Domande filosofiche

di Donatella Bassanesi

La distanza della verità

Per non indifferenza alle cose del mondo la conoscenza diventa pensiero critico.

L’esercizio della filosofia è il riconoscimento non della verità ma della sua traccia, che ne è l’ombra, traccia che allude a un piano che è quello della realtà, di cui noi cogliamo solo incertamente il profilo.  D’altra parte la parola verità traduce la parola greca aletheia che significa non-nascondimento. Ossia il movimento di uscita dal nascosto, che suppone un motore.
La verità e il motore il movimento. La verità chiede ricerca. E d’altra parte la ricerca perché movimento modifica. Il ricercato spostandosi ha cambiato si direbbe natura.
Realtà che è l’ “essenza concreta del vero” (W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, Suhrkamp Verlag, 1963, tr. it. Il dramma barocco tedesco, Einaudi, 1980, p. 4). Verità che solamente intuiamo, da cui siamo lontani, come lontani siamo dalla realtà che percepiamo unicamente distorta (dalle ideologie che la forzano a interessi particolari, a un nostro particolare interesse).

La verità rimane unica e indecifrabile.
Ciò che è possibile è partire dal distorcimento, dall’analizzare ‘freddamente’ le ragioni che lo producono.
Ne segue che la filosofia riconoscendo e ripercorrendo tracce, esponendosi ai margini, criticando si pone ed espone ai limiti di sé stessa.
La sua fragilità è la sua forza.
Perciò non definisce e non si definisce. Chiama all’analisi di testi che sono esempio (pre-testo), domande che aprono alla domanda (una concatenazione ermetica). Che sono peripezia intorno a pietruzze, formano un mosaico che si può leggere unicamente da lontano, rispettando la distanza – nel mito: aprendo una danza che ha sempre qualcosa di misterioso e di sacrificale, come un lutto sospeso (che c’è stato, di cui quasi non sappiamo ma di cui siamo eredi; o che sta per venire, una promessa).

La traccia avviene come un intervento che apre un vuoto. È il distacco della frase filosofica che non vuole essere configurazione sistematica, fondazione di codici. Nel vuoto sta ciò che non può provenire da fuori; e l’esercizio della filosofia è il riconoscimento dell’influenza di ciò che è del vuoto, che è della verità: è la realtà, ossia “essenza concreta del vero” (ibid. p. 4) da cui noi tuttavia ci troviamo a distanza.
Bisogna dunque accettare la distanza come possibilità di conoscenza, ma non estraneità e neppure indifferenza. Dis-t(d)anza come pensiero che si colloca altrove ma provoca un movimento che trascorre (lungo i confini) nel mondo.
Stare in mezzo è il senso mediatore del concetto che sta tra il fenomeno e l’idea, permette al fenomeno di partecipare all’essere dell’idea (ossia capace di filosofia); che rende la filosofia capace rappresentare le idee, questo perché le idee non si rappresentano attraverso se stesse ma come concatenazioni di “elementi cosali nel concetto” (ibid. p. 10).

I fenomeni fanno parte dal regno delle idee divisi e così sottostanno ai concetti che, a loro volta, nelle cose “compiono la separazione in elementi” (ibid.). Mentre i concetti mediatori attraverso i fenomeni rendono all’essere le idee: così la filosofia è “rappresentazione delle idee” (ibid.).

Come la salvezza dei fenomeni si ha per mezzo delle idee, così la rappresentazione delle idee si compie con “l’empiria” (ibid). Logica-etica-estetica sono “contrassegni” (ibid.) della discontinuità delle idee, discontinuità che è anche dei fenomeni (che sottostanno, sono alla radice dei concertti).

L’attacco filosofico

Svoltare per affrontare una svolta del tempo, e cambiare la misura del tempo per svoltare, comportano una chiusura e una successiva apertura, una sospensione e un movimento, che è l’andare a capo, o meglio il ritrovarsi da capo della filosofia.
E questo per non sottostare alla rappresentazione, ossia a configurazioni sistematiche quali sono la “dottrina filosofica” basata sulla “codificazione storica” (W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, Suhrkamp Verlag, 1963, tr. it. Il dramma barocco tedesco, Einaudi, 1980, p. 3).

L’oggetto della filosofia sono le idee – una filosofia è una cosa fatta delle idee che la compongono, che trovandosi accostate costituiscono qualcosa che è altro dalle loro singole parti.
La filosofia, per essere passaggio (ad altro) sospende come non-tempo il tempo, sostituisce l’essere all’avere, non interroga la verità ma ascolta le domande della verità, perché è la verità a domandare. Ricercando domande ricercare verità (che è domanda e domandare).

La verità è “unità dell’essere” (ibid. p. 6). Verità che non proviene da fuori, è desiderio e impronta della verità ed è filosofia. Per un verso meno delineata, per un altro più delineata della ricerca, perché il desiderio è il “tramite mediatore verso il conoscere” (ibid. p. 4) ma si colloca fuori della possibilità, perché l’impronta appartiene al caso.
“La conoscenza è interrogabile, ma non così la verità” (ibid. p.6). La conoscenza è interrogabile perchè riguarda il soggetto, non così la verità che essendo interrogazione pone la questione del soggetto rimanendo fuori dal soggetto stesso ma potendo entrare in relazione con lui.

