Emily
Dickinson: l'Assoluto accanto
di Alberto Madricardo

Emily Dickinson
nasce nel 1830, a Amherst (Massachusetts), da una agiata e prestigiosa
famiglia borghese, in un periodo cruciale della formazione della nuova
identità americana. E' un momento di grande effervescenza spirituale
e culturale quello che allora vive la Nuova Inghilterra, alla base della
quale c'è lo spirito puritano, tormentato, introspettivo. Come
avrebbe osservato più tardi Henry James, "nell'America provinciale
ed isolata l'introspezione era un sostitutivo della vita di società
per gli uomini e per le donne solitari della Nuova Inghilterra".
In questo lembo di nuovo mondo, in una congiuntura culturale straordinaria,
in pochi decenni fiorisce l'opera di autori della levatura di Emerson,
Melville, Howthorne, Walt Withman, Thoreau, Poe, oltre alla Dickinson,
per citare i più universalmente noti.
La Nuova
Inghilterra è il luogo d'origine e il cuore intellettuale degli
Stati Uniti, il laboratorio in cui viene filtrata nella prospettiva di
un paese appena nato la cultura che giunge dall' Europa, la cui storia
è ancora quasi solo un foglio bianco, e che deve perciò
integralmente progettare se stesso, i suoi confini, la sua posizione nel
mondo. Ai bordi del New England si apre un mondo immenso e in parte ancora
ignoto, che agli occhi dei coloni approdati sulle coste appare ancora
una sorta di Nuovo Eden che attende di essere popolato dall'uomo. Alle
spalle c'è l'oceano infinito, che si interpone e obbliga al distacco
definitivo dal mondo di provenienza. Portato attraverso l'oceano, il retaggio
della civiltà europea non si perde, ma in un certo senso si purifica,
si rende essenziale, si libera dalle scorie e dalle storture accumulate
e cristallizzate nei secoli. Da qui il senso di poter attingere ad un
grande patrimonio di civiltà, abbastanza vicino per poter essere
sentito ed utilizzato come proprio, ma anche sufficientemente lontano
per non essere pesantemente condizionante: di godere del privilegio di
"avere una storia", e insieme di quello di "non avere una
storia".
Che il "nuovo
mondo" offrisse l'occasione per la creazione di un "mondo nuovo"e
di un "uomo nuovo" era stata la speranza dei Padri Pellegrini,
per quanto il loro spirito fosse ben poco aperto, dominato come era dalla
preoccupazione teologica, e il loro modo di concepire la vita fosse rigido,
cupo, come lo avrebbe descritto e denunciato Howthorne, nella "Lettera
scarlatta".
In ogni caso, il senso di un nuovo inizio è ancora lo spirito che
domina la Nuova Inghilterra nei primi decenni dell'Ottocento, mentre gli
Stati Uniti vivono una fase impetuosa di espansione territoriale ed economica,
e esso verrà meno solo negli anni Sessanta, a causa del trauma
della Guerra di Secessione.
Le correnti
di pensiero più influenti del primo Ottocento nella Nuova Inghilterra
sono quelle del trascendentalismo e dell'unitarismo. L'unitarismo è
una corrente religiosa in polemica con il dogma trinitario.Il trascendentalismo
si ispira a Swedenborg, a Goethe, all'idealismo tedesco, è in polemica
con la concezione dell'empirismo di Locke e con le pulsioni utilitariste
ed affaristiche della giovane società americana. Il grande fautore
del trascendentalismo è Ralph Waldo Emerson, a lungo nume tutelare
della cultura del New England, che fu ospite - tra l'altro - dei Dickinson
ed ebbe una grande influenza su Emily, come del resto su tutto l'ambiente
intellettuale americano della sua epoca. Emerson, rivalutando l'arte oratoria,
aveva elevato la lecture a forma d'arte sublime.
Alla base
della visione dell'uomo che Emerson propone c'è la concezione idealistica
della conoscenza. "Ciò che da noi è detto comunemente
Trascendentalismo - afferma - è Idealismo", l'Idealismo nella
sua forma del 1842" (1). In una società in cui le tradizioni
sono scarse e recenti Emerson esalta il presente, la autosufficienza di
senso della vita immediatamente vissuta: "La vita è un'estasi
- dice - L'attimo è un miracolo quasi incredibile". Egli si
dichiara vicino alla concezione della verità come "luce interiore",
dei Quaccheri. Alle sue parole farà eco la Dickinson. In un incontro
ad Hamsert del 1870 con T. W.Higginson, collaboratore della rivista "Atlantic
Monthly", con il quale intrattenne una corrispondenza per quasi trent'anni,
Emily ebbe a dire: "Trovo l'estasi nell'atto di vivere -il semplice
senso di vivere è gioia sufficiente" (2).
