Dobbiamo ringraziare le donne di Milano: hanno ripreso la parola

 di Elettra Deiana


Natalia Goncharova

Dobbiamo ringraziare le donne di Milano, quel gruppo di femministe che si sono assunte la responsabilità di chiamarci a Milano il prossimo 14 gennaio, di chiamare là donne e uomini, per una manifestazione nazionale in difesa della legge 194, della dignità delle donne, della libertà femminile.

Grazie a questa loro iniziativa, la partita che si sta giocando per l’ennesima volta intorno alla questione dell’aborto cambia di scena e di senso, non è più esclusiva materia delle isteriche misoginie di prelati, cardinali, ministri post fascisti preoccupati dell’italico calo demografico. Le donne riprendono la parola - non l’avevano mai lasciata cadere, per la verità, ma era rimasta per lo più confinata in luoghi chiusi e remoti - e si fanno protagoniste di un agire politico che riempie lo spazio pubblico, quello fisico delle piazze e delle strade, quello che mette in evidenza, come poche altre pratiche politiche e rappresentazioni simboliche, il conflitto e il protagonismo dei soggetti in movimento. Questo deve essere il significato politico, la forza politica della manifestazione di Milano.

Per questo dobbiamo lavorare per essere veramente tante, per voltare pagina, per riprendere il filo delle relazioni politiche tra donne, tra generazioni, tra quante e quanti non hanno nessuna intenzione di soccombere all’insidioso tentativo messo sfacciatamente in atto dalla Chiesa - e da uno Stato sempre meno laico - per imporre il controllo sui corpi, sulla vita, sulle scelte etiche.

Per questo dobbiamo anche ringraziare le donne (e gli uomini) che hanno lavorato a comporre il dissidio che si era determinato intorno alla data del 14 gennaio, giorno già destinato precedentemente alla manifestazione nazionale a Roma per i Pacs, i patti di unione civile, organizzata, tra gli altri, da Arcilesbica e Arcigay. Quel giorno, come sta scritto anche in un appello di donne, partito dalla capitale, sarà così segnato dal dichiarato gemellaggio delle due manifestazioni e metterà in evidenza - a questo dobbiamo lavorare - quanto sia ancora diffusa in Italia la spinta a rifiutare divieti, manipolazioni ideologiche, imposizione di modelli e scelte di vita crudeli e sessuofobiche.

La lunga vicenda attraverso cui si è snodata nei decenni trascorsi la campagna contro la legge 194 oggi è forse arrivata a un punto di non ritorno. Cancellare la legge, come vorrebbero i settori più oltranzisti, gerarchie vaticane in testa, o neutralizzarla definitivamente, puntando a snaturare compiti e funzioni dei consultori riempiendoli di associazioni anti-abortiste, con l’idea di farne luoghi di colpevolizzazione delle donne, anziché di aiuto: questo è oggi lo snodo di fondo intorno a cui si gioca ormai apertamente la partita contro le donne. E questo succede mentre il discorso pubblico sulla maternità, tutto rigorosamente di maschi e al maschile, deborda da tutte le parti, invade i media, sfiora il grottesco, sia pure nella dimensione sacrale, in quella esternazione pontificale del “Dio che ci scruta e ci conosce” fin dalla fase fetale nell’utero materno, così vicina, questa esternazione di papa Ratzinger, così intrinsecamente simile ai medievali dilemmi e dibattiti e sentenze sul sesso degli angeli.

La legge 194, frutto ai suoi tempi di una mediazione politica - di un compromesso negativo per molte femministe, che non sopportavano, giustamente, l’idea che lo Stato esercitasse il monopolio dei luoghi di attuazione della legge e si ponesse come una sorta di tutore delle scelte delle donne - si è rivelata, nei fatti, una buona legge, che non soltanto ha debellato la piaga degli aborti clandestini e ha efficacemente contribuito a far diminuire lo stesso numero degli aborti; ma, soprattutto, ha veicolato e costruito nella percezione sociale, nelle relazioni tra i sessi, nel più generale assetto dei rapporti sociali, il principio dell’autodeterminazione femminile. Cioè il punto di fondo essenziale e non negoziabile della cittadinanza femminile, la forma specifica dell’habeas corpus per le donne. Habeas corpus che è radicato nell’asimmetrica predisposizione del corpo femminile rispetto a quello maschile sul versante della procreazione ed è dunque segnato dall’asimmetria del potere di decidere se essere madre e non esserlo. Si nasce da una donna se lei vuole e in quella volontà non c’è soltanto il lato della disponibilità economica a mettere al mondo e allevare un figlio. Certo questo lato conta, come dicono oggi molte ragazze e giovani donne, costrette dal lavoro precario e dall’incertezza del futuro a rimandare sine die la scelta di maternità. Ma la volontà in un senso o nell’altro, di condurre a termine la gravidanza o di abortire tocca una dimensione più complessa e complicata dove entrano e si mettono in gioco i mille intrecci psichici, esistenziali, le sicurezze o le fragilità, soprattutto i desideri di una vita. Di questo parla l’aborto, questo porta alla luce in filigrana, ed è questo che da sempre inquieta e affanna l’universo maschile, i poteri sia informali sia istituiti degli uomini.

La legge 194 ha contribuito fortemente alla civilizzazione delle relazioni umane, oltre che sociali e giuridiche, tra i due sessi. Veramente non si può tornare indietro.

questo articolo è apparso su Liberazione dell' 8 gennaio 2006