anche eterne ragazze che amano divertirsi con i compagni di giochi, e non avrebbero potuto trovarne di migliori dei tifosi americani.. Saranno stati una decina, e tranne una ragazza,  tutti anziani. Il loro capo avrebbe potuto fare benissimo coppia fissa con le tricoteuses: morbidi capelli ondulati e barba bianca, sguardo blu e penetrante,berretto e sciarpa a stelle e striscie. Il secondo giorno cominciò a familiarizzare con le francesi, ponendosi davanti a loro, inchinandosi come un direttore d’orchestra, sorridendo e ritmando U-ni-ted - Sta- tes. Ma alla domenica  furono le donne  a prendere l’iniziativa, a scendere qualche scalino, a chiamare il nuovo amico, ad invitarlo a scambiarsi le sciarpe e a farsi fotografare, e  poi  furono gli americani a fotografare il gruppo dei  francesi quando allacciati uno all’altro intonavano la Marsigliese.

Il giudice di sedia attese che finissero, li ringraziò e ricordò  che di lì a poco i loro ragazzi avrebbero avuto bisogno di loro…
Anch’io ringrazio ora le tricoteuses non solo per le emozioni che mi hanno dato, ma per quel momento alto di sportività per cui, alla vittoria di Isner su Tsonga hanno scandito United States, United States, così come era stato loro insegnato….ma gli uomini,  i tifosi americani, tutti presi a celebrare  altri uomini,  saltavano, gridavano, cantavano, non se ne sono accorti, non si sono più voltati.

da  www.boxeringweb.net

 

2-05-2012

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