Cristina Trivulzio fa fronte al problema filosofico di Giambattista Vico?

di Donatella Bassanesi

 

Cristina Trivulzio dimostra nella sua storia una origine illuminista e razionalista. Donna dell’ottocento rappresentata nell’iconografia più tradizionale come eroina romantica, guardata più attentamente sembra liberarsi di quella che appare una sovrastruttura: la figura di eroina romantica così in un certo senso sbiadisce per far posto a un pensiero filosofico (la ricerca della verità) razionale e la volontà di tradurlo in pratica di impronta illuminista vichiana (le origini, la storia dei popoli, la natura) e kantiana (intorno al giusto e all’ingiusto, e dunque alla morale).

Con la volontà di modificare le cose del mondo (che è la politica) non perde tuttavia mai di vista le questioni che considera di fondo. Così l’esilio non risulta per lei emarginazione, allontanamento dal mondo ma apertura a esperienze, a mondi nei quali ripercorrere le origini è una sorta di volontà-necessità (così i viaggi verso l’oriente, le esperienze di nomade).

Fra il pensiero (e le sue traduzioni nel fare) di Cristina Trivulzio e i temi dominanti del pensiero di Giambattista Vico corrono sotterranee analogie: non confluenza di pensieri, ma pensieri e azioni che in un certo senso si richiamano da lontano.
Una analogia per la quale una sorta di tensione, simile a quella dell’equilibrista, sfida insieme se stesso lo spazio e il tempo.

 

Cristina Trivulzio lettrice e interprete di Giambattista Vico.

Cristina Trivulzio è pensatrice che si colloca tra ‘700 e ‘800.
Nell’’800 per data di nascita, nel ‘700 per formazione e tratti illuministi.
Una trazione verso il mondo nuovo che tuttavia riconosce nel passaggio dell’illuminismo (e nella rivoluzione francese) il tratto essenziale che caratterizza le possibilità di conoscenza.

Così Cristina Trivulzio intende rendere alla conoscenza (che è naturalmente critica) la possibilità di andare oltre se stessa diventando azione (e trasformazione) pratica.
A questo scopo esercita volontà e ragione che sono guida dei suoi progetti ( prima di tutto quello di trasformare il castello di Locate in Falansterio, la pratica di un altro modo di vita in comune).
Così applica il suo pensiero alla lettura di sé nel mondo (a partire dalla condizione che conosce intorno a sè) – Vico non scopre se stesso nell’altro ma l’altro in se stesso.
Ogni passaggio della vita diventa lezione da cui partire per ritrovare una possibilità, un ricominciamento, il prodotto di un mutamento (movimento) che non cancella ciò che è stato ma lo pone ad un piano diverso che non sappiamo se sia alle spalle, a lato o a qualche profondità di cui non possiamo sapere (di cui non esiste conoscenza, che potrebbe anche essere risultato del caso).

 

Partire da Vico

L’ ‘incontro’ di Cristina Trivulzio con Giambattista Vico lo si intuisce partendo dal pensiero dello stesso Vico.

La Scienza Nuova di Vico: trova la sua radice nella universalità della natura umana, ossia nella materia umana (che è nella storia perché esiste un mondo umano in comune appartenente ad ognuno), ritrova i princìpi nelle modificazioni della mente.

La teoria vichiana della conoscenza: lo sviluppo della storia umana è contenuto in potenza nella mente umana e può perciò essere rievocata.

Vico, la filosofia-la filologia.
Nella Scienza Nuova dice che “la filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero”; mentre la filologia “osserva l’autorità dell’umano arbitrio, onde viene la coscienza del certo", è “la dottrina di tutte le cose le quali dipendono dall’umano arbitrio, come sono tutte le storie delle lingue, dé costumi e dé fatti”. È il “sensus communis generis humani” a determinare l’ “arbitrium”.

Ma all’inizio gli esseri umani, naturalmente, non possono concepire l’idea del bene comune. Vico pensa a una vita primitiva che crea istituzioni severissime e feroci, frontiere insormontabili: un luogo dove non c’è libertà ma fissazione di limiti precisi che tengano fuori il caos del mondo circostante.