Una particolare importanza ha nel pensiero di Emerson la poesia, che concepisce
come manifestazione della purezza cristallina della mente. In ciò
suscitando la polemica della sua amica e seguace Margaret Fuller, che
gli raccomandava di abbandonare l'intellettualismo (3). Per Emerson la
poesia trae dalla realtà l'esenziale: "Il poeta muta il mondo
in cristallo", dice (4). Rispetto al New England e al suo destino,
parla di "eterno nella contingenza" e di "Nuova Inghilterra
totale". Riguardo all'uomo, alla sua posizione nel creato, è
convinto che l'individuo sia il mondo , e che il genio sia ciò
che rimedia alla naturale decadenza delle cose. Ciò a cui il vero
poeta attinge è la semplicità originaria: è questa
che suscita la autentica energia creativa. Egli ritiene che il poeta grande
non sia quello che si nutre di artifici, ma colui che è capace
di rapportarsi ed esprimere questa semplicità, che è la
manifestazione dell' eterno originario, o la "verità del mondo".
La luce dell'essere originario sta nell'intimo di ogni esistenza.
Grazie ad
essa ogni uomo porta in sé il mondo, secondo una concezione che
riecheggia quella neoplatonica, che pone un'essenziale correlazione e
corrispondenza tra l'uomo come microcosmo con l'universo come macrocosmo.
Emerson ama la Natura, perché essa rappresenta il corrispettivo
sensibile dello spirito. La civiltà, complicata, tortuosa, è
decadenza e il tempo della città "è segnata da funebri
rintocchi, mentre in natura il decorso delle ore universali è segnato
dal succedersi di tribù di animali e piante, e dalla crescita della
gioia che si alimenta di se stessa. Dio esige che il poeta abdichi alla
vita molteplice e duplice e che si accontenti di essere rappresentato
da altri
. Il poeta si celerà completamente nella natura,
né lo raggiungerà il capitolo o il commercio"(5) .
La Natura
offre la piena rivelazione dell'essere specie in una regione come quella
del New England, in cui essa ha perduto, dopo due secoli di colonizzazione
il suo carattere selvaggio ed ostile, ma non è stata ancora "addomesticata
dalla civiltà". Si tratta cioè di una Natura che non
è quella idilliaca, ridotta a giardino, della Arcadia e degli Anacreontici
europei, ma che mantiene la sua solitaria, incantata imponenza e misteriosa
estraneità all'uomo. La Nuova Inghilterra era allora una terra,
nella quale - come dice Emerson - "Ci sono giorni quasi in ogni stagione
in cui il mondo è perfetto".
Le relazioni
sociali, con i loro tortuosi artifici, indeboliscono o cancellano la disponibilità
alla percezione della pienezza perfetta dell'essere che questa Natura
offre. Si colgono in questo facilmente gli echi del pensiero di Rousseau
e del Romanticismo europeo. In questo senso lo spirito religioso puritano
e quello di ispirazione illuminista e preromantica si accordano: entrambi
richiamano alla solitudine e al raccoglimento, fuori dal chiasso effimero
della quotidianità, entrambi invitano a rivolgere lo sguardo alla
Natura, quale manifestazione più prossima dell'Eterno.
Ma già si avverte in questi primi decenni dell'Ottocento qualche
segno che il grande, ottimistico progetto di costruzione di una nuova
umanità ha al suo stesso interno delle insidie che minacciano di
disgregarlo, che lo spirito affaristico, l'egoismo e l'utilitarismo sfrenati
che si diffondono nella società del New England di pari passo con
la industrializzazione e la formazione della potenza economica tradiscono
i grandi ideali e minano alla base il sogno rigeneratore dei religiosi
e degli intellettuali.
Nel contesto
culturale del New England si rileva una contrapposizione tra l'ottimismo
di Emerson e il pessimismo di Howthorne e di Melville. Specie il secondo
esprime nelle sue opere non solo il senso di un mondo che è reso
teatro di una epica lotta tra bene e male, fin nella forma del combattimento
escatologico dalle risonanze bibliche (pensiamo ovviamente a Moby Dick,
a Billy Budd), ma anche polemizza direttamente con l'ispirazione del trascendentalismo
- in "Pierre o dell'ambiguità" - o descrive la presenza
inquietante nella vita di tutti i giorni di un agente diabolico,che opera
sotto apparenze diverse ( in "The Confidence man").
Nella vita
intellettuale e culturale il ruolo delle donne è rilevante, non
nuovo nella giovane tradizione spirituale e culturale americana. Le donne
sono importanti non solo come organizzatrici della vita sociale e delle
occasioni di confronto intellettuale. La autenticità della loro
spiritualità è riconosciuta da tempo prima di tutto sul
piano religioso.
Il tempo della vita della Dickinson, non lungo, si distende all'interno
di questa straordinaria concentrazione di energie spirituali e fioritura
letteraria, che va sotto il nome di "Rinascimento americano",
ma la sua scrittura si nutre anche dei modelli offerti dalla poesia metafisica
del Seicento inglese, in particolare di John Donne e di altri più
vicini nel tempo, tra cui Robert Browning, Keats, John Ruskin, Thomas
Browne, la Bibbia dell'Apocalisse(6) .
