ANTIGONE E I SUOI FRATELLI

di Giancarla Dapporto

 


Rinascita di un antico amore

Mi è capitato di innamorarmi delle scrittrici che leggevo, di sentire la loro presenza viva come fossi attraversata osmoticamente dalle loro parole. Elsa Morante, Margherite Yourcenar, Annamaria Ortese e molte altre.
Così è successo per la figura di Antigone. In un  articolo del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, che fa risalire la nascita del diritto alla figura di Antigone, ho riletto i versi della tragedia di Sofocle ”non son d’ieri né d’oggi , ma da sempre vivono e  quando diedero di sé rivelazione è ignoto”.
 Una commozione improvvisa ha fatto riaffiorare il ricordo della passione politica, che mi aveva spinto a esaminare la figura di Antigone nella mia tesi “La posizione della donna nella Fenomenologia dello spirito di Hegel”, in controcanto a Carla Lonzi che aveva appena pubblicato “Sputiamo su Hegel”.Conclusa l’università l ’avevo gettata dietro le spalle , per immergermi nell’esperienza del femminismo, nella pratica politica dei gruppi .Ed ecco di nuovo Antigone che ricompare , “radiosa figura etica”.

L’importanza del mito greco

Come sostiene Vittoria Longoni, le grandi figure femminili del teatro greco sono fertili archetipi che consentono una comprensione più profonda dell’immagine femminile e delle sue potenzialità.
 Ho sentito il bisogno di affondare nella lettura dell’Antigone di Sofocle in varie traduzioni, (quella bellissima e poetica  della Lombardo Radice, quella filologica del Cantarella, quella moderna del Tonelli, quella mirabile di Maria Grazia Ciani) e ho divorato quel libro fondamentale che è “Antigoni” di George Steiner, per approdare al bel libro di Francesca Brezzi “Antigone e la philia” che aggiunge le voci di alcune studiose che se ne sono occupate.Ho visto una decina di rappresentazioni teatrali, fra cui, una magnifica Antigone messa in scena dall’attrice greca Irene Papas a Siracusa.
Ogni volta la commozione mi comunicava la voglia di conoscere la genesi di Antigone, perciò ho letto le altre tragedie sofoclee.Tutte queste voci hanno nutrito il mio cuore, affollato la mia testa. Le parole di Antigone mi stavano dentro potenti come verità rivelate. Più si legge intorno all’Antigone e alle interpretazione che ne hanno dato e continuano a darne, più il mistero della sua bellezza e vitalità, anziché svelarsi, s’infittisce come quando scrutando il firmamento e puntando il telescopio nel blu della notte, lo spazio tondo della lente, si riempie di miliardi di stelle. Tanti sono i pensieri delle donne e degli uomini che, amandola le hanno dedicato infinite cure e interpretazioni, come leggiamo nelle le mirabili pagine scritte in” Fuochi “dalla Yourcenar, un capolavoro di poesia.
Ho sentito la necessità di condividere questa passione con gli altri, dedicandomi a una nuova riscrittura dell’ Antigone.
Essendo autrice di libri per ragazzi, ho pensato di tentarne una riduzione, ma la materia è così meravigliosa, incandescente e ricca di significati che in nessun modo può essere ridotta, ma anzi va ampliata, valorizzata in ogni sua parte. L’Antigone, secondo Hegel e molti drammaturghi,é la tragedia perfetta, ineguagliata  perfino da Dante e da Shakespeare, poiché la vera tragedia scaturisce dall’autocoscienza stessa. Il conflitto è all’interno del sé, in un dubbio angoscioso di tipo esistenziale. L’Antigone dovrebbe essere un testo fondamentale di lettura ed elaborazione nelle scuole medie-superiori, perché contiene in un concatenamento esemplare e fatale i cinque conflitti  inconciliabili che caratterizzano la vita delle donne e degli uomini, in ogni tempo:uomo-donna,vecchi-giovani,individuo-società,leggi divine-leggi umane,vivi-morti.
Perciò ho voluto farne una riscrittura in forma di racconto per esaminare attraverso la trama che segna il destino di ciascuno, i caratteri dei cinque adolescenti che vi compaiono,le diversità che oppongono Antigone a Ismene e ai suoi fratelli,la personalità del dolce cugino Emone e indagare i loro rapporti con l’autorità, con la legge umana e la legge divina.
Partendo dall’inizio, dalla descrizione del mito della città di Tebe, la cui fondazione risale a Cadmo e Armonia, figli di dei, ed  ai Seminati, guerrieri  spuntati dalla terra in cui Cadmo aveva sepolto i denti del serpente sacro ad Ares , ho individuato il mito delle origini del genere umano e la duplicità della sua identità, divina e terrena. L’ambivalenza dell’identità umana trova la sua espressione più alta ,nel famoso stasimo del Canto all’Uomo“pollà ta deinà”, il conflitto natura e cultura.Ho voluto rintracciare le origini del carattere di Antigone, del suo pensiero e del suo gesto di pietà e descrivere la città da lei amata da bambina, e i paesaggi terribili dopo la fine della guerra, dove risuonano i pianti delle donne che raccolgono i morti, lo scenario di una città resa impura dagli uccelli che si pascono di cadaveri a causa del capovolgimento della legge antica, per cui vengono sepolti i vivi, invece dei morti.
Ho ricostruito le tre tragedie sofoclee in ordine di senso drammaturgico, che avviene attraverso la rievocazione delle vicende di Laio eGiocasta, del giovane Edipo e della sua morte a Colono, dell’incontro con Polinice, della immane carneficina della guerra dei Sette contro Tebe, fino a giungere al palcoscenico dell’Antigone,che ho seguito nella successione degli atti della tragedia,  aggiungendo attraverso le parole di Ismene, il diario di ora in ora dell’accaduto.Ho affidato al personaggio di Ismene, sorella di Antigone, il compito di raccontare, come testimone dei fatti, tutto ciò che accadde dal momento dell’incontro col padre e la sorella a Colono, fino alla fine.
Il nucleo tragico della vicenda è noto. Antigone, figlia di Edipo, disobbedisce all’editto di Creonte che vieta di seppellire suo fratello Polinice, traditore della patria,pena la morte. Pur essendo consigliata a desistere dal compiere il suo gesto pietoso, Antigone, seppellisce Polinice e giudicata  colpevole di disubbidienza e di superbia, viene condannata a essere sepolta viva.
Durante la stesura, mi si è imposto il confronto fra due personalità femminili, fra la sublime sapiente Antigone, che incarna  il significato politico e filosofico attribuitole dal drammaturgo e la timida, piccola, inconsapevole Ismene. Due donne che vivono il loro tempo.

