Diaz
Grazie a un’attenta ricostruzione dei fatti, rielaborati alla luce degli atti processuali, Daniele Vicari congegna una struttura solida, essenziale e resistente a ogni forma di polemica: le storie dei (suoi) personaggi s’intrecciano e s’incastrano precisamente in un nodo comune e rovente, rappresentato dalla violenza subita, dall'orrore di un male ancora impunito. Le pesanti ombre calate sulla democrazia (e sul corpo della polizia) sembrano perseguitare fin dai titoli lo spettatore del film, che si ritrova a diventare la voce di una coscienza collettiva messa di fronte a una feroce cognizione di causa e ad uscire dalle sale gridando giustizia alle istituzioni che si ostinano a nascondersi dietro la comodità di un becero silenzio. Grazie a un’attenta ricostruzione dei fatti, rielaborati alla luce degli atti processuali, Vicari congegna una struttura solida, essenziale e resistente a ogni forma di polemica: le storie di personaggi diversi, e reali, s’intrecciano e s’incastrano precisamente in un nodo comune e rovente, rappresentato dalla violenza subita. E’ nello sguardo infatti che Diaz cerca d’infilare quelle domande che ognuno di noi si trascinerà dietro uscendo dalla sala: negli occhi bastonati di uomini e donne, ragazzi e anziani che riempiono primi piani strazianti sembrano lampeggiare uno dopo l’altro interrogativi che il cinema può solo indicare. E nella densità delle loro voci si annida, come una lancinante scheggia nel fianco di un uomo preso a calci, a pugni, a manganelli, la verità che finisce per essere tarpata - dietro una mano ancora tremante per l’abuso sofferto - sulle labbra ormai deformate da una cicatrice che non andrà mai più via.
16-4-2012, da Doppioschermo.it Diaz, il film che sana una ferita, di Antonio Scurati
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