Un doppio movimento
“Ma il dire non ?
esattamente la stessa cosa che l’esprimere:
nel capitolo Lo sguardo e il dire, del suo lavoro dedicato alla
ragione poetica,
Dell’Aurora, la scrittura di Maria Zambrano si ritrae dalla
definizione diretta, ricorrendo ad un’affermazione che nega. Davanti alla
parola di cui ?maestra, come se avvertisse il bisogno di lasciare aperto
uno spazio sottratto al dominio del pensiero, in grado di accennare al
luogo dove nasce la profondit?del vivere, si ferma ad un ?i>non ?
Nelle sue parole ritorna l’eco del percorso di vita che lei stessa ha
compiuto: un cammino che l’ha vista procedere senza mai rinunciare a se
stessa, al proprio sentire profondo, alla rivendicazione di essere ?i>una
mujer filòsofo? fuori dagli schemi accademici, lontana dalla sua
terra, esule per pi?di quarant’anni.
Con un linguaggio ricco
di immagini suggestive, quasi con un tono di voce particolare, si misura
nello sforzo di andare oltre il dire, ponendosi sempre al limite,
tra rigore filosofico e suggestione poetica, in una tensione continua a
superare la linea del confine tracciato dal taglio della
definizione concettuale; quel concetto che, precisando, esclude da s?la
vitalit?del sentire e impoverisce la realt? rinchiudendola
nell’intreccio delle proprie maglie.
La parola nasce dalle viscere
Il richiamo insistente alla riflessione
sulla parola ?la nota su cui tutta la sua scrittura si tende, perch?ogni
definizione non perda il rapporto che ha con la vita, e l’intelligenza
resti legata al corpo.
Secondo la Zambrano, quando prende forma
il discorso logico che circoscrive ci?che pu?essere detto, quando il
linguaggio umano entra nel gioco delle relazioni e delle procedure
astratte, e la complessit?del mondo sembra finalmente dipanarsi nella
coerenza della struttura concettuale, quello ?il momento in cui
sfugge l’essenza del vivere. Ma pi?delle riflessioni e delle
argomentazioni, che la Zambrano modula col movimento continuo di andata e
ritorno del dire e non dire, parlano le sue immagini sul linguaggio e la
parola, sul primo balbettio di suoni, di animali e bambini:
“Nell’interiorit?pi?
profonda del regno del singhiozzo, e del pianto, e del gemito, abita
talvolta il nucleo, il seme indissolubile della parola stessa. Regno che ?
stato distrutto dalla parola intellegibile, da questa matematica
articolazione capace di inabissarsi in se stessa, di essere torre,
bastione, muraglia e anche recinto di quanto dimora nel cuore dei viventi
e nel cuore del mondo?
Sulle orme di Orfeo
L’esigenza di
individuare un cammino che superi le mura di questa fortezza, che indichi
un senso ed una meta, porta alla scoperta di un altro spazio espressivo,
abitato dalla musica e dalla poesia che riscattano “la continuit?del
sibilo e di tutti i linguaggi non umani, sacrificati alla parola
discontinua ?
A partire dai testi pi?
antichi, ?la figura di Orfeo, immagine e simbolo della musica e della
poesia, che si leva nel tempo con la forza di richiamare e riproporre tale
scoperta.
Il giovane ?vittima di
un amore senza rinuncia: la morte di Euridice gli risulta inaccettabile; ?
l’amore che lo porta a discendere negli Inferi.
Pi?ancora del bisogno
di paradiso si risveglia in lui la nostalgia di essere: essere se stesso
nell’amore per l’altra, essere in quanto affermazione di identit?e di
vita, essere: una mescolanza di inferno e di paradiso.
Dal mito e dalla storia viene l’indicazione
che orienta la strada: ?la visione dell’arte che, proprio per liberare le
esperienze vissute, per far rinascere la memoria, discende nelle viscere
della terra e impedisce al pensiero razionale di farsi razionalista e
raziocinante e, mediante il concetto, di sacrificare ci?che si ama.