ISMENE

Ismene viene considerata, non senza un certo disprezzo, una ragazza  timida, insicura, colei che non osa, perciò ho avuto qualche riluttanza  ad assumerla come personaggio positivo. Poi mossa da compassione, ho abbracciato la causa della derelitta Ismene,simbolo della femminilità vituperata, perché immersa nella debolezza cui viene obbligato il suo sesso, che nessuno ama, che ognuno dimentica, destinata a un futuro oscuro fuori dalla storia. Non dimentichiamo che la posizione delle donne nella Grecia del V°secolo a.c. era paragonabile a quella degli schiavi: senza diritti, costrette all’ubbidienza, erano relegate nelle case, fuori dalla vita  sociale e politica. Per questo avevano le belle braccia bianche che risplendono nei versi omerici!
La figura di Ismene compare in Euripide e in altri drammaturghi come sorella  maggiore saggia e bella, in contrapposizione a un’Antigone non bella, adolescente ribelle e innocente.  
Ho confrontato la figura di Ismene con la figura di Crisotemide,che, nella Elettra sofoclea, cerca di dissuadere la sorella a vendicare la morte del padre Agamennone. Questa ragazza rappresenta più che la prudenza, la  saggezza che nasce dalla constatazione che è stupido andare incontro a morte certa davanti all’evidente maggiore forza dell’avversario. Inoltre ella denota una naturale repulsione verso gli atti sanguinari.

In Sofocle troviamo Ismene due volte: nella prima scena insieme ad Antigone e quando Creonte condanna Antigone a morte.
Nella prima scena Antigone si rivolge a lei chiamandola “sorella nel sangue comune” che vuol dire più che sorella, quasi fossero tessute insieme in rapporto osmotico.Le correnti osmotiche possono a volte annullare la personalità individuale, dissolvere la 1° persona e permettere agli esseri umani di fluire gli uni negli altri.(Bella la definizione di“osmotico”del poeta Keats, che descrive la penetrazione di altre presenze umane nel suo io psichico e addirittura corporeo in certe circostanze.
Ciò può accadere in momenti di grande ricettività, di grande sintonia con qualcuno, nel momento della creazione,dell’ispirazione artistica, quel momento di grande concentrazione che permette l’intuizione di ciò che ancora è sconosciuto).
All’inizio Antigone, offesa dall’affronto costituito dell’editto di Creonte, chiede a Ismene di aiutarla a seppellire Polinice, dicendo:  mostrerai  se sei di buona razza o ,  benché di nobile stirpe, vile  perché considera la sorella parte di sé e del fratello amato in modo immediato (in effetti sono figli di un solo sangue). Poi quando Ismene si rifiuta di aiutarla e anzi la esorta a non fare cose troppo audaci per loro che sono donne dicendo:“pur  chiedendo perdono,sarò docile, con chi regna  dall’alto, se la forza mi costringe a far questo: nell’azione Varcare i propri limiti è follia”
Antigone risponde che non insisterà più nel richiedere il suo aiuto anche se cambiasse idea, ma la invita a essere sé stessa, “ Ma tu sii quale ti senti”. Da quel momento la considererà altro da sé,      fuori della famiglia, dapprima con meraviglia, poi quasi con disprezzo, poi ormai certa della propria solitudine, con distaccata comprensione, come le riconoscesse una visione della realtà diversa dalla sua.
L’eccitazione, il sacro furore di Antigone, vengono considerati da Ismene una dismisura perché per la cultura dell’epoca, é follia varcare i limiti del possibile, è una superbia e una sfida.
Ho immaginato Ismene la minore dei fratelli, una ragazzetta da poco uscita dall’adolescenza e dalla solitudine a cui era stata costretta dopo la morte della madre Giocasta  e la partenza  per l’esilio di Edipo in compagnia di Antigone.
Ho immaginato la visione del mondo di una ragazza immatura, davanti a fatti gravi come l’incesto dei genitori, la cui scoperta  provoca il suicidio della madre, l’accecamento del padre e tutte le altre disgrazie occorse in conseguenza di questo.
Ismene racconta la storia della famiglia in prima persona, al presente ,testimone di una tragedia che ha tentato, ma non ha potuto evitare. Ismene assiste a ogni azione, fin dal giorno in cui il padre Edipo si acceca. Soffre, interviene, cerca di aiutare  la sorella, la interroga a volte senza  comprenderla, la sgrida e la ammira , ma sa di essere diversa da lei, sa  di non volere  rinunciare alla vita, alle seduzioni di Eros che inizia a serpeggiare nel suo giovane corpo. Ho immaginato molti dialoghi fra le due sorelle che si snodano durante il loro viaggio di ritorno da Colono a Tebe,   mentre infuria la battaglia sotto le sue mura  prese d’assalto dai  sette  eserciti nemici, (I Sette contro Tebe di Eschilo) uno dei quali capeggiato da Polinice.Ismene interroga la sorella maggiore, vuole sapere la scala dei valori giusti, se colpa e  responsabilità coincidono, se l’ì inconsapevolezza è innocente e in un sussulto di ira, quando le viene raccontato che Eteocle il fratello“eroe” ha maltrattato le donne di Tebe, si domanda perché le donne non hanno mai voce in capitolo. Ismene   e  Antigone si raccontano la storia della famiglia alle prese con la Sfinge ed allora ecco nascere    dalle loro voci la storia di Edipo alle prese con la Sfinge e con la storia d’amore per la bella Giocasta. L’interrogarsi delle sorelle porta a un giudizio sui membri della loro famiglia, su chi per primo ha insultato le leggi degli dei meritando la maledizione che si ripercuote su ogni generazione,   sul terribile rapporto tra responsabilità e destino.
Ismene non accetta un destino di sofferenza e spinge Antigone a gettarsi alle spalle i dolori tremendi  da cui sono state colpite  per correre verso il futuro, dimenticare la storia e ricominciare. Antigone invece rimpiange la figura del padre, sa di assomigliargli, deve difendere la sua memoria, sbugiardare quel Creonte invidioso di Edipo e  perdente che cerca di annientare i suoi ultimi  germogli, le figlie. Antigone difende la storia passata  per renderla viva e saltarci dentro.   
Quando Antigone viene condannata a morte,Ismene vacilla e in un impeto di generosa disperazione  si auto accusa di averla aiutata a seppellire Polinice e chiede di condividere la stessa pena. Ma Antigone interviene a contraddirla e a scagionarla di ogni responsabilità, non senza un certo disprezzo:“non amo chi mi ama solo a parole… basterò io a morire … tu di vivere hai scelto, io di morire”.
Col suo distacco e il suo rifiuto beffardo Antigone salva Ismene non solo dalla morte, ma dai sensi di colpa di rimanere l’unica superstite della famiglia. La salva perché sa che sarà lei a raccontare a tutti quello che le hanno fatto.
Antigone ha accettato la scelta di Ismene di vivere a tutti i costi, anche sotto il giogo dell’oppressione perché il servo, che ha avuto paura di morire vive per cambiare il mondo, in questo caso per raccontare l’accaduto, per  testimoniare la storia, perché anche le parole possono cambiare il mondo.
Come molti testimoni di gravi fatti luttuosi causati da ingiustizia, Ismene crescerà elaborando il dolore e diventerà l’erede delle sue idee, colei che racconterà al mondo, scrivendo sui fogli di papiro, importati dal suo avo Cadmo, la storia di Antigone e della città di Tebe,

