Conferenza di Arjin Amed e Berfin Hesil
Unione Donne Libere del Kurdistan

5 marzo 1999

 

Vi ringrazio per essere venute e vi ringrazio anche in nome di tutte le donne curde per la solidarietà che ci state esprimendo con questa iniziativa.
E’ da più di 10 giorni che stiamo partecipando ad incontri in varie città italiane e tutti ci dicono di rimanere colpiti dal fatto che siamo molto giovani. E’ vero, questa guerra ci ha segnato rispetto ai nostri coetanei, perché tanto abbiamo sofferto e tanto abbiamo imparato, sia come giovani che come donne.
Oggi siamo qui a raccontarvelo.
Vi parleremo della lotta del movimento curdo, dei rapporti tra Turchia e Kurdistan. Ma soprattutto del ruolo che hanno, e che hanno avuto, le donne curde in questa lotta e dei grossi cambiamenti che il movimento ha portato nella condizione delle donne nella nostra società.

Nel 1923 a Losanna i governi europei hanno diviso il Kurdistan in quattro zone, e allo stesso modo anche la donna curda è stata divisa in quattro. Le donne allora si sono trovate a dover imparare la cultura di questi altri paesi e ad abituarsi a non essere più curde.

In Iraq si conosce bene la politica anticurda del governo di Saddam. Si sa che cosa è successo nella parte del Kurdistan iracheno, quando nel 1988 sono stati massacrati cinquemila curdi con il gas e dove ci sono due forti partiti curdi che ora però stanno collaborando con gli Stati Uniti, notoriamente contro i diritti del popolo curdo.

In Siria invece le carceri sono piene di curdi che quando escono portano per anni i segni fisici e psichici della detenzione.

In Iran quando ci sono state le proteste per l’arresto del presidente Ocalan i poliziotti hanno ucciso dieci curdi.
Attualmente le repressioni contro i curdi sono ovunque. Nessun paese accetta e rispetta i diritti del popolo curdo.

In Turchia da più di 20 anni c’è una guerra sporca contro il popolo curdo e contro il Kurdistan. Di questa guerra a soffrirne di più è la donna curda. Quando i militari turchi arrivano nei villaggi le donne vengono violentate davanti ai loro mariti e i figli uccisi davanti alle loro madri. Tante giovani per non essere violentate preferiscono uccidersi.

Nella società curda la donna non ha mai avuto un ruolo importante, né la possibilità di esprimere le sue opinioni. Per questo le donne curde prima di poter lottare contro il nemico hanno dovuto lottare contro la mentalità della loro famiglia e della loro società.
Il mondo della donna curda è sempre stato unicamente all’interno della casa e della famiglia, perché la società tradizionale segna fortemente la divisione dello spazio per genere. Ma pur non avendo spazio di azione nella società, anzi proprio per questo, la donna ha conservato e tramandato la cultura curda fino ad oggi. Tramite il suo cuore le tradizioni e la lingua curda sono arrivate fino a noi.

Gli uomini avendo una vita pubblica sono entrati prima in contatto con il sistema del regime turco che vieta l’uso della lingua curda. Così i mariti a casa hanno riprodotto questo divieto, picchiando le loro mogli quando le sentivano parlare in curdo. Fino agli anni Settanta, fino alla nascita del movimento di lotta per i diritti dei curdi, la maggior parte del popolo si vergognava di parlare curdo, sia in strada e che in famiglia.
Del resto la lingua curda non è mai stata accettata da parte di nessuno dei quattro governi come una lingua ufficiale. Solo in Iraq per un periodo c’è stata una scuola curda, ma l’alfabeto usato era quello arabo.

In Turchia la lingua che si parla nelle scuole è il turco e gli insegnanti parlano solo turco. Anche in Kurdistan la lingua ufficiale che si parla nelle scuole è il turco perché il curdo è vietato, però gli insegnanti lo capiscono perché sono curdi. Insegnano il turco e raccomandano ai loro alunni di parlarlo anche a casa, ma nelle case le donne parlano curdo tra loro: le anziane perché non sanno il turco, le giovani lo hanno imparato per forza, per non essere picchiate dai loro mariti, ma non vogliono parlarlo.

Porto qui la mia esperienza: io ho studiato in Turchia e in Kurdistan per tanti anni. Nel mio primo anno di scuola non parlavo ancora turco, incominciavo allora con gli insegnanti che mi dicevano che a casa dovevo parlare turco e non curdo, che era vietato parlare curdo. Mia madre non sapeva il turco, non lo sa nemmeno ora. Ho imparato il turco quando sono andata in Turchia, nelle grandi città, a studiare perché se non sai il turco non puoi andare a scuola.

Fino agli anni Settanta le donne non andavano a scuola. La società curda era ancora molto feudale e si pensava che fosse meglio dare un’istruzione ai maschi, perché "imparavano di più". Per questo le donne hanno conservato la cultura curda, rimanendo rinchiuse nella famiglia.

Originariamente la religione curda è lo zoroastrismo (alauiti), ma con l’arrivo degli arabi nel Kurdistan si è diffuso l’Islam. Ci sono anche altre religioni minoritarie tra cui il cristianesimo. Tuttavia il culto religioso non è così sentito da avere effetti sulla politica, mentre in Turchia c’è un partito musulmano che cerca attivamente di far sentire la propria influenza.

La lotta vera e propria delle donne curde è cominciata dopo gli anni Settanta con il movimento curdo di liberazione, quando è cresciuto il PKK. L’emancipazione della donna incomincia attraverso la lotta del movimento curdo a partire dal 1987 quando Ocalan ha cominciato a lottare per il popolo curdo.

Il presidente Ocalan diceva che le donne curde hanno un ruolo molto importante nella lotta, diverso da quello delle donne che hanno partecipato ad altre lotte di popolo. Per esempio in Vietnam la donna non ha cominciato a lottare per i suoi diritti, ma per quelli del suo popolo.
La donna curda invece deve lottare, prima come donna, contro la mentalità della società e poi per i suoi diritti e per il suo popolo, contro i nemici. Per questo la donna curda ha cominciato a lottare in prima linea. Queste sono le parole del presidente Ocalan: "Senza la liberazione della donna non ci può essere la liberazione del paese".
Le donne curde sono in prima linea in questa guerra perché quando i militari arrivano nei villaggi loro non hanno più niente da perdere. Hanno già perso tutto quello che avevano: sono stati bruciati i loro villaggi, sono stati uccisi i loro figli, loro stesse sono state violentate più volte.
Non hanno altra scelta, non possono tornare indietro, per questo imbracciano le armi e vanno in montagna a combattere. Adesso sono diecimila le donne che combattono, prima di tutto per i loro diritti.

Prima quando arrestavano le guerrigliere curde le uccidevano, ora le violentano perché nella società curda la donna rappresenta l’onore della famiglia. Violentando le donne i soldati cercano di rompere la solidarietà che c’è tra il movimento e la popolazione, perché una donna violentata è il disonore della famiglia. Per questo le portano nei villaggi e sistematicamente le violentano davanti ai contadini, davanti alle loro famiglie.

Vi voglio raccontare la testimonianza di due donne che hanno subito violenza:

Zara Sarach ha 28 anni ed è madre di due figli. Nel 1990 suo padre aveva 75 anni. Fu arrestato durante il capodanno curdo. E’ una festa laica che esiste da 2000 anni e che cade il 