I demoni e la metafora
La zona d’ombra che sta
oltre la definizione tracciata dal nostro dire costituisce
l’altrove da esplorare per cogliere quanto resta fuori, escluso dal
taglio nitido del concetto. Procedendo nel buio, lungo incerti sentieri si
incontrano presenze informi, matasse ancora aggrovigliate, solo accenni di
pensieri, senza una chiara coscienza. Sono i demoni che accompagnano e
partecipano dei passi nell’oscurit?dove, affrontando le paure della
notte, ?possibile scoprire un?i>altra ragione, che ricerca
l’analogia e non la logica. Prende forma una ragione umbratile, o come
vuole Maria Zambrano, poetica che si nutre di deliri, di
espressioni che escono dal solco tracciato da partizioni formali, che
cerca nuove tonalit?e ritrova la metafora.
La metafora si
configura come la condizione che obbliga a pensare ‘di più’, a riformulare
il concetto, trasferendo nello sforzo che lo concepisce un’intensit?
espressiva maggiore; la parola pretende di andar oltre il significato di
ogni termine e del discorso ricerca il senso estremo: prova a trasferire
nel detto il dicibile, colora le tenebre e presta la voce ai nostri
demoni. Queste presenze annunciano l’aurora la cui nascita rischiara
l’orizzonte di luminosit?soffusa e lascia apparire la vita nella sua
interezza.
Il principio ?nel
buio
La ragione non rinuncia
a se stessa, essa ?indispensabile alla vita umana, ma si riveste
dell’abito dell’aurora che non dimentica di nascere dalla notte.
Secondo Maria Zambrano
solo ?i>lo sguardo che emerge dalla notte - anche quando ?la notte della
storia, ha una disponibilit?pura e intera - senza ombra di avidit??
sa evitare ?i>la tirannia del concetto, che con l’esca della conoscenza
soggioga la libert? Il principio ?nel buio che va colorandosi
lentamente dei riflessi di luce e la verit?nasce dalle viscere, dal fondo
della terra: ?i>solo quando lo sguardo e il visibile si aprono
all’unisono si produce un’Aurora? La realt?si manifesta nel
chiaroscuro che sfuma i contorni, scorre e si piega sulle asperit?e le
conche, d?spessore e profondit?ai corpi, non li appiattisce levigandoli
con l’uniformit?dell’idea che li accomuna, li lascia apparire nel gioco
delle luci e delle ombre.
Ogni volta che rinasce l’Aurora, come
ripetono i poemi antichi, ?la dea ‘dalle rosee dita?che ritorna sulla
terra: le dita sfiorano e non afferrano gli oggetti, evitano il possesso
che invece la mano esercita; la mano afferra e cattura, allo stesso modo
del concetto, di cui nella storia della filosofia, ?divenuta simbolo. Al
contrario l’epiteto classico suggerisce un contatto con il mondo che va
illuminandosi, delicato e leggero, rispettoso di ogni essere, attento a
quella comprensione che sfugge al pensiero concettuale.
Coscienza e memoria
Guardare e lasciare
l’immagine intatta, non impoverirla in uno schema astratto, ?cosa
difficile che richiede uno sforzo particolare: deve unire tutta l’anima,
tutta l’intelligenza e persino tutto il corpo, deve spingere ad una
mediazione difficile tra conoscenza ed esperienza. Solo partecipando,
vivificando l’essenza dell’immagine, ?possibile conquistare la dimensione
attraverso cui coscienza e anima comunicano, arrivare l?dove il bisogno
di concettualizzare si incontra con la memoria
Si tratta di
riprendere il proprio tempo e riviverlo compiutamente, accettando la
fatica di ritessere la propria vita. Attraverso i fili della piet?e
dell’amore le paure che nascono dalla confusione si allontanano e fanno
posto alla speranza: troppe immagini portano all’assenza di storia. La
coscienza non pu?focalizzare e non vuole neppure considerare ci?che
essa stessa ha prodotto, sa che ogni ricordo ?opera sua, ma perch?ci sia
storia ogni immagine deve tornare a vivere assumendo al presente ci?che ?
stato condannato al passato, ancor pi?se si tratta di tradizione, di quel
residuo della storia che influisce soprattutto su chi non sa di averla e
procede inconsapevole, incapace di legare l’autobiografia alla storia, di
riconoscere nelle contingenze il proprio tempo vitale.
La scelta di Antigone
L’Antigone di Sofocle ?
il testo che offre l’immagine ideale di questo movimento che riscatta il
passato portandolo al presente. Secondo la Zambrano, la figlia di Edipo
non va incontro ad una morte che sovvertirebbe l’ordine cosmico, lei
viva nel mondo dei morti e suo fratello morto, insepolto nel mondo dei
vivi, ma sottoterra, l?dove la legge di Creonte la condanna, affronta la
sua storia ed entra nella pienezza della coscienza.