ANTIGONE
Studiando questo personaggio e ricordando come altri personaggi eroici, assoluti, radicali, abbiano esercitato su di me un’attrazione fortissima, mi è sorta  la domanda semplice nella sua complessità: come fanno ad agire spinti da un sentimento/pensiero/convinzione, senza essere condizionati dalla paura della morte, dal dubbio, dal ripensamento: come se fossero essi stessi quel pensiero, quel sentimento, quella purezza. Ho trovato rispondente alla mia domanda l’interpretazione che Hegel da’di Antigone. Per l’immediatezza del suo gesto ella viene paragonata a un’essenza etica.

 L’Antigone di Hegel

 Da un punto di vista filosofico, l’interpretazione hegeliana  dell’Antigone è un classico, una pietra miliare da cui non si può prescindere, perché ha il merito di  aver posto il  significato filosofico del soggetto donna nella dialettica storica del  mondo dell’antica Grecia. La sua è la prima interpretazione razionale, a fronte di molte altre di innumerevoli studiosi  che si sono protratte fino al novecento, di natura  religiosa, o spiritualistica, edificante, trascendente ecc.
Hegel aveva dedicato lunghi anni allo studio di Sofocle, che amava ed era un caposaldo della sua cultura(come viene testimoniato dal suo discepolo Rosenkranz in Vita di Hegel).E’dunque plausibile che l’interpretazione generale di questa tragedia nella Fenomenologia dello spirito  ricalchi il significato di lotta fra la divinità e la ragione, che iniziava a serpeggiare proprio nel secolo di Pericle, la lotta per l’emancipazione umana .

Per Hegel lo Spirito è da intendersi l’identità umana, la consapevolezza di sé con gli altri, della storia dell’umanità e del mondo circostante.
Spirito è la comprensione  suprema di essere ragione e azione, sapere di creare il mondo, la società la storia e di esserne responsabile. Spirito è vedere il proprio distacco dal mondo naturale, la nostra natura animale,  prevedere, pianificare il proprio agire perché tutto ciò che è reale è razionale, cioé può venire esaminato, studiato ,compreso.
In quale senso  Antigone viene da Hegel proiettata nello Spirito?
Lei singolarità in solitudine compie un gesto che sottrae il suo essere alla naturalità,per portarlo nella consapevolezza al di sopra dell’interesse contingente della legge del sangue. Il suo gesto le viene dettato da un  insegnamento interiorizzato come un gesto  etico  rituale, ( sacro in quanto attiene alle forze potenti e sconosciute della morte) il dovere di seppellire i morti come imponeva   la legge “divina” panellenica una delle leggi più antiche che le comunità si siano date. Sottrarre il defunto alle forze della natura  e  permettergli di entrare  nell’Ade,  con il rito della sepoltura.
Nella Grecia arcaica  era dovere del  viandante  seppellire il cadavere che avesse incontrato per strada, per non essere costantemente inseguito e tormentato dalla sua ombra inquieta.

Vediamo qualche piccolo passo della Fenomenologia dello Spirito

La fenomenologia della coscienza etica .(Sezione V – C- a)

L’individualità sorge come natura originaria perché essa è in sé.
Soltanto dall’operazione(azione)l’individuo impara a conoscere la sua essenza originaria”
Nessun individuo può conoscere se stesso finché non si sia realizzato in un fare, un’azione, un gesto. Ma l’autentico atto di realizzazione della personalità è la ”sostanza etica”.
“La  sostanza etica consiste nell’unità della coscienza con l’operare. L’unità dell’operare e dell’essere, del volere condurre a compimento  un’azione, diventa sostanza etica  e l’individuo in azione  diviene perciò coscienza etica.”(v. 179,pag339. pag. 349)(F.d.S.De negri 1970).
Essa esprime in sé stessa l’esserci della legge per cui la ragione sa immediatamente che cosa è giusto e buono perché, dice Hegel, Sono spiriti non scissi in sé stessi , immacolate figure  celestiali  che pur nelle loro differenze conservano l’intatta innocenza e l’armonia della loro essenza” (pag 359 , 203)
“Esse sono … esse valgono all’Antigone sofoclea  come diritto degli dei, non scritto e infallibile”
“Non oggi ,né ieri ma sempre esso vive e nessuno sa quando sia apparso.”(Sofocle)

Vediamo qual’è il cammino che, secondo Hegel, Antigone fa verso lo spirito.
(Fenomenologia  vol. II,  Sez.VI,  pag 7)
La ragione diventa spirito quando capisce di essere ogni realtà , è consapevole di sé e del mondo.Lo spirito è la reale essenza assoluta.Tutte le figure della coscienza sono il suo analizzarsi, il suo distinguere i propri momenti isolarli ,perché lo spirito è l’esistenza effettuale. Ha la consapevolezza di essere la vita epica di un popolo, perché dalla sintesi di ragione e azione nasce il concetto di eticità. Questa sintesi è la storia umana.Ma la sostanza etica si esprime nella  duplice faccia di una legge della singolarità e di una legge dell’universalità che sono le sue determinazioni effettuali.

La legge umana

In questa determinazione dello spirito,il polo dell’universalità, la sostanza etica è la sostanza effettuale, lo spirito realizzato nella comunità, un popolo o una nazione che ha la certezza di sé stessa nel popolo in cui si rispecchia come qualcosa di effettuale esistente e vero.Questo spirito può venir chiamato Legge umana  perché la legge data e il costume dato(ethos) vengono agiti da un governo che si rappresenta palese e alla luce del sole .