L’esercizio della filosofia non sta nella rappresentazione della verità ma nella volontà (o desiderio) di conoscere la forma della verità che si colloca nel luogo-non-luogo che è anche della realtà (l’essenza concreta del vero).

La rappresentazione si fa di scatti di pensiero che producono lacerazioni, sono espressione del pensiero come lacerazione, distacco dal puro sentire, dalla originarietà dell’emozione. Sono frammenti il cui pregio sta nella materia – “la concezione di fondo” (ibid. p.5) – di cui sono fatti. “Da essi dipende lo splendore della rappresentazione nella stessa misura in cui quello del mosaico dipende dalla qualità del vetro fuso” (ibid.).

Lo spezzarsi della scrittura come pausa incisiva, sottolineatura di un passaggio pericoloso, e rappresentazione del passaggio più che come discontinuità, è riprendere (anche nel senso di richiamare o rimproverare: ‘attenzione!’).

Nel farsi la scrittura ritorna a capo, riavvolgendosi ritrova il filo spezzato e il passaggio arduo nel quale risiede ciò che vuole-non-vuole dirsi. La scrittura, non appoggiandosi alla retorica della voce, è necessariamente più stringente, rende più facile ritornare su..., ha maggiori possibilità di essere critica, di essere criticata.

I frammenti di pensiero e sono “elementi singoli e disparati”. Il loro pregio sta nella singolarità, ed è tanto maggiore “quanto meno essi sanno commisurarsi immediatamente con la concezione di fondo” (ibid. p.5)
“Struttura discontinua del mondo delle idee” (ibid. p. 10), e dunque la struttura discontinua dei pensieri si riflette ed è riflesso della discontinuità delle idee.

Ma i pensieri provocano idee e stanno tra il mondo empirico e le idee. Si svolgono come idee e insieme rimangono attaccati alle certezze empiriche, ai fenomeni che partecipano divisi all’unità “autentica della verità” (ibid.).

I fenomeni reggono i concetti che, a loro volta, “compiono la separazione in elementi” (ibid.), dunque i concetti sono un’operazione di segmentazione operata dal fenomeno e di evidenziazione dello stesso.
La realtà perciò è percezione, la cui visione rende pensabile (per analogia) la verità. La realtà è attraversabile e risulta da un attraversamento.

Il coraggio

Il coraggio è mutamento di uno stato di adeguamento in movimento oppositivo che lo contrasta lo mette in crisi gli toglie giustificazione.
È il tempo ad essere crocevia. Punto che inchioda a sé e strada. Esiste per un certo fine. E’ traduzione. Richiede la ricerca dei mezzi necessari e la messa in atto che permette di realizzarlo (tradurlo in fatto). Implica la difficile capacità delle “virtù incompatibili” (S. Weil, ibid. p. 49). Si tratta di praticare la critica (e la contraddizione) che è il piano più alto della relazione allontanandosi dai compiacimenti per le somiglianze, dalle identificazioni.
Contraddizione che avvicina i termini, li pone di fronte, sta in mezzo (è mediazione) ma per rivelare e rivelando le differenze, che è esercitare il coraggio della contraddizione.

Il coraggio deriva dalla speranza che è “la conoscenza che il male che si porta in sé è finito, e che il minimo orientamento dell’anima verso il bene, fosse pure per un istante, ne abolisce un poco”  (S. Weil, Quaderno VII, in Quaderni, vol. II, p. 256).

Il coraggio non è avventatezza, necessita di una attenzione che “sia uno sguardo e non un attaccamento” (S. Weil, Quaderno VII, in Quaderni, vol. II, p. 293) Perciò “ogni minuto di attenzione anche imperfetta verso l’alto fa ascendere un poco, così come ogni atto compiuto con la stessa attenzione”, e “un’attenzione ben diretta, logora un poco” ciò che fa ostacolo (ibid. p. 256).

Orientarsi verso ciò che non c’è, spinti da ciò che prende corpo come uno sforzo necessario e inevitabile. Uno sforzo che tende il corpo, intensifica il ritmo del vivere, le capacità personali, rende sensibili al dolore e insieme capaci di sopportare intenso dolore, intensifica le capacità di attenzione, dispone alla percezione del ritmo che è il vivere ed è la necessità di agire.
Scrive Weil, “fare attenzione non all’immagine dell’evento giudicato desiderabile, ma ai motivi” che lo “hanno determinato” (ibid. p. 317).

Prestare attenzione alla preparazione dell’azione rischiosa (che può anche fallire). La tensione rende il ritmo dell’azione, lega i momenti che risultano in rapporto (sono rapporti), provoca una energia aggiuntiva che deriva più che dal corpo dallo spirito – e dallo spirito della cosa stessa, perché è la cosa (l’azione) a diventare movente-motore, spinge il soggetto a intervenire, soggetto che perciò è in un certo senso interprete, interpreta.
Per ascoltare il movente – la cosa – bisogna ascoltare il silenzio, soffrire il vuoto, il luogo dove non c’è consenso, l’isolamento. Isolamento come separazione-prigione-impedimento.
La giustizia come movente che non deriva, è distante dalla materia. Per questa distanza dalla materia “la giustizia incarnata nella carne, questo è veramente bello, poiché nella carne non vi è nulla che sia in rapporto con la giustizia” (S. Weil, Quaderno VIII, in Quaderni, vol. III, p. 34).

 

10-11-2009

 

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