Durante tutta
la sua vita e nella sua opera letteraria sono sempre presenti il tema
della natura e quello della solitudine: le corrispondenze tra gli eventi
naturali e quelli dello spirito risuonano in continuazione nelle parole
della sua poesia e nelle sue lettere. Ma le immagini della Natura non
servono a tratteggiare graziosi quadretti, sono per Emily metafore di
illuminazioni metafisiche a volte grandiose.
La Dickinson non farà come Thoreau, amico di Emerson e lettore,
come Emily, del saggio di questo Nature, che scelse la vita nei boschi
in polemica con lo spirito affaristico che si stava diffondendo. La Natura
per lei è quella che si apre nell'orizzonte intorno a quello che
è l'asse del suo mondo: la casa paterna di Amherst.
I modi di
attuare l'isolamento sono diversi. Thoreau andò a vivere per più
di due anni in una capanna di tronchi sulle rive del lago Walden, su una
proprietà - tra l'altro - di Emerson, e da questa esperienza trasse
l'ispirazione per scrivere la sua opera più famosa- "Walden"
appunto - pubblicata nel 1854. Anche per lui la polemica nei confronti
della civiltà ha come suo altro aspetto la rivalutazione del presente
sull'idea del tempo comune, il quale trae il suo senso non dall'ora presente,
ma da mitizzate lontananze fantastiche: "Gli uomini -scrive - credono
che la verità sia remota, ai confini del sistema solare, dietro
la stella più lontana, prima di Adamo e dopo l'ultimo uomo. Nell'eternità
c'è effettivamente qualcosa di vero e di sublime. Ma tutti questi
tempi, luoghi e condizioni esistono ora e qui. Dio stesso culmina nel
momento presente, e non sarà mai più divino, nel corso di
tutti i secoli" (7).
La Dickinson,per
parte sua, in una poesia della maturità conferma:"Degli attimi
fuggenti è fatto il sempre" (624)(8) . E in un'altra giovanile
esclama sicura: "C'è un mattino invisibile per gli uomini"(24).
Affacciarsi allo spettacolo della Natura come dal balcone del tempo aperto
sull'eterno: questo richiede che tutto sia finalizzato alla preparazione
della realizzazione di questo scopo, con determinazione e pazienza infiniti,
che le esigenze rispetto a ciò dispersive della vita esteriore
siano ridotte al minimo.
Emily vivrà in crescente isolamento nella grande casa di famiglia,
ad Amherst, con qualche breve eccezione, tutta la vita, con una consapevolezza
via via più sicura di essere stata scelta per un compito che richiede
una dedizione totale, quello di esplorare fino in fondo le potenzialità
della natura umana.
La vita dell'uomo
non trova il suo senso in un appoggio fuori di sé, ma ad essa il
senso si manifesta nel momento della propria pienezza. E la pienezza,
dunque il senso della vita, che si attua in un momento ma che la illumina
tutta, è l'estasi. L'estasi richiede che tutte le parti dell'anima,
ogni momento, ogni attenzione, ogni energia siano ad essa dedicati. Esige
una disponibilità totale a finalizzare prima la propria esistenza
ad uno scopo inizialmente invisibile, che solo dopo che lo si è
scelto ciecamente, in modo assoluto, si potrà comprendere. Nell'esperienza
dello spirito la via di partenza e quella d'arrivo non sono la stessa
via.
"Per un istante d'estasi - scrive Emily - noi paghiamo
in angoscia una misura esatta e trepidante proporzionata all'estasi"
(124). La scelta della pienezza spirituale richiede la rinuncia al
mondo: "L'anima ha momenti superiori che la colgono - sola - quando
amici e occasioni della terra si sono ritirati senza scampo" (306).
La vita famigliare
offre ad Emily il vantaggio di poter coltivare la propria solitudine senza
perdere i contatti umani essenziali, di poter comparire o di potersi ritirare
nella sua stanza, di stare appartata, quando lo desidera. Con il tempo
l'aspirazione alla solitudine sarà sempre più intensa e
totale, fino praticamente alla clausura. Ma prima di questo esito finale
del percorso della sua vita essa ha quelle relazioni senza le quali una
persona, specie se giovane, intristirebbe senza maturare. La vita di Emily
non ha grandi eventi esteriori. Pochi i viaggi, uno quando era ancora
quindicenne a Filadelfia, perché si distraesse dall'impressione
provata per la morte di una sua giovanissima amica, uno a Washington dopo
l'elezione del padre al Congresso, uno per compiere delle cure, e poco
altro.
I suoi rapporti
si sviluppano soprattutto con i parenti, i suoi maestri, gli amici del
padre e del fratello. La casa dei Dickinson (più tardi anche quella
del fratello Austin che sorgerà a pochi metri da quella paterna)
è un punto di riferimento importante nella vita culturale della
regione.