La legge divina

L’altra determinazione della sostanza etica è la legge divina.A questa potenza etica palese si contrappone un’altra potenza: la famiglia.
Il polo della singolarità  rappresentato dal cittadino è il lato della sostanza immediata di cui lo Spirito non ha coscienza  e che si esprime nell’essere etico con la costituzione di un’altra comunità , la famiglia. Essa non coincide con l’eticità della comunità ma ad essa si contrappone, “I penati si contrappongono allo Spirito universale.”
La famiglia non è una figura etica perché basata sui rapporti naturali dei suoi membri.Considerando il loro comportamento vediamo che l’azione di ognuno è volta ad accrescere il nome, la ricchezza.la potenza della famiglia con tutti i mezzi.Ma tutte queste istanze si realizzano nella comunità e il singolo viene edotto alla virtù in vista della sua vita sociale  e politica, lavora cioè per l’universale. Perciò la famiglia per essere davvero una sostanza etica ha il compito di rivolgere la sue cure non più al membro vivente, ma al morto che ”raccoglie nella figura della morte la molteplicità del suo disperso esserci” e si innalza alla quiete dell’universalità. E’dovere della famiglia che questo essere,  il defunto, non appartenga alla natura, ma vi sia affermato il diritto della coscienza. Lo spirito rivendica la morte alla natura e con il rito delle esequie vuole assumerla come significato etico.
Questo ultimo dovere costituisce la perfetta legge divina che trasforma il singolo in universale, dalla natura lo porta allo spirito che è storia, memoria e il gesto etico “l’usanza sacra del rito”. Le cure per il singolo membro della famiglia appartengono alla legge umana  perché il fanciullo è destinato a diventare un cittadino, a integrarsi nella comunità. In questo senso la famiglia lavora per la comunità.
Perciò queste due potenze, la legge umana e la legge divina, sono conciliate dal cittadino che appartiene ad entrambe. Ma questa doppia appartenenza costituisce un latente conflitto interiore che rimane inconscio finché le due istanze non configgono. Il governo si realizza attraverso l’organizzazione sociale dei cittadini e la famiglia è il suo strumento necessario perché crea un movimento di espansione attraverso l’attività economica dei singoli. Lo spirito etico però ha la forza dell’intero che riconduce a unità tutte le individualità  nell’essere un popolo, dove tutti si riconoscono nell’universalità dei costumi delle usanze, delle leggi.
Il governo, per non lasciar disgregare l’intero deve intervenire sui sistemi che si formano nel tessuto sociale in cui i cittadini operano per fini singoli,” deve scuoterli, sconvolgere questi sistemi isolatesi  togliere sicurezza all’indipendenza individuale, deve dare a sentire con la guerra  il loro padrone: la morte.”(governi dittatoriali, imperialismo ecc.)
Così lo spirito conserva il Sé della propria coscienza, le impedisce di scivolare dall’esserci etico al naturale e lo eleva alla libertà.
la comunità trova  dunque il rafforzamento del suo potere nella legge divina e nel regno delle ombre”( F.d.S.  2° vol. pag. 15)

Il rapporto etico di  donna e uomo come fratello e sorella

Secondo Hegel la relazione donna- uomo per essere etica deve essere scevra dal desiderio sessuale, perché il piacere per essere soddisfatto deve annullare l’altro “ridurre a sé l’altro”. Fratello e sorella,  che hanno lo stesso sangue non si desiderano reciprocamente, ma sono libere individualità, perciò l’elemento femminile ha come sorella, il più alto sentore dell’essenza etica”(p.16). Poiché nel mondo antico non era dato alle donne di partecipare alla vita politica e sociale –dice Hegel – la perdita del fratello è insostituibile per la sorella e il suo dovere verso di lui è quello supremo.”   
In questo senso, il gesto di Antigone é  l’unico gesto che la testimonia come essenza etica,  all’interno dello spirito.Questa interpretazione può essere suffragata per Hegel dalle parole (che farebbero riferimento alla legge del sangue)che  Antigone pronuncia nel lamento, quando cercando di difendersi davanti ai suoi giudici, esprime il dubbio che forse non avrebbe agito contro le leggi della città perché “morto uno sposo, un altro avrei potuto riceverne, ed avere da un altro uomo per un figlio perduto un altro figlio, ma morti i miei genitori non c’è fratello che possa più dal nostro ceppo nascere”.(sof)  Per Steiner  queste parole, che sembrano contraddire i principi umanitari,  sono una formula retorica della  propria difesa, che Antigone sottoporrebbe al coro. Ed é anche l’esternazione di un suo dubbio, una domanda retorica a sé stessa, a cui non  risponde, se non con la  asserzione che il fratello è per lei la persona più importante dopo la morte dei genitori.
La legge umana e la legge divina sono complementari alla vita della sostanza etica di un popolo, l’uomo nel passaggio dalla guerra alla morte, per difendere la comunità, trova la sua giustificazione nel regno delle ombre riallacciandosi allo spirito dei Penati che proteggono la famiglia. La donna che ha la sua individualità nella famiglia, acquista la sua forza etica  attraverso il fratello che la innalza al livello dello spirito.
La determinazione dei sessi che Hegel collega alle due leggi in cui si divide la sostanza etica, è presente nella tragedia sofoclea dove Antigone dice: “ di tutte le parole tue, non una piace a me né potrebbe mai piacermi, e nello stesso modo a te dispiacciono le mie” e Creonte dice espressamente:“ Se nascesti all’amore, ora discendi  ad amare laggiù quelli che sai, me vivo donna non avrà dominio”.
Per Hegel, la tragedia che nasce dall’opposizione dei due aspetti della sostanza etica, non può che essere la tragedia di tutto il genere umano nel cammino che conduce al sapere, alla scoperta di essere autore della propria storia. La vera tragedia è interna ad Antigone e a Creonte, da quando riconoscono di aver sbagliato e di aver annientato una parte di sé. Questa coscienza comporta una colpa che secondo Hegel è comunque inferiore per Antigone, perché ha agito quando ha  riconosciuto nel divieto di Creonte la negazione del  proprio sé.

