Per una politica di donne e uomini che rifiuti come misura di sé la suggestione del sacro


di Elettra Deiana e Imma Barbarossa


Perché partire dall'indecifrabile risposta del Cristo, così come è narrata dall'evangelista Luca, per ri-stabilire il nomos, addirittura il "vero" nomos, della laicità, in questa epoca storica così restia a farsene carico seriamente?

Poiché la lunga riflessione di Fausto Bertinotti su "Cosa è di Cesare e cosa di Dio" è comparsa su un quotidiano politico come Liberazione, c'è da supporre che o lo stesso Presidente della Camera o il direttore Sansonetti pensino che si tratti di una riflessione importante, collegata - o da collegare - alla nostra attuale e faticosa ricerca politica.

Siamo mosse quindi a scrivere le nostre osservazioni sia da questa empirica constatazione sul valore politico che viene attribuito alla pubblicazione in questione sia però soprattutto dal lungo percorso di decostruzione critica intorno alla connessione tra politica e sacro che accompagna il nostro percorso di femministe dentro Rifondazione comunista.
La riflessione di Fausto Bertinotti va decisamente nella direzione di suggerire l'opportunità - nell'agire politico - di una connessione dell'umano col divino - e la "politica come mediatrice alta" che si faccia carico dell'uno e dell'altro, ipotizza il Presidente - secondo una propensione già da lui in altre circostanze manifestata ma che questa volta si circostanzia e sostanzia di suggestioni e riferimenti concreti presi con voluttà dalla tradizione testamentaria cristiana.
L'affascinante narratore evangelista Luca e l'apostolo Paolo di Tarso, convertito sulla via di Damasco, raffinato ideatore di una ieratica città di Dio ad esclusiva dimensione, relazionalità e significato maschile. Mulier taceat in ecclesia e niente fu più micidiale del suo magistero per delineare l'ostile segno patriarcale del cristianesimo fin dalle origini, a dispetto della koiné cultural-religiosa medio-orientale, così intrisa dell'elemento femminile, in cui era maturata l'avventura umana del profeta Gesù di Nazareth.


Perché dunque partire da là? Perché proporlo con tanta evidenza su un quotidiano politico di sinistra? Per squisita esercitazione intellettuale? Per opportunità politica in un mondo in cui i teodem e gli atei devoti si moltiplicano come funghi?
Oppure per convincimento profondo sulla ineluttabile e inestricabile connessione tra l'umana vicenda e la rinnovata propensione umana al divino, sia pure ancora una volta nella forma un po' primitiva delle verità rivelate? Ci sembra quest'ultima la spiegazione più appropriata ma anche quella più spiazzante e problematica.


Noi proviamo a dire ancora una volta che il fondamento della convivenza umana, di una convivenza molteplice plurale differente, dinamica e in trasformazione verso una nuova koiné umana, solidale e includente, come una globalizzazione che si sottragga all'autodistruzione oltre che una nuova idea di sinistra imporrebbero, tutto questo deve trovare il suo fondamento in primis e soprattutto nell'autonoma capacità degli umani, donne e uomini, di pensare e agire il presente e, in questo modo, costruire il futuro, in rinnovati processi di emancipazione e liberazione che alimentino efficaci e responsabili dispositivi di autodeterminazione.
Il nomos della laicità sta in questo, essenzialmente in questo: non è un'ideologia dello Stato che impone i suoi diktat in nome della laicità - come la Francia sul velo - né è riducibile a norme di funzionamento delle istituzioni, ancorché importanti, né però può essere mai il frutto impossibile di un gioco di equilibrio tra un dio che gioca a rimpiattino nelle coscienze umane e una politica che proprio "nel" e "per" farsi mediatrice soccombe.
Anche se fosse una politica che si esercita strenuamente e altamente sul terreno dell'incontro tra le due sfere, come ipotizza il Presidente, oggi più che mai sarebbe esercizio inutile, perché i tempi della storia vanno in tutt'altra direzione e perché è nella natura delle cose umane che questo accada. Perché, chiediamo, Dio dovrebbe concedere alla politica il potere di mediare tra Lui e Cesare?
E alla suggestione epistemologica del Presidente racchiusa in quel "Cosa è di Cesare e cosa di Dio" ci sentiamo di rispondere «Non vogliamo niente che sia o dell'Uno o dell'Altro». Soprattutto perché Cesare e Dio non sono più soltanto metafora di sfere e poteri diversi ma forme incarnate del potere, quello neo-temporalista della Chiesa di Roma e quello plebiscitario e cesarista della politica. Anche a sinistra. Non amiamo né chi si fa Re né chi si fa Dio e non vogliamo una politica che per rimediare al suo drammatico vuoto di senso storico cerchi di nuovo il fondamento del sacro. Sarebbe grottesco oltre che dannoso.


Ci sembra invece che questa tentazione percorra la riflessione di Fausto Bertinotti, con particolare evidenza nella parte riguardante il "tempo che passa" e il "tempo che arriva": il banale trascorrere della vicenda umana, da una parte, la pregnante attesa dell'avvento dall'altra. Le suggestioni paoline sono qui fortissime nel senso di influenzare, a noi sembra, anche una rinnovata idea della rivoluzione.
La rivoluzione come attesa di un tempo straordinario che non ha nulla a che vedere con il tempo di qua, e dunque con l'umano di qua, con l'humana condicio e la fragilità delle nostre vite, al punto che lo schiavo, invasato dall'attesa dell'avvento, rifiuti la libertà perché altra è la posta in gioco della sua attesa. L'avvento come nuova metafora della rivoluzione, in una sorta di socialismo escatologico?


La dimensione sacrale del potere politico - ovviamente in forme e dosaggi diversi a seconda dell'epoca storica - è intrinseco da sempre alla costruzione stessa del potere, anche quando a esserne inventori e facitori siano uomini lontanissimi da una fede o propensione religiosa, anche quando la cosa avvenga in opposizione al potere della Chiesa di Roma, anche quando il nuovo potere politico contenga germi profondi di democrazia e attivi meccanismi che tendenzialmente mettono in discussione il suo stesso ruolo e la sua funzione. La crisi della modernità sta anche in questo.


La connessione tra politica e sacro è ovviamente cosa diversa dai rapporti tra la sfera religiosa e quella politica, di cui la politica si deve sensatamente e con senso del limite occupare, e dall'uso reciproco che ognuna possa fare dell'altra, che la politica invece deve accuratamente evitare.
Ma quella connessione parla di altro, di una ricerca di auto-legittimazione del potere, di un bisogno di investitura dall'alto, della ricerca di un altrove, di una trascendenza che conferisca autorità e autorevolezza durature al potere. di una forza trascendente che lo consacri oltre il carattere umanamente transeunte del potere.


Fausto è sempre stato affascinato dal «siamo in questo mondo ma non di questo mondo». E' sempre Paolo di Tarso che parla.
Al contrario, noi pensiamo di essere "di questo mondo" oltre che "in questo mondo" e che tutto quello che possiamo fare per trasformarlo sia qui.
In questo mondo e nel tempo del mondo. Soprattutto se si tratta della politica.
La politica nelle nostre mani, come le donne amano dire.

articolo pubblicato da Liberazione del 3 gennaio 2008

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