La famiglia è - si è detto - antica e prestigiosa, originaria
della Yorkshire, in Inghilterra (il primo antenato si imbarcò per
l'America nel 1630), Emily conduce la vita delle ragazze di buona famiglia
ad Amherst, cittadina che quasi si identifica con la dinastia dei Dickinson.
Il suo orizzonte coincide dunque con quello della grande famiglia. Il
padre, per il quale ha timore ed affetto, la madre debole ed ammalata,
la sorella, il fratello e le amiche.La piccola cerchia di amiche che essa
si costruisce intorno negli anni della scuola, a cui più tardi
si aggiunge la cognata e qualche altra che ha occasione di passare per
qualche tempo per Amherst. Di questa intensa rete di rapporti familiari
e amicali abbiamo documentazione nell'Epistolario.
Probabilmente
comincia a scrivere poesie intorno ai vent'anni. Il senso di una investitura
e di un destino particolari cresce in lei mano a mano che si sviluppano
i suoi mezzi espressivi. A trent'anni la decisione di vestirsi sempre
di bianco, quasi che uno sposalizio fosse avvenuto, e la sua posizione
nel mondo fosse definitivamente precisata"data a te come sposa -
scriverà più tardi - ospite celestiale" (817)(9) .
A fronte di una esistenza caratterizzata esteriormente da una tranquilla
e anche noiosa normalità c'è però una vita interiore
sempre tormentata, talvolta spasmodica, sconvolta da sentimenti violenti.
Della vita sentimentale di Emily c'è ovviamente traccia nelle sue
poesie, ma, poiché i suoi rapporti si sviluppano anche per via
epistolare, più direttamente nelle sue lettere, che sono - quelle
conservate - più di mille, mentre le sue poesie sono esattamente
1775.
Il suo primo grande amore, pare, fu per il reverendo Charles Wadsworth,
di Filadelfia, molto più anziano di lei e già sposato. Era
evidentemente un amore impossibile. Ciò che forse contribuì
a spingere Emily sulla via della sublimazione poetica. Altre passioni
le riservò successivamente ad altri (per Samuel Bowles, per Otis
Lord, oltre che per la cognata Susan, ecc.), le vicende della sua vita
privata sono solo in parte accessibili e ricostruibili. Ma anche se lo
fossero, cioè se potessimo ricostruirle più precisamente,
non aggiungerebbero nulla di essenziale alla chiarezza e all'efficacia
della "Lettera al mondo" come lei stessa dice ("La mia
lettera al mondo, un messaggio consegnato a mani invisibili (441)"
(10). che è la sua poesia. La sua è esteriormente una classica
vita in famiglia di una donna che non si sposa, tra il padre, il fratello
la sorella, la cognata, gli amici, che si impegna seriamente nella conduzione
della casa - vincerà, tra l'altro, anche un premio per il suo pane
alla fiera locale dell'agricoltura - e nell'assistenza della madre perennemente
malata. Non c'è dunque apparentemente nulla di eclatante che la
faccia spiccare nella vita mondana, né nel fisico, né nella
spigliatezza della conversazione. Molto più disinvolta e capace
di attrarre l'attenzione nel salotto dei Dickinson sarà la cognata
Susan, alla quale Emily per un certo periodo fu molto legata. Nel corso
degli anni, il suo isolamento, insieme alla fama per la sua enorme cultura
e quella delle sue apparenti stravaganze le crearono attorno un alone
di leggenda, tanto che nel paese veniva chiamata "il Mito".
L'isolamento, oltre che, in qualche misura, da circostanze esteriori,
era effetto del crescere sempre più consapevole in lei dello sforzo
di accumulazione spirituale ottenuta attraverso la pratica della solitudine.
Scrive nel 1861:
"Ciascuno il suo difficile ideale
deve raggiungere da sé
con l'eroismo solitario
di una vita silente" (750)
Il mondo
della Dickinson è fatto di istanti estatici, di rivelazioni che
si danno nella solitudine concentrata di una stanza o delle passeggiate
nei boschi intorno ad Amherst. Il suo tempo salta la dimensione storica,
è un tempo che è insieme privato e cosmico, segue l'itinerario
dell'interiorità e quello delle stagioni, non risente che marginalmente
delle vicende politiche o mondane. Liberata dalle contingenze storiche
e sociali, la sua esistenza diviene una freccia che punta direttamente
al centro delle cose. Emily dice di sé "io ho a che fare con
la circonferenza" (lettera ad Higginson del luglio 1862). La circonferenza
è una totalità perfetta. L'essere è stato pensato
come una sfera. La sua condizione è dunque quella di una singolarità
in relazione immediata con la totalità dell'essere.