Senza avere a disposizione materiale preistorico, né antico-orientale, né etnografico sui popoli primitivi, anche se il Medioevo era quasi sconosciuto, Vico indaga le origini come il luogo determinante della formazione. Scopre le energie sepolte nella natura umana: la humanitas (il carattere comune alla natura umana , a tutti).
Chiama l’umanità naturalmente poetica: la vita quotidiana è il poema reale (poetico è il contrario di razionale, ponderato, è – riguardo ai primitivi – fantasia rigorosa, plastica, epico-storica).
Vico è stato il primo a formulare il concetto di ‘genio popolare’, attribuendolo alla poesia primitiva.

Perché intende partire dall’origine osserva come la natura umana sia mutevole (si evolve), e ai primi uomini che erano poeti succedono altri di ‘natura eroica’ e poi altri ancora di ‘natura razionale’ e poi inclini alla ‘astrazione matematica’. Ma, per altro verso, non c’è contrasto tra natura primigenia e istituzioni umane perché l’età dell’oro non fu di libertà naturale ma di istituzioni.

Si fa guidare dalle lingue e dai fatti. 
Perciò sottolinea come il pensiero e l’azione umana siano regolati dalla mente umana (il ritmo dell’azione, il movimento, risultano da una potenzialità , in un certo modo occulta, che rimane invisibile motore, non misurabile, sfuggente); come il pensiero debba essere utile alla collettività.

Perciò, dice Vico, è necessaria una Scienza Nuova (che definisce “nuova arte critica”) che attinge alle fonti eterne del diritto naturale, per il quale si conosce solo ciò che si crea, non c’è conoscenza senza creazione. Perché sono le creazioni a provocare quelle modificazioni della mente umana lungo le quali si può risalire alle civiltà più antiche. E sono i princìpi a sottolineare e a essere le modificazioni della nostra mente.
Il punto di partenza è dunque la critica delle forme dell’espressione umana (la lingua, il mito, la poesia). Per Vico non c’è per l’uomo altra natura che la sua storia.
 
È l’universalmente umano ad essere la terribile realtà della storia. Ed è la storia umana che, passando attraverso la ragione, conduce all’uguaglianza e alle democrazie perché nella storia umana si produce la Divina Provvidenza, che è un fatto storico.

Cristina Trivulzio, quel mondo lontano dell’oriente in cui collochiamo le nostre origini, il nomadismo che pensiamo sia stato dei nostri progenitori, lo fa diventare sue esperienze di vita. Sono quelle realtà a provocarla a un ‘gioco’ per il quale prendere distanza da sé è avvicinamento dell’altro per conoscere di sé qualcosa che di sé non si sapeva. Si tratta della questione della radice e della sua natura necessariamente e naturalmente nascosta.
E così passare per Vico.

Vico. Filosofo del ‘700, illuminista, razionalista, e interessato al pensiero primitivo il cui carattere principale è emotivo: perché è l’origine a essere principio di conoscenza (ma l’origine è incerta, situata nel fondo antichissimo e nell’emergente presente, di cui nella lingua c’è la traccia – che mostra l’etimologia e l’uso quotidiano).
Vico chiama Omero padre di tutto il sapere della Grecia.
È dunque il mito (il racconto) ad essere al fondo della filosofia – che tuttavia più che costruire, scopre, libera dalla copertura, perché ricerca verità.

Nella Scienza Nuova (1725) Vico definisce filologi i poeti, gli storici, i retori, i grammatici.
Mentre si stanno sviluppando le utopie razionali, nell’illuminismo che va facendosi, Vico ricerca una scienza degli inizi della storia del mondo; vuole comprendere l’essere umano degli inizi, della sua condizione sociale: la (e nella) struttura spirituale del primitivo che era scarsamente logica ma ricco di capacità emotiva e di fantasia, di un “universale fantastico” a ragione del quale si formò la personificazione delle forze della natura in una sacrale-fantastica coerenza.

 

Problema di Vico è se vi sia un diritto in natura.
Importanza della parola natura.

Vico pensa natura in senso corporeo quando dice che Dio lo Spirito regna libero sulla natura, ci dà e ci conserva l’esistenza in modo naturale. Pensa natura contrapposta all’ostinato studio dell’arte. Pensa natura come natura sociale e spirituale: la natura principale degli uomini è “essere socievoli” ossia avere “civil natura” (il ‘civile’ di Vico è il ‘socievole’ ed è di natura spirituale) a ragione di un “diritto in natura” comune a tutti gli uomini e a tutti i popoli. Pensa alla “lingua mentale” che “è nella natura delle cose umane”, lingua dello spirito umano che è “naturalmente” portata “a dilettarsi dell’uniforme”. E anche, nei momenti di grande civiltà, natura come ragione illuminata.
 