Antigone: un gesto politico, responsabile

Il gesto di Antigone non è importante solo per la sua essenza, che rappresenta la pietà, l’amore disinteressato, la carità, l’amicizia, tutto ciò che valgono i sentimenti umani più alti: il dolore per la morte di un solo uomo è il  riconoscere nelle sue spoglie il destino ineluttabile dell’intera specie  umana.
Antigone con il suo gesto addita nella storia il sovvertimento che avviene quando la legge promulgata dal governo non rispetta le leggi divine (che chiamiamo oggi diritti umani, civili ed anche il diritto di professare il proprio culto) , quando si spezza l’equilibrio sempre instabile fra queste due essenze etiche, come le definisce Hegel,  a causa dell’arbitrio di un despota. Antigone non rinnega l’accusa di disobbedienza, sostiene il diritto di esistere nella forma  che  esprime la   pietà, la philia.
Il fatto di far emergere dall’oscurità  i dettami della legge divina, del diritto alla pietà, alla solidarietà, i diritti dei morti,  suscita la reazione del coro.L’assemblea dei saggi,difendendo la legge di Creonte, nasconde la repulsione individuale della morte. Il sentimento di rimorso e di orrore davanti a un cadavere insepolto, il dolore per la sorte umana,”il talamo che tutti ci accomuna” viene avvertito come debolezza.La morte è bella solo se giunge sul campo di battaglia in difesa della patria.
In conseguenza della scelta di Antigone i sapienti, il popolo, tutti devono constatare il conflitto fra le due leggi, la difficoltà di scegliere  se obbedire all’una o all’altra. Devono altresì constatare la fragilità delle ragioni  della politica rispetto a quelle fondamentali private dei diritti del singolo.
Lo scontro irriducibile fra le due leggi provoca la tragedia.
La rovina non si abbatte solo sulla casa di Laio, ma su tutta la comunità (gli uccelli insozzano gli altari con i brandelli dei cadaveri), come la palese dimostrazione che una società così concepita non può che portare alla guerra e quindi a contrastare  la vita degli individui membri della famiglia, in un ciclo perenne di nascita in seno alla famiglia, passaggio da adulto alla vita della comunità e morte in battaglia. Ciclo che non prevede progresso qualitativo ma una ripetizione  obbligata all’infinito. E’merito di Antigone, rompere questo cerchio.
Antigone non agisce spinta dall‘impulso. Non la vediamo affranta dal dolore per la morte del fratello, la sua reazione al decreto di Creonte che impedisce a chiunque, ed anche a lei e a Ismene di seppellire Polinice, é il disprezzo incredulo per la superbia di un potere a cui lei non riconosce legittimità.
Antigone va a seppellire Polinice per ben due volte. La prima volta lo ricopre con un leggero strato di polvere, ma le guardie per ordine di Creonte dissotterrano il cadavere e la seconda volta viene scoperta mentre ricoprendo ancora il cadavere di terra, getta grida strazianti,come “ uccello  che trova il nido vuoto della prole”.
Catturata e interrogata, non nega di aver commesso il fatto, ma  risponde a Creonte, non senza un gentile sarcasmo, di aver obbedito alle leggi che”non son d’ieri né d’oggi, ma da sempre vivono e  quando diedero di sé rivelazione è ignoto”, come lo considerasse un incompetente casuale e borioso a cui frulla per la mente di varare leggi in contrasto con quelle eterne di Zeus.    
Antigone passa da una prima fase in cui è spinta al suo gesto immediato dal sentimento di pietà per il figlio di sua madre, che non può abbandonare all’insulto delle forze della natura, al momento in cui lo difende razionalmente con insistenza .Il suo testa a testa con Creonte dimostra la sua lucidità mentale quando dice:”non è stato Zeus né Dike… a  stabilire per gli uomini leggi come questa…Non ho pensato che i tuoi decreti  avessero il potere di far sì che un mortale  potesse trasgredire le leggi non scritte degli dei…”
E a Creonte che vuole convincerla che i buoni e i cattivi non vanno trattati nello stesso modo risponde ironica: chi sa se fra i morti vale questa legge?
-I nemici sono da odiare anche da morti –tuona  allora Creonte
Antigone pronuncia la frase lapidaria, che la solleva da qualunque disputa, perché la eleva a un altro livello di coscienza:“non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”.
Antigone col suo gesto diventa un’eroina, va incontro alla morte come i guerrieri che difendono la patria. Il suo gesto viene compiuto da secoli da milioni di donne in silenzioso affranto cordoglio, ma siccome lei lo rivendica, lo pretende, lo afferm con la forza della ragione,  assume l’ampiezza e la risonanza di un gesto politico.La morte che l’attende le da’ il potere di dire tutto ciò che vuole e di sostenerlo. Più che farla morire, Creonte non può farle:”mi hai preso, che vuoi di più che farmi morire?”
 
Hybris

L’azione di Antigone è stata anche definita una Hybris o“dismisura”. Ma in che consiste la dismisura? Antigone viene definita folle da Ismene, da Creonte, dal coro. Ingiuria a cui lei risponde “forse chi mi giudica pazza  egli stesso è pazzo” rimandando a Creonte lo stesso giudizio in quanto osa sovvertire le leggi degli dei.
E’ forse invasata da un Dio quando persiste nella sua cocciutaggine? La passione che porta a battersi, per i greci è essere invasati da un dio. E’uno stato di ebbrezza, un’esaltazione che fa sentire potenti come un dio. Si è invasi da una febbre, delirio di onnipotenza, follia. “Quando si è invasi da un dio, sempre si piange o si ride(Aiace, Sofocle).Ma il greco riconosce di non essere solo, di essere insieme a un dio.
Questo non è il caso di Antigone che invece si ritrova sola , abbandonata dagli dei, da Zeus, dal coro. Sola entrerà nell’Ade dove l’aspettano la madre, il padre e i fratelli e non avrà rito funebre  né chi la compianga.
Antigone è convinta del suo gesto e lo difende davanti ai sapienti, alla città intera, senza timore, cosciente della propria audacia e cosciente di essere colpevole di disobbedienza alla legge della città, perché lei è figlia di Edipo, figlia di Re e sa che la legge va rispettata. Ma deve scegliere e scegliendo la legge della  pietas, si  lascia invadere da questo sentimento di giustizia in modo totale, diventa questo sentimento, non ha spazio in sé che per questo sentimento, è davvero invasa dalla passione che la pone al di sopra di tutti e si erge come un eroe a difesa delle leggi  eterne  radicate nell’interiorità che ognuno sa riconoscere. In questo senso Antigone ha superato la misura. La misura si supera, ed è una facoltà umana importante, anche quando il dolore colma l’anima.
Si può ricordare che nella tragedia, la rottura dell’equilibrio fra le due leggi, provoca altri gesti smisurati. Emone colpito dallo svelamento orribile della verità, compie un gesto estremo. Euridice, moglie di Creonte, accusando il marito di avere ucciso i figli, compie un gesto estremo,
Antigone rinchiusa nella sua tomba compie un gesto estremo.Infine Creonte è estremo nella sua cocciutaggine perché, invaso dall’orgoglio del potere, vuole averla vinta su una donna,perciò  giudica tutto con esagerazione come un folle.