Il tempo comune, il tempo della storia, è un ideale intermezzo,
un passare sospeso tra un momento antecedente che è considerato
come un inizio, ed un altro, come compimento. Ogni momento del tempo comune
è in sé incompiuto, deve appoggiarsi e farsi sostenere da
altri momenti. Ma nessuno è in sé pieno ed autosufficiente.
Se nella storia contano gli estremi ideali, il prima e il poi che "sorreggono"
l'ora, nella poesia viene portato invece in luce il cuore presente del
tempo, che sembra sempre sfuggire, ma che in realtà - per essere
quello troppo rarefatto - è l'uomo a fuggire. Il cuore che palpita
nel presente è la possibilità. Non la possibilità
di qualcosa: la possibilità in sé, pura.
La storia - ovvero il tempo comune - allinea i momenti nella attuazione
di possibilità in condizioni date, la poesia, invece, trae dall'ora
l'irradiazione della possibilità in se stessa. "Io abito nella
possibilità" (I dwell in Possibility) (657) dice Emily, come
in una casa che "allietano visite dolcissime". La sua vita -
rivela - è allargare le sue mani "per accogliervi il Paradiso".
Non c'è nulla che si attua nel continuum della storia che non sia
stata prima una scintilla o almeno un barlume nella mente di un poeta,
perché il poeta non insegue l'attuazione nel tempo di una qualche
determinata possibilità, ma fa emergere dall'ora la possibilità
in se stessa, che, libera da ogni determinazione, illumina il mondo e
lo umanizza.
Quello che gli uomini inseguono attraverso i secoli e la storia - che
in questo senso è poesia sempre incompiuta, sempre caduta fuori
di se stessa - cioè sciogliere nell'eterno la matassa del tempo,
il poeta lo ha raggiunto, grazie alla parola del dialogo che porta la
possibilità pura come Assenza accanto a lui.
Tanto più c'è effettualità di mondo, quanto più
l'uomo la colloca entro l'orizzonte della possibilità. I cosiddetti
uomini d'azione, che inseguono nel mondo l'attuazione di una possibilità
prescelta, non sanno di muoversi sempre all'interno del cerchio tracciato
prima dal compasso della poesia. Perché la poesia definisce tutto
insieme e tutto in una volta il tempo umano, quello che l'umanità
ha vissuto e quello che essa ha ancora da vivere o può vivere.
La poesia
è perciò una sorta di contromossa istantanea che rende autosufficiente
il momento, staccandolo e riscattandolo dal tempo comune, ogni momento
del quale ha bisogno di appoggiarsi ad un altro, in un rotolare infinito
di tutti.
La poesia è essenzialmente dialogo, ma non dialogo con qualcuno.
La poesia dialoga con nessuno, e questo "nessuno" con cui dialoga
è la possibilità in sé. Quest'ultima non si determina
mai nella effettualità, non diventa cioè mai possibilità
di questo o di quello, ma è rispetto al mondo una pura assenza.
Una Assenza che è condotta come tale dalla poesia nella presenza.
L'Assenza ricondotta nella presenza dal dialogare poetico è l'Altro.
E' il rapporto con questo l'Altro ciò che assorbe completamente
la Dickinson. Essa lo sente accanto a sé, una presenza conturbante,
tremenda e celestiale allo stesso tempo. Di questa Emily dice in una poesia
(11):
Sento nella mia stanza
un compagno invisibile:
la sua presenza non è confermata
da gesto o da parola. (679)
In una poesia
precedente afferma di essersi data a lui: "I gave myself to him"
(580). L'Altro a cui Emily si è data è condotto alla presenza,
ma sta - per così dire - sul rovescio del mondo. Non può
essere visto con l'occhio sensibile, che ha bisogno di luce per vedere.
A Lui Emily sussurra: "Ti vedo meglio nel buio, non ho bisogno di
luce" ("I see thee better - in the Dark - I doo not need a Light".
611). Con esso conduce un confronto totale: "La battaglia che l'anima
combatte con nessuno - scrive- è di tutte le battaglie esistenti
di gran lunga la maggiore"("The Battle fought between the Soul".594).
La battaglia, in realtà, non è con l'Assenza, ma con il
mondo, per prendere distanza dalla sua presenza che opprime ed inchioda
l'anima, obbligandola ad una vita puramente reattiva, e per creare uno
spazio libero ed incondizionato in cui la possibilità pura, l'Assenza,
possa venire condotta nella presenza dal dialogo della poesia. Ma questa
libertà ha un prezzo.