Alla giovane donna,
confinata nella sepoltura, si apre la visione di ci?che resta nascosto:
il mito platonico ?riproposto a ritroso, non ?una risalita verso la
luce, ma dalla luce accecante del mezzogiorno al buio delle viscere, per
affermare il sentire del cuore?l?dove nessuna parola ?mai
giunta. Figura mediatrice tra l’amore e la conoscenza, Antigone segue
una via opposta all’ascensione verso l’alto, tutta all’ingi? nella
profondit? l?dove comincia la vita per ritrovare il senso della
vita stessa che si nutre non di parole, ma di sangue, per renacir
nel proprio corpo pensante, partecipe di un atomo cosmico. Tale interezza
di spirito e di anima non ammette rinuncia, ?legame inscindibile. Spetta
alla filosofia portare alla luce della coscienza le realt?oscure, del
corpo, del sentire, della passione: quella filosofia da cui la Zambrano
era stata attratta e respinta, finch?non accett?che il pensiero era per
lei ci?che rende la vita pi?vita.
Perch?il farmaco non
diventi veleno
A Freud riconosce il
merito di aver posto l’attenzione sulla realt?del corpo, soggiogata dalla
ragione dell’indagine scientifica, ma gli rimprovera di essere andato
troppo oltre, riducendo all’inconscio tutta la realt? a questa forza
oscura che intrappola in un’unica dimensione la vita umana, negandole
quell’andar oltre, quella trascendenza che invece le ?propria.
Ancora una volta la
medicina dell’uomo diventa un veleno. Diversamente dal cammino di
Antigone, immagine diafana della ragione aurorale che nella discesa agli
Inferi trasforma il veleno in farmaco perch?trasforma la condizione
incestuosa della sua nascita nell’elemento di rinascita, Freud percorre
una strada che fa dei diritti del corpo un assoluto, una realt?unica,
dominatrice di tutte le altre: nelle viscere abita solitaria la forza
cieca della libido. Dalle tenebre del sottosuolo, invece, su cui poggia la
politica e il potere, il groviglio dei legami familiari, si alza la tenue
luce di un’alternativa giocata sul sacrificio e la libert? grazie al
pegno pagato da Antigone al prezzo pi?alto. Il suo gesto porta al
rivivere con una nuova speranza il tempo della storia; la coscienza delle
contingenze si trasforma in sacrificio responsabile che unisce l’anima e
lo spirito, il cuore e la mente in un atto di misericordia e di amore.
Verso un sapere
dell’anima
Il cammino dentro le
viscere della terra obbliga al confronto con i demoni, che sfuggono alla
luce del giorno, ma conduce alla luminosit?del rinascere in una ragione
sensibile alle variazioni di ogni colore e sfumatura, capace di accogliere
ogni vibrazione, nell’istante nascente?qualcosa che prelude alla
speranza ”… Solo quando ogni parola tace ?l’impenetrabilit?dell’essere
cede di fronte alla luce,…” quando il tremulo brillio della notte
sfuma le ombre, al di qua delle stelle, e si colora di luce, spunta una
direzione ed un senso .
La filosofia non sopporta il fluire delle
forme molteplici che scorrono nel divenire, vuole catturare la presenza
con la forza dell’idea pura, non contaminata dal non essere. La poesia
invece riesce a rispettare l’assenza. La molteplicit?si ricompone e
l’attimo cessa di fuggire perch??i>le montagne, le valli solitarie e
boscose, le isole strane, i fiumi sonori, il soffio delle aure amorose…”
sono interamente presenti nella musicalit?del verso. Il processo di
formazione dell’anima similmente, riprende il cammino di Orfeo, che
affronta l’altro mondo con in mano la lira e segue l’ordine dell’amore che
non ?rivolto ad alcun possesso, in un altrove tenebroso dove abita la sua
‘libertà’, dal dolore, dall’assenza. La verit?di cui avverte il bisogno
non ?quella che sta oltre il tempo, nella forma della scienza, ma abita
nel tempo, nella forma dell’accettazione e della resistenza.