Carattere di Antigone

Nei frammenti del mito tebano a noi pervenuti, la figura di Antigone è più sbiadita, meno tragica. E’la figlia che accompagna Edipo in esilio e che al ritorno insiste per seppellire Polinice, ma non arriva a disobbedire, non viene condannata. Anzi la ritroviamo nelle Fenice di Euripide sposata ad Emone,  il quale compare nell’Iliade, come padre di un figlio, presumibilmente suo.
La sfida di Antigone all’editto di Creonte è un’idea di Sofocle. L’Antigone così come la conosciamo è una elaborazione di Sofocle, è un  personaggio che anche presso i  suoi contemporanei   riscosse molta popolarità  tanto che  anche nei “Sette contro Tebe” di Eschilo,pare siano stati aggiunti postumi i canti funebri di Antigone e Ismene per Polinice, per  essere coerenti con la versione del mito inventata da Sofocle.
Antigone ha delle particolarità che la rendono unica.  La formazione di Antigone adolescente  è  avvenuta nella sua la vita errabonda accanto al padre Edipo. E’stata forgiata dall’esperienza  di  aver assistito alla rovina a cui è andato incontro,  pur  di cercare la verità, quella verità che lo rovescia dal trono, ma gli permette di entrare in un’altra dimensione, di conoscere la propria identità  di conoscere se stesso e i propri terribili inganni.
L’esperienza di A. è di essere una figlia nata dall’incesto dei propri genitori .E’un’anomalia che la distingue da chiunque, che la rende unica come unico è il suo dolore che condivide  con la sorella, con la quale è immersa in una pena vergognosa e interminabile, perché nessuna espiazione può decretarne la fine.
La cognizione del dolore acuisce i sentimenti di pietà per il padre innocente e per gli infelici suoi figli. E’questo dolore che forgia l’animo di Antigone,e il suo pensiero: l’essere umano,  fragile di fronte al fato, spaventato davanti all’inconoscibile, vittima dei propri errori,cui non sa porre rimedio, merita amore, comprensione,compassione per la sua condizione di essere contingente,  mortale,un nulla di fronte all’onnipotenza degli dei sempre uguali a sé stessi, alla mercé delle forze sconosciute che governano il mondo. Perciò l’essere umano é degno di pietà. Inoltre Antigone a  Colono,dove ha accompagnato il padre , conosce il re Teseo, colui che ha pietà delle persone che soffrono e assiste alla dipartita spirituale di Edipo.(Ho fatto la ricostruzione delle tre tragedie sofoclee, con un ordine drammaturgico , perché in realtàè stata scritta prima l’Antigone, cui è seguita l’Edipo Re e molto  tempo dopo, l’Edipo a Colono).
Antigone ha  ereditato da Edipo la cocciutaggine,la capacità logica, la volontà di indagare: è consapevole della realtà che la circonda, consapevole degli errori dei fratelli,che hanno provocato una guerra, consapevole del dolore della madre, della sua colpa(aver acconsentito a sopprimere il neonato Edipo), consapevole delle colpe dei suoi antenati del capostipite Laio, il primo a peccare di superbia il quale con la sua dissennata ignoranza delittuosa segna il destino di tutta la sua stirpe.
Antigone, non poteva non diventare una donna ricca di intelligenza e umanità, quasi la prima donna nata alla Storia.

Le rinunce di Antigone: la maternità

Per affermare la propria identità  sceglie di entrare nella storia della città ,di affrontare il potere e le leggi degli uomini pur  sapendo che questo le costerà  tutto.
A cosa rinuncia  Antigone  condannata a essere rinchiusa viva in una tomba?
Troviamo le risposte nel suo lamento funebre, un capolavoro assoluto di meravigliosa poesia.
Antigone esce dalle porte del palazzo e prima di essere condotta via da’ l’addio a Tebe e al suo popolo, al sole, alla vita che freme nelle fibre del suo corpo giovane, ai desideri e alle aspettative dell’amore e della maternità.  
“Guardatemi…all’ultimo cammino  muovere, e vedere l’ultima luce del sole… senza che io abbia sorte di’imenei, senza che mai alle mie nozze l’inno risuoni…”(v.v.805-15)
Antigone rimpiange per ben quattro volte le mancate nozze e i figli che non avrà, né alleverà.
E su questo rimpianto paragona la sua morte a quella di Niobe, moglie di Anfione, Re a Tebe, prima dei Labdacidi, la quale(secondo il mito)avendo avuto numerosi figli, aveva osato disprezzare   Latona madre di Artemide e di Apollo, offesi, per castigare la sua superbia, le uccisero tutti i figli, tranne due. Niobe,  piangente, si rifugiò sul monte Sipilo dove tramutata in pietra da Zeus, continuò a  versare lacrime dagli occhi pietrificati,”destino del tutto simile al suo, mi spegne”( v.803).
Antigone rimpiange la giovinezza perduta con le sue promesse di gioie d’amore e di maternità.
La maternità è presente  nel cuore di Antigone, fa parte del suo sentimento di  pietà, ha udito le grida delle donne nella città sotto assalto, ha cercato di dissuadere Polinice dalla sua folle corsa alla guerra contro la patria, come avrebbe fatto una madre.
La guardia che la scopre in fragrante delitto la descrive sulla tomba di Polinice disperata come un uccello che trova il nido vuoto della prole.
Ella si erge come un eroe a difesa  della moltitudine femminile inascoltata e offesa,( Antigone fa riferimento al fratello come figlio di sua madre) contestando la validità delle leggi fatte dagli uomini ieri, oggi e domani, che calpestano quelle eterne radicate nell’interiorità che ognuno sa riconoscere.
I molti indizi sparsi nella tragedia autorizzano a dire che la philia di Antigone è nutrita di senso materno,del “maternage”(come lo è anche la figura di Ismene),che non è un istinto sgorgato dalle viscere di madre, ma il sentimento cosciente del proprio dovere di amore verso ogni essere   umano, l’accoglienza di ogni vita. Nel finale anche la regina Euridice, prima di suicidarsi maledice il marito Creonte chiamandolo“uccisore di figli”.
Riguardo alla difesa della maternità, è stato rilevato che durante il  v°secolo a.c. ad Atene si assiste al passaggio non indolore dalle leggi non scritte di una società di tipo matrilineare, alle leggi palesi e scritte del governo patriarcale.Ma qui si aprirebbe un discorso molto ampio di ricerche antropologiche.

