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pubblicato in "il
manifesto" del 7 maggio 2004 Abituato dall'inflazione del visuale a posarsi sulle immagini veloce e distratto, lo sguardo certe volte non basta: quando bisogna andare sui dettagli è sempre meglio la parola scritta. E nel caso delle sevizie «occidentali» sugli iracheni a Abu Ghraib, è sui dettagli che bisogna andare, per evitare che quel nome sommario, «tortura», ci esima dal fare dettagliatamente i conti con quello che comporta per la nostra democratica civiltà il ritorno di questa pratica nel lessico quotidiano (già sinistramente anticipato, e con troppo scarso allarme, dai non tanto accademici dibattiti successivi all'11 settembre sulla possibilità di riattivarla contro il terrorismo). Dunque andiamo sui dettagli, e invece che distogliere lo sguardo da quelle insopportabili immagini fermiamolo sulle minute descrizioni del rapporto Taguba e delle testimonianze dei detenuti. Pestaggi con sedie e bastoni. Sodomizzazioni maschili con manici di scopa e lampade al fosforo; stupri femminili con foto. Masturbazioni obbligate. Sesso orale per forza. Uomini travestiti con lingerie femminile, very drag. Ammucchiate. Morsi di cani. Elettroshock ai genitali. Trattamento al ghiaccio dei corpi nudi. Nel dettaglio, il catalogo è questo. Con esecutori e esecutrici, un'orgia di sadismo bisex. Sconvolta da tanto orrore autoprodotto, l'opinione pubblica occidentale stupisce che a perpetrarlo ci fossero anche donne: soldatesse che incitano, ridono, fotografano, godono, coperte da una generalessa che sostiene di non aver saputo e punta il dito contro responsabilità più alte ma chissà. Funziona sempre così, in base a un collaudato dispositivo
dell'immaginario e del senso comune: se il mondo (perlopiù edificato da
uomini) diventa tanto orrendo, che almeno le donne si salvino e lascino
aperto uno spiraglio di salvezza per l'umanità. Non fu così anche con la
prima kamikaze palestinese? Stupore, scandalo, punti esclamativi. Con la libertà e la democrazia, si doveva esportare in quei paesi
anche l'emancipazione femminile. Liberare le donne arabe e islamiche dal
velo, dall'oppressione, dal dominio di sistemi tardopatriarcali e
tardomaschilisti. Ricoprirle di pari diritti, come noi qui a ovest. Di che ci
meravigliamo allora? E perché piuttosto non spegniamo radio e tv, quando
sentiamo aleggiare l'ipotesi che quelle immagini di Abu Ghraib
rappresentino la rivalsa del femminismo occidentale sul maschilismo
islamico - come se questo fosse il femminismo, una ritorsione sadica e
umiliante del gentil sesso sul sesso forte, neanche avessimo preso lezioni
di sfida fallica alla scuola di Bush e dei neocons? Per una che tortura, ce ne sono milioni che lavorano ogni giorno e dappertutto, a ovest e a est, per aprire il presente a un salto di civiltà. Fanno meno notizia, ma hanno un'altra economia del godimento e non ridono dei corpi martoriati. In fondo è sempre anche su
questo, sul tipo di trattino che mettiamo fra il corpo e il piacere, che
le guerre si combattono, si perdono o si vincono. |