Trasformare l'Assenza nell'Altro presente come un compagno silenzioso,
metterlo al posto del mondo effettuale, a cui ci si possa rivolgere, con
cui si possa dialogare, invece che con questo, è una sorta di suprema
astuzia. In questa astuzia consiste la poesia. Così viene rovesciato
il rapporto tra presenza e assenza, tra mondo effettuale, in cui si offrono
possibilità, e possibilità di mondi. Non è il primo
ad essere al centro, e la seconda non fa da semplice contorno. E' la preminenza
della presenza del mondo che tiene legata la mente e le impedisce di uscire,
seguendo liberamente se stessa nella possibilità pura. Al contrario,
se la Assenza è posta, come l'Altro, nel cuore stesso del mondo,
ed è quest'ultimo ad essere chiamato a fare da contorno del dialogare
poetico con Lui, la parola non è soggetta alla forza di gravità
che su di essa esercita l'esistente e non va a spegnersi nella comunicazione
funzionale entro il suo orizzonte, ma la sua traiettoria rimane aperta
ed infinita nella estasi della possibilità della possibilità.
Come osserva la Dickinson - "la parola è morta una volta che
è pronunciata, dice qualcuno. Io invece dico che comincia a vivere
proprio quel giorno"(1212).
La poesia è astuzia perché usa le immagini del mondo per
sfilare l'anima dall'incombere del mondo, dandole in pasto - a lei che
sarebbe naturalmente affamata di mondo - immagini e parole di cui è
abituata a nutrirsi, ma rivolte all'Altro, cioè all'assenza, dunque
depurate dalla loro comune funzionalità comunicativa. Perché
la poesia è parlare con nessuno. La parola poetica richiama immagini
del mondo per offrirle all'Assenza. "Ho un re che non parla"
(I have a King, who does not speak n.103), scrive Emily in una poesia
giovanile. A questo re silenzioso è rivolto il dialogare poetico.
Esso libera l'anima dall'ostacolo del mondo che si frappone al suo rapporto
diretto tra sé e sé.
Ma il rapporto dell'anima con se stessa - una volta liberata dall'ostacolo
del mondo che è anche un rassicurante ancoraggio - è un
vorticare folle, vertiginoso, indomabile. Di momento in momento è
celestiale od orribile. Nessuna esperienza,per quanto estrema, è
risparmiata a chi sceglie la via del dialogo liberante e terrificante
con l'Altro invece che quello, soffocante e rassicurante, con il mondo.
La decisione che piega l'anima a se stessa è quella della solitudine.
E' la decisione di Emily. La solitudine è la condizione richiesta
affinché tutta la sua attenzione e le sue energie siano rivolte
all'Altro che essa richiama accanto a sé. Il mondo resta, ma come
un insieme di echi evocati che hanno il compito di circoscrivere e far
risaltare la presenza dell'Assenza. La decisione della solitudine è
un taglio netto col mondo. E' come una diga che consente alla Dickinson
di arrestare entro di sé lo scorrere dispersivo della sua esistenza.
Al centro della solitudine cresce l'Assenza, e si presenta come l'Altro,
a cui solo il dialogare poetico perennemente rinnovato impedisce di scomparire.
Quella di Emily sarà una dedizione totale: dell'Altro di cui si
sente sposa. Non a caso il tema di un gruppo di poesie è nuziale.
"Mio per legge della candida scelta", dice in una, "Mio
mentre sfuggono le epoche" (528).
Il tempo della storia sfugge nella successione senza fine, è un
susseguirsi insensato di eventi e di rapporti. Quello della solitudine,
invece, si pianta nel cuore della successione temporale, immobilizza cumulativamente
i momenti fino a giungere all'arresto del momento davanti alla totalità
del tempo. Forse è opportuno ricordare nuovamente ciò che
dice Thoreau, nel passo che abbiamo già citato: "Dio culmina
nel momento presente, e non sarà mai più divino, nel corso
di tutti i secoli".
Grazie a questa relazione privilegiata con l'eterno, seme del momento,
la Dickinson può parlare con coloro che ancora non ci sono: "I
fit for them" (1109), "Mi preparo per loro e cerco il buio finché
non sia pronta", dice. Ha la speranza che "una rinunzia come
questa mia frutti un bene più puro, se riesco". Una rinunzia
al mondo per condurre il dialogo con l'Assenza può creare beni
spirituali - forse "meriti" per l'umanità - di cui altri,
più tardi, nel corso del tempo dell'umanità, potranno godere.
La liberazione dalla schiavitù della successione del tempo è
il corrispettivo della sua rinuncia al mondo, di cui peraltro la sua anima,
come quella di qualsiasi uomo, sarebbe affamata. Il poeta non ha impressioni
ed umori diversi dagli altri, ma, poiché ha scelto la solitudine,
sa ascoltarli con più attenzione, rallentarli, scomporli nel suo
silenzio. Così acquista conoscenza dei movimenti dell'anima, e
può orientarli, come turbini fino ad un certo punto domati, entro
la parola. Per questa sua dedizione alla solitudine egli all'esterno può
sembrare goffo, come lo descrive Baudelaire, nella celebre poesia "L'Albatro",
o eccentrico.