L’interrogativo di Antigone: la  solitudine tragica
 
Nel suo canto di morte, Antigone, rimpiange di non vedere più la sua città, dai bei carri e l’occhio del sole e di  essere sepolta, senza onori funebri, illacrimata,  senza figli, senza amici.Assistiamo a un magistrale rovesciamento tragico.Lei che ha sepolto la madre, il padre e i fratelli avrà come compenso di venir rinchiusa viva in una tomba, non sarà né fra i vivi, né fra i morti, sola, da tutti abbandonata. Seguono i versi  più drammatici, gli interrogativi angosciosi del dubbio, in cui  Antigone si chiede quale sia la sua colpa e a quale giustizia divina abbia trasgredito, per obbedire  a un sentimento di pietà:
“E quale legge degli dei ho trasgredito? Ma perché infelice mi rivolgo ancora agli dei? Chi chiamo in aiuto? Proprio per essere stata  pia mi sono conquistata empietà .E se questo è bello dinanzi agli dei, soffrirei riconoscendo di aver peccato: ma se i peccatori sono questa gente, possano soffrire mali non maggiori di quelli che a me fanno contro giustizia”( v.v.918,924).
Negli ultimi  versi  Antigone accetta di soffrire se gli dei la ritengono colpevole, ma se invece i colpevoli sono la cricca di Creonte, possano loro soffrire non più di quanto soffre lei, perché non è possibile soffrire di più.    
Negli ultimi versi struggenti Antigone si rivolge ai cittadini di Tebe, li chiama a testimoni di quello che deve patire e da parte di che gente, per aver onorato la pietà.
Assistiamo al dramma di una coscienza politica che sa di appartenere a entrambe le leggi. 
E’ ai suoi cittadini che si rivolgono gli interrogativi di Antigone.Che vedano cosa succede quando le due leggi, quella della città e quella degli dei, vanno in collisione, per l’insensatezza di un tiranno che ha rotto l’equilibrio.
Non saranno i cittadini a dare risposta, ma le sciagure  che, pronosticate dall’indovino Tiresia, si abbatteranno sulla città portando lutti e morte.
 

Gli  assoluti di Antigone  

I  princìpi che ispirano Antigone, gli assoluti irrinunciabili  cui fa appello sono da ritenersi quelli che oggi corrispondono ai diritti umani sanciti dalla costituzione.Ho cercato di spiegarli in forma narrativa in un capitolo dedicato all’inno all’uomo,“Pollà ta Deinà “, facendone protagonista Emone e il suo saggio maestro in un  breve dialogo di tipo socratico.
Trascinato dall’amore per Antigone, anche Emone nutre un sentimento di giustizia, e sa che consiste nella  spontanea reazione contro azioni che repellono prima e indipendentemente da una norma  scritta che le vieti. Si può accettare la condanna di un innocente? –chiede il saggio- , si può infliggere del male a chi non si può difendere?  Da secoli vige un codice di norme di civiltà (non scritte, entrate nei codici in epoca contemporanea), che esigono di essere rispettate da chi vuole essere considerato un essere umano, appartenente a una comunità, a una civiltà.    
I diritti dei singoli sono quelli che non  ledono la libertà altrui,né recano danni ad altri: fra questi vi sono, prioritari oggi, il diritto ad esistere come individuo libero, appartenendo ad un’etnia diversa dalla maggioranza, ad osservare un culto religioso diverso dalla maggioranza, ad amare chi si vuole, a decidere della propria morte. Antigone per osservare il culto della sepoltura, è punita e deve rinunciare  ad amare e ad avere figli, alla vita stessa .
 
Emone  e Creonte: il confronto delle idee o la testa vuota

La strada indicata da Antigone  perigliosa, nuova e piena di insidie, viene percorsa da Emone che per difendere il suo amore, la imbocca, incurante delle conseguenze tragiche cui andrà incontro.
Questo personaggio, che nella tragedia sofoclea compare soltanto in due scene, è il contraltare dei due altri adolescenti maschi, i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice che non compaiono sulla scena concreta, ma sono presenti sulla scena simbolica, nei pensieri dei protagonisti col loro carico di significati contrapposti e speculari: un eroe positivo che ha salvato la città e un eroe negativo che invece le ha datol’assalto.Intorno ad essi si verrà delineando la vita della polis cui da’ voce il coro e prenderà vita il dramma dei  personaggi  che a loro sono legati: Antigone, Ismene, Emone, Creonte.

Nella prima scena
Emone  preparandosi a difendere Antigone, la sua promessa sposa, condannata a morte da Creonte, non dimostra un carattere ribelle, è un bravo ragazzo, ama il padre, è deferente alla sua autorità e cerca di smorzare la sua ira, suscitata dalla grave disobbedienza  della giovane nipote che pur di non assoggettarsi al suo potere, preferisce la morte. Emone ascolta in silenzio il preambolo di Creonte  che paragona il disastro di uno stato in preda all’anarchia, dove i cittadini non obbediscano alle leggi, all’infelicità di un matrimonio ove la sposa sia ribelle.Vuole convincerlo che Antigone sarebbe una pessima moglie, perché unica fra tutti i cittadini di Tebe a disubbidire al suo editto. Emone dichiara di parlare spinto dall’ affetto e dall’orgoglio  per un padre saggio, perciò é pronto a  muovergli delle osservazioni che riguardano le sue decisioni.Condannare a morte Antigone è un grave errore –dice- perché non può essere considerata colpevole una persona che compie un gesto  di pietà; ciò dicono tutti i cittadini di Tebe, sottovoce, per non farsi udire dal re e piangono sull’innocenza di una fanciulla che ritengono degna di lode.
Emone invita con pacatezza Creonte a non ritenere di essere nel giusto solo lui, ma a riconoscere che ci può essere un altro pensiero ugualmente giusto. Non è disonorevole accettare il consiglio di un altro, ma anzi la saggezza è proprio questo, perché a chi ritiene di  possedere idee senza ascoltare nessuno, se gli si potesse guardare dentro, forse si scorgerebbe un cervello vuoto. Perciò, insiste Emone, la cosa migliore è di accettare il consiglio di qualcun altro che parla saggiamente e non ostinarsi, ma cedere.
Mi viene in mente metafora di un saggio cinese che dice che la vera grandezza si acquisisce stando in basso come il fiume che ha la maggiore portata d’acqua, rispetto a tutti gli altri fiumi.
Anche l’assemblea dei saggi è d’accordo che le diversità debbano ascoltarsi e confrontarsi.
Creonte non accetta di confrontarsi con suo figlio su questo discorso, perché lo ritiene una perdita di  autorità paterna, e di prestigio e si difende come ha fatto con Antigone e come farà anche con Tiresia, attaccando,  accusando l’altro, spostandosi dal piano del discorso a quello della minaccia.   Rimprovera a Emone di non ragionare, perché totalmente soggiogato dalle grazie di Antigone. E lo diffida dal farsi  succube di una donna,  perché ciò significherebbe non saper comandare neanche la città. 
Emone respingendo l’accusa, introduce un discorso nuovo, calzante che guarda in avanti: “ di lei ti dovresti  occupare”-dice- intendendo Antigone come donna, come cittadina. Non bisogna applicare un principio universale che non possa essere rispondente al destino dei singoli.
Qui è stato ravvisato il passaggio da un sistema di relazioni umane, familistiche a un sistema di storicità e ragione civica.Emone chiede a Creonte di considerare Antigone  parte della polis, di occuparsi di una cittadina, dei suoi problemi individuali. Non  si deve  salvare  il principio universale condannando a morte un singolo, ma viceversa, è meglio sacrificare il principio universale in favore del caso singolo.
Anche in questo punto si può rilevare la grande modernità  dell’Antigone. Infatti ricorrepregnante di questi tempi, il discorso sui problemi cosiddetti etici.