La coscienza e il
cogito
La verit??
nell’oscurit?che filtra tremuli chiari, come il faticoso balenio di raggi
nel fitto dei rami del bosco, la strada ?nel delirio, nel suo
significato etimologico: al di l?della zolla si apre la
sfida alla chiarezza e alla distinzione dell’evidenza cartesiana, operante
nella sfera della scienza con un metodo descualificador e
desubjectivador. Il cogito si consuma in una coscienza originaria,
senza inizio, in un io senza passato, senza tempo; la coscienza invece non
nasce mai da uno stato di assoluta originalit? non ?mai un puro cogito,
nasce da uno scarto di piani vitali, da un conflitto tra l’individuo e il
mondo.
Andare oltre il solco tracciato dall’aratro
che col suo taglio recide la zolla e i fiori del campo, delirare,
affidarsi ad una ragione poetica che coglie il fluire e supera il
concetto, tutto ci?non solo significa privilegiare la metafora per la
suggestione che sa suscitare, per la sua forza di ‘linguaggio in festa?
che intreccia l’anima e lo spirito nello spazio della parola poetica,
significa altres?riprendere l’intero sentire del corpo e della mente. La
metafora non si accontenta di collegare i singoli termini e neppure di
fluidificare dialetticamente i giudizi, ma delinea un nuovo rapporto
conoscitivo: le immagini partecipano del divenire nel tempo, dove per
apprendere non basta la conoscenza, ma ?necessaria la partecipazione
dell’esperienza, dove l’io ha un nome e un vissuto.
Il cammino dei
perplessi, tra ragione e realt
Allora diventa
necessario trovare la forma della filosofia capace di dare l’esperienza di
qualcosa che non vede esaurirsi nella scienza la sua ansia, ma sa
comunicare quel suo centro vivo che, producendo le nuove mentalit?
incarna la cultura e la storia: si tratta di un cammino che non sfugge
all’istante e neppure lo lascia in preda alla pura irrazionalit? Del
resto la forma di cui la filosofia ha rivestito tanti pensieri non ?
unica, accanto al Sistema ci sono le Confessioni, le Guide, I Dialoghi, i
Trattati brevi, anche le Lettere, una serie di modalit?espressive miste e
perfino ambigue, rispetto alla scansione rigorosa del sistema. Forse ?i>nel
timore che questa gli sottragga la sua pi?intima virt? ? si domanda
retoricamente la Zambrano che subito suggerisce la risposta: se ogni
parola aspira al tutto e pretende la luce solare, perde inesorabilmente il
suo legame con il movimento della vita.
La guida che aiuta i
perplessi ?la guida di quelli che vogliono farsi carico di attraversare
il tempo della vita senza che essa risulti “…sottomessa come le
cose, tremante come i vegetali o prigioniera come l’animale, ma desta e
libera come deve essere l’uomo.
Ogni creatura umana si
ritrova nella lotta “tra il disinganno e la
speranza, tra realt?possibili e sogni impossibili, tra misura e delirio?
?
Tutto ?pieno di demoni
La riflessione tenta di uscire dall’aporia,
di giungere al cuore e all’origine di ci?che pensa in noi; la via ?
impervia, ma non impraticabile. Alla filosofia, dopo essere entrata nella
ragione, spetta il compito di rientrare nella realt? per la Zambrano
questa convinzione ?un dovere che le fa da viatico, ?l’alimento della
contemplazione interiore dove riscopre, in una dimensione radicata nella
profondit?dell’anima, che tutto ?pieno di demoni. A sua volta,
come Antigone, affronta il cammino negli inferi, alla ricerca dell’armonia
dei contrari. In questa discesa non abbandona il sentimento n?la
necessit?interiore davanti al determinismo esterno e rivendica la
capacit?di sentire i demoni come condizione per vivere nella ragione,
senza caderne in schiavit?e senza abbandonarla, ma cercando
nell’orizzonte la traccia dell’aurora: ?.sorgente che lascia sempre,
in chi l’ha gustata, una minima goccia di acqua luminosa, in qualche
angolo oscuro della notte del cuore. Finalmente, quando il logos
si distribuisce bene nelle viscere, scaturisce la mediazione che viene
dal cuore, si afferma la parola che riesce a dire e ad esprimere:
altrimenti le viscere rimangono puro inferno. La dispersione del vivere
conduce nel labirinto, che trascina nella paura e nella tragedia; i fili
della memoria salvano dalla solitudine e l’ascensione verso il basso
illumina la nascita della coscienza che conduce agli inferi e riscatta da
essi.
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