Mano a mano che dalla molteplicità delle brevi estasi da paradiso
terrestre che sono gratuitamente donate ai bambini Emily, come tutti,
passa attraverso il tunnel dell'estraneità impietrita del mondo
e del dolore che segna l'avvento dell'età adulta, ciò che
le resta è la capacità di rivolgere nella solitudine un
intenso sguardo su se stessa. La sua anima diventa per lei, con il passare
degli anni, sempre più un enigma, ma più vicino, più
familiare. L'enigma nella vicinanza non si scioglie, ma l'averlo accanto
crea la condizione di una crescente familiarità con esso.
Questo averlo sempre accanto, questa familiarità è forse
solo quanto esso è disposto a concedere di sé all'uomo.
Non c'è risposta che lo scioglie, ma c'è familiarità
e amicizia con la domanda. Non è la soluzione che vorremmo e che
ci aspettiamo, ma questa familiarità che si crea con lui è
qualcosa di sorprendente. Questo, la nostra sorpresa è ciò
che rivela la presenza dell'Altro.
Esso, presentandosi, vanifica ogni aspettativa. Nega quello che ci si
aspetta e dona quello che non ci si aspetta. Per l'uomo questo vuol dire
dovere ammettere che per lui, la via che egli intraprende alla partenza
per conoscere e capire, non è la stessa che arriva.
Nella familiarità con l'enigma, nell'averlo accanto sempre, senza
che perciò esso cessi di essere assolutamente impenetrabile, sta
forse il vero senso che esso offre a chi lo sa accogliere. Il viandante
deve cogliere il senso del suo andare nell'eco dei suoi passi.
Si è molto discusso sul senso biografico da attribuire alle poesie
della Dickinson. Certamente un poeta si nutre delle sue esperienze dirette,
è profondamente orientato dai suoi sentimenti affettivi, dalle
sue relazioni con gli altri. Ma per il poeta lo sguardo sul mondo è
sempre all'orizzonte, mai veramente rivolto a quello che entro questo
orizzonte si muove.
Tutte le vicende vissute sono poste per lui sullo sfondo dell'eterno,
gli altri, per i quali può gioire o soffrire, che può amare
od odiare, sono tutti epifenomeni dell'Altro senza tempo, modi di presentarsi
dell'Assenza a cui è perennemente rivolta la sua attenzione. Questo
non vuol dire che persone e situazioni siano ridotte a semplici segni
o simboli, anzi. La loro esistenza che risalta sullo sfondo dell'Assenza
acquista rilievo unico. Il fatto che esistano lascia senza parole. E questo
è amarli. Non si ama veramente qualcuno se non ci si stupisce della
sua esistenza. La parola della poesia nasce dal "non aver parole".
La poesia, si è detto, è dialogo con l'Assenza. Anche quello
della preghiera è un dialogo con l'Assenza, ma la preghiera si
limita alla sua evocazione. La poesia invece la conduce nel cuore stesso
della presenza del mondo. Ma la presenza è un tutto che una suprema
Giustizia, ad essa preposta, fa in modo che non possa venire né
diminuita, né aumentata. Se qualcosa è fatto entrare nella
presenza, qualcosa, nello stesso momento deve uscirne. Il dialogo poetico,
in quanto porta l'Assenza nella presenza come l'Altro, fa sì che
lo scambio avvenga .
L'Assenza nell'esistenza umana - ma non nei bambini, per i quali è
la compagna più vicina - è di per sé assente. L'assenza
dell'assenza non è nemmeno assenza. In ogni caso, l'assenza non
si mostra fino a che la parola dialogante della poesia non la fa entrare
nella presenza come l'Altro. In ciò il mondo degli uomini è
diverso da quello in cui si trovano gli animali e le cose. Da quello di
questi ultimi l'assenza resta assente. L'Altro nella presenza è
ciò che rende umano il mondo, ma ciò avviene solo quando
il poeta ne è uscito.
Che il poeta esce dal mondo vuol dire che egli non guarda direttamente
al mondo che gli sta davanti. Il suo sguardo è cieco per le cose
del mondo - e questo spiega la tradizione che rappresenta il poeta (Omero)
come un cieco - perché è rivolto all'Assenza: così
egli vede il mondo solo attraverso lo specchio dell'Assenza.
Il poeta, in quanto non sta in rapporto diretto con il mondo, è
per il mondo nessuno: "Che fastidio essere qualcuno! Che volgarità
-come una rana- Che dice il suo nome tutto giugno Ad un pantano - che
sta ad ammirarla!"(288). Esclama Emily in una poesia giovanile.
La compagnia dell'Assenza è tutto ciò che ha: "Sarei
forse più sola - scrive - Senza la mia solitudine".
La sua poesia è costruita con materiali quotidiani, non epici -
"semplici cose - che natura mi disse - con toccante maestà"(441)
- come il giardino di casa, le piante, gli uccelli - "Al pettirosso
mira la mia musica -Io cresco dove cresce lui" - posti nello scenario
cosmico del susseguirsi delle stagioni, del sole all'alba o al tramonto.
E' "il rumore silenzioso nel frutteto" che "io lascio sentire
a certe persone" (12). Evocati dal dialogo con l'Assenza essi divengono
parte di grandi scenari metafisici.
I temi e problemi generali del suo tempo e della sua terra non sono esclusi
dalla esistenza e dalla poesia della Dickinson, ma sono filtrati e scomposti
attraverso il suo prisma privato. Se la si segue, essa conduce talvolta
d'un balzo nei luoghi dell'Altro ("finché incontrammo la città
impossibile").
Il rapporto con l'Altro è quotidiano, familiare, ma non è
assolutamente dominabile. E' l'Altro il padrone ed il poeta si sente come
uno strumento nelle sue mani. Scrive Emily:
"La mia vita era rimasta
Come un fucile carico - in un angolo
Fino al giorno in cui passò di lì il padrone,
mi riconobbe - e mi portò con sé.
Ora vaghiamo per boschi grandiosi
(754)
L'incontro con l'Altro può essere dolcissimo o tremendo:
"Meno atterrisce il lancio delle pietre
contro il galoppo per un'abbazia
che l'incontrare se stessi senz'armi
in luogo solitario" (670)
La vita si offre come spettacolo totale a chi la guarda attraverso lo
specchio dell'Assenza. Il poeta si inoltra nell'Assenza e giunge nell'estasi
al fondo della potenzialità dell'essenza umana. L'estasi è
la esperienza della possibilità pura appagata di se stessa. Nel
giungere al fondo di sé, così, della essenza umana, il poeta
resta in disparte, cieco ed inerte come una cosa.
Il paradosso dell'uomo è che fino a che egli pretende di farsene
accogliere - e questa è l'illusione del dominio - resta nel mondo
uno straniero: "Mai quaggiù mi son sentita a casa"(670),
dice Emily. Viene accolto da esso solo quando è diventato straniero
a se stesso. Ma ad essere accolto in ogni caso è l'Altro, quel
sé che egli, a sue spese, ha dovuto riconoscere come l'enigma,
per lui il più straniero.
Non è la presenza corporea del mondo a dare consistenza all'essere
("Questo mondo non è conclusione" , This World is not
conclusion"- 501): è la possibilità che si appaga di
se stessa. Questo è il suggello dell'essere e ciò che fa
emergere il senso delle cose.
Concentrata, isolata dal mondo, non c'è niente di soggettivo nella
parola di Emily. Soggettivo è il volteggiare a vuoto della mente
inappagata che fa progetti intorno alle cose, che non riesce a immaginarne
l'esistenza proprio perché non la guarda attraverso lo specchio
dell'assenza e non se ne stupisce.
La sua mente invece- scrive " è liscia - senza movimento.
Tranquilla come l'occhio del volto di una statua che sa di essere cieco"(305).
Parla non di quello che vede con gli occhi del corpo, ma di ciò
che - essendo lei cieca per il mondo e familiare soltanto con l' estraneità
a se stessa - vede questa per lei, alla quale il mondo si mostra senza
segreti, ed appare come un'isola che emerge dal centro dell'eterno possibile.
Note
- Dalla
conferenza tenuta al tempio massone di Boston nel 1842, in "Il
trascendentalista e altri saggi" Mondatori Milano 1989 p. 185
- In E.
Dickinson "Poesie e lettere" Sansoni Firenze Bologna 1961
introduzione di Margherita Guidacci p.11
- "Abbandonate
questi tediosi, tediosissimi tentativi di comprendere l'universo col
solo ragionamento" in F.O.Matthiessen "Rinascimento americano"
Einaudi Torino 1954 p. 26
- Emerson,
op. cit. p. 32
- Ivi p.46.
- Vedi Barbara
Lanati, "La vita di Emily Dickinson - L'alfabeto dell'estasi"
Feltrinelli Milano 1998, p. 83
- H.D. Thoreau
"Walden; or Life in the Woods" trad it. Rizzoli Milano 1990
p. 159
- La numerazione
delle poesie è quella adottata dall'edizione critica e riportata
in "Emily Dickinson - Tutte le poesie" Mondadori Milano 1997.
- Immaginandosi
sposa, o desiderando più di ogni altra cosa l'unione del Matrimonio
- con l'Amante, con l'Altro, con il mondo, con se stessa - la Dickinson
si sente 'regina' e 'imperatrice', cammina altera, più su di
un grado nella propria realtà poetica" Sergio Perosa introduzione
a "Emily Dickinson - poesie "Nuova Accademia Editrice, Milano
1964 p. 25.
- Vedi in
proposito l'introduzione di Marisa Bulgheroni "Emily Dikinson Tutte
le poesie" Mondadori Milano 1997 p. IX
- Coscious
am I in my Chamber,
of a shapeless friend -
He doth not attest by Posture -
Nor Confirm - by Word -
- E Dickinson
Lettera a T. Higginson agosto 1862 in "Emily Dickinson - Poesie
e lettere" Sansoni Firenze 1961
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