Nella seconda scena Emone compare nel momento drammaturgicamente più alto della tragedia, quando Creonte, aprendo la tomba di Antigone, lo trova aggrappato al corpo di lei che pende ormai esanime, da un  cappio ricavato dalla sua cinta. 
Come aveva predetto il coro, la disperazione rende folle il cuore dei giovani.Quando vede suo padre che gli intima di uscire dal sepolcro, di salvarsi, il giovane Emone in uno scoppio d’ira, gli lancia la   spada contro, per poi rivolgerla verso sé stesso e ferirsi a morte. La scena viene descritta  magistralmente da Margueritte Yourcenar in Fuochi:” Una vaga fosforescenza che emana da Antigone gli (a Creonte) permette di riconoscere Emone appeso al collo dell’immensa suicida, preso nell’oscillazione di quel pendolo che sembra misurare l’ampiezza della morte”.
Emone  rappresenta la possibilità di  governare in modo differente, di riconoscere un errore e porvi rimedio, acquistando così nuova grandezza.
Invece Creonte, impermeabile ad ogni ragionevolezza, finisce col provocare la rottura col figlio che  come ogni adolescente rimane sconvolto davanti alla spietatezza dell’adulto: il padre decade ai suoi occhi e suscita in lui la disperazione che sfocerà nel suicidio. Emone è la figura di giovane uomo non ancora corrotto dalla ragion di stato, o dalla megalomania della tirannide; è antimilitarista, umano, paritario. Insieme ad Antigone rispecchiano la speranza dell’umanità  in un futuro migliore.  

Nella mia riscrittura in forma narrativa ho voluto immaginare e inserire fra le pagine di Sofocle,   alcune scene in cui Emone può esprimere meglio i suoi sentimenti. Per presentare la sua personalità    l’ho fatto protagonista del primo stasimo, l’inno all’uomo,il famoso Pollà tà deinà:Molte sono le cose meravigliose e terribili nel mondo, ma l’uomo lo è più di tutte…”,  in cui in una sorta di dialogo quasi socratico, si rapporta ad un maestro di saggezza, dichiarando quali sono secondo lui i diritti non scritti ed eterni che  tutti conoscono. Alla scena assiste Ismene che prova l’amara e silenziosa umiliazione di non poter prendere la parola e partecipare quello che pensa.
   
Ho immaginato anche una scena di addio fra Emone e Antigone, che si svolge nella prigione, in   cui il giovane, nel tentativo di salvarla, le mostra un amore delicato, che rispetta la sua personalità e  condivide le sue idee. Ed è riamato forse da lei ,ma come in una flebile eco di parole che vengono da lontano, tanto il dolore ha posto distante l’oggetto d’amore. Per entrambi, il mondo così come lo vedono, con gli occhi aperti sulla reale natura del potere che li stritola, non è un mondo in cui desiderare di vivere. Ci sarà una scappatoia per loro?

 

Considerazioni finali per una discussione
 
Lungo il percorso di questa elaborazione durata due anni, ho preso in considerazione l’idea di far terminare la tragedia in un altro modo, di salvare Antigone dalla morte, ma devo riconoscere che non mi è riuscito di auspicare una fine diversa, che non risultasse una forzatura. Nessuno dei personaggi ha accettato di  stravolgere la tragedia .Perciò ho dovuto rispettare Sofocle in ogni risvolto. La perfezione dell’Antigone la rende intoccabile.
Il mito deve restare lo stesso, ma oggi  la storia potrebbe  finire diversamente …
Nella tragedia ci sono molti tentativi di persuasione: Ismene cerca di persuadere Antigone,Creonte cerca di persuadere Antigone ,il coro cerca di persuadere Creonte, Emone cerca di persuadere Creonte, Tiresia cerca di persuadere Creonte, Antigone cerca di persuadere il Coro.
Anche nel mio racconto ci sono nuovi  tentativi di persuasione fra i personaggi: Antigone cerca di persuadere Polinice,Ismene cerca di persuadere Antigone ,Emone cerca di persuadere Ismene
Ma persuadere a che cosa?
La misura ,nella polis greca, è rinunciare a scelte radicali che compromettono la salvezza di tutti. Imparare a proporre il dialogo, a ragionare, a cercare negli oppositori le ragioni della somiglianza, prima di quelle della differenza, ad accettare la mediazione. Quali sono gli aspetti  fondamentali che ci differenziano dai nostri oppositori? Quali oppositori sono davvero nemici( per egoismo,sete di potere,di denaro, per istinto predatorio ecc.) e quali lo sono per ignoranza delle nostre ragioni? Le armi della politica per la polis sono il dialogo. Quello che utilizza come pratica politica il movimento delle donne da molti anni, inascoltato, ma non sempre, né per sempre.

Non fu facile credo per i padri e le madri della patria stilare i principi della costituzione che si rivela un capolavoro di equilibrio ancora oggi dopo60 anni, eppure tutte le forze dell’arco costituzionale si misero al lavoro per scongiurare che  potesse ripetersi un ventennio fascista  e cercarono in tutti i modi garanzie a quel pericolo. Ricordo il particolare non indifferente che le 21 donne costituzionaliste che partecipavano, si alzarono e si abbracciarono commosse quando fu varato il principio che “l‘Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali“. Dunque si batterono per un principio etico che coinvolge tutti, contrario alla logica nazifascista che promuove l’azione bellica di conquista ed esalta l’eroismo dei figli maschi, ai quali tribuire gli onori di guerra.     
 

 

5-10-2011

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