Natura è parola che deriva da nascere, ciò che sta nascendo, è nascimento, appartiene all’umano in quanto naturale (dal momento della nascita e perché c’è nascita – e dunque anche morte), ed è anche il momento storico a produrre quel certo stato di natura che perciò in quel certo momento è nato. Dunque esistenza che dura nel tempo e anche movimento del nascere e del divenire, che si collega alle origini delle cose (e perciò esiste anche un legame tra natura e storia, ossia natura come stadio di sviluppo, essenza dell’evoluzione storica.
Natura dove lo Spirito regna assoluto e libero (l’esistenza naturale e corporea) contrapposta all’ “ostinato studio dell’arte”.
È capacità di evolversi. Riguarda perciò l’ “essenza dell’evoluzione storica”, uno “stadio di sviluppo” (G.Vico, Scienza Nuova).
Natura comune comporta socievolezza (come carattere di chi nasce, corrisponde anche a una debolezza che è l’instabilità del vivere) e civiltà. Il carattere comune alla natura umana è l’humanitas, che sono le energie sepolte nella natura umana, scoprire l’altro in se stesso.
Oggetto dell’opera di Vico è la comune natura delle nazioni, la sua si può perciò chiamare filologia filosofica e anche filosofia filologica. E questo a partire dal convincimento che solo nella totalità della storia sta la verità, e a questa si accede solo comprendendola nel suo intero corso: perciò la verità che la filosofia ricerca è legata alla filologia (che indaga sia i ‘certa’ particolari, sia la continuità, sia i loro rapporti).

Vico afferma che l’essere umano ha per natura la sua storia. Perché l’essere umano è mutevole, si evolve (così dice Vico, i primi uomini sono poeti, poi acquistano una natura eroica, infine una natura razionale), e l’universalmente umano è la terribile realtà della sua storia.
Riconoscere le proprie azioni nelle quali è inscritta la propria storia. Perché l’azione, il fatto hanno una forza che determina al di là dell’intenzione, della tensione verso. Anche se l’intenzione è porta verso, apre a un fatto a un’azione.
Per Vico il mondo storico può essere compreso dagli uomini perché lo hanno creato. Le modificazioni della mente umana sono il tracciato che permette di andare indietro nel tempo fino ai primordi, fino al principio. Così si possono intendere gli inizi attraverso le tracce, si pensano tracciati, passaggi, i passi-passato.

Vico scopritore di un nuovo metodo.

Farsi guidare da lingue e fatti (come potenza, capacità di possedere, di inventare)
Perché attraverso le lingue e i fatti si determina e si comprende il tempo. Il tempo si definisce nei suoi limiti e nelle sue smagliature, nei passaggi imprecisi tra l’uno e l’altro, tra il prima e il dopo.
Nelle parole, per Vico, c’è l’intenzione di comprendere, di includere realmente la cosa, non è solo convenzione (è l’identità di significato tra nomen e natura in greco e in latino). Di qui il linguaggio figurato e poetico – e i rapporti con le idee; la vicinanza tra nome e natura nel linguaggio.

Nella lingua c’è la traccia che mostra l’etimologia.
La lingua è usata quotidianamente.
Per Vico la lingua mentale comune sta nella natura delle cosa umane, è lumen naturale o sensus communis.
Il “sensus communis generis humani” è la possibilità di conoscere la propria storia per essere stata creata dallo stesso essere umano. Vico definisce questa un’arte; filosofia o filologia: una filologia filosofica.
Così il senso comune è elemento comune agli esseri umani, li mette in comune, li rende comunicanti, dotati di comunicazione. Per un verso è fondamento soggettivo, per un altro è principio oggettivo del comune sviluppo storico.
Non è un dato razionale ma è fondato sull’istinto e sull’abitudine. Perciò è certum, non verum (che riguarda la filosofia).
Così la comunicazione deriva dal senso comune, e deriva dalla distanza che separa gli uni dagli altri, dalla molteplicità. E la storia e il prodursi della differenza allontana  dall’unicità.


2-11-2009

 

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