Sarah Palin, il femminile rifatto

di Ida Dominijanni


Ida Dominijanni

Cinque volte mamma, antiabortista tanto da accogliere un figlio prediagnosticato down, bella di una bellezza rassicurante, competente in politica locale e incompetente di politica globale: il profilo di Sarah Palin non ci piace.
Ma va analizzato con attenzione, sfuggendo la genericità dell annuncio «Una donna vicepresidente per prendere i voti di Hillary» che ha imperversato nei nostri media nei giorni scorsi. Un buon risultato di queste presidenziali americane è certamente di avere spostato in avanti la soglia dell innovazione necessaria (e praticata, a differenza di quella perennemente strombazzata in Italia): la competizione fra Obama e Clinton, un nero e una donna, di qua, ha costretto Mc Cain a rompere l immagine del conservatorismo tradizionale aprendo a una donna anche di là; e come che vada a finire a novembre, il monopolio maschile-bianco della politica, legge fondamentale della cosa pubblica in Occidente dalle origini a oggi, è spezzato, o almeno - anche in caso di vittoria di Mc Cain - decisamente incrinato.

Ma un altro buon risultato delle presidenziali americane è di aver mandato in archivio per l'appunto la genericità del gender, quella per cui basta che ci sia una donna a tentare di rompere il tetto di vetro del potere e il gioco è fatto, e da cui discende l idea che i voti di Hillary Clinton siano riversabili su Sarah Palin, come se essere una donna significasse essere intercambiabile con un altra donna senza andare troppo per il sottile.
In verità già la campagna elettorale di Hillary aveva dimostrato che proprio quando c è in campo una donna tutti, elettori ed elettrici, ci vanno per il sottile eccome, valutandone ogni movenza, ogni messaggio, ogni parola con ben maggiore acribia di quando c è in campo un uomo: la differenza sessuale non annulla, ma incrocia e complica tutti gli altri elementi di una candidatura, dal programma al linguaggio alla mobilitazione dell immaginario alle identificazioni fra candidato/a, elettori ed elettrici. La candidatura di Palin adesso completa il lavoro: il fatto da mettere a fuoco non è tanto che sia una donna come Hillary, ma che sia una donna tanto diversa da Hillary.

Questa diversità fra loro non solo rende molto difficile, a occhio e croce, un immediato travaso di voti femminili dall'una all'altra, ma archivia l'idea di una donna purchessia, ovvero l'equivoco dell'identità di genere, costringendoci a pensare in altri termini che cosa si stia giocando sulla differenza sessuale e sui rapporti fra i sessi in queste presidenziali americane.
Le quali vengono dopo sette anni, a far data dall'11 settembre 2001, in cui sulla differenza sessuale e sui rapporti fra i sessi si è combattuta una guerra certamente meno cruenta, ma sul piano simbolico altrettanto rilevante, della guerra contro il terrorismo.
Basta leggere Il sesso del terrore di Susan Faludi - Isbn Edizioni, un libro sul quale in prossimità del settimo anniversario del crollo delle Torri non mancherà motivo di tornare - per farsi un'idea di questa guerra non dichiarata e delle sue poste in gioco: prima fra tutte, il tentativo di ripristinare l ordine del maschile e del femminile mandato all aria dal femminismo, riabilitando nell immaginario collettivo il mito virile del guerriero e il mito complementare di una femminilità addomesticata, materna, accudente, fragile, bisognosa di quella «security» violata dall'attacco alle Torri che solo i «veri uomini» possono tornare a garantire armi alla mano.
Si è trattato, scrive Faludi, di un grande dispositivo mediatico di trasposizione di una tragedia pubblica sul set del privato, con tanto di processo al femminismo, accusato di avere «svirilizzato» la nazione attaccando il machismo, e con tanto di beatificazione di una femminilità tradizionale rinnovata: «una femminilità ritrovata, dedita alla casa, alla famiglia e alla vita domestica, nonché alla sicurezza della nazione, in modo che la tradizionale femminilità (di tipo nuovo) potesse rafforzare le credenziali maschili da cui dipendeva il nostro mito di impenetrabilità, una fantasia in cui la patria non veniva mai violata e i nostri leader uomini erano sempre eroi».
Sarah Palin assomiglia a questa icona della femminilità tradizionale «rinnovata». Può darsi persino che prenda molti voti femminili, di un tradizionalismo rinnovato. Ma non prenderà quelli di Hillary.

da il manifesto del 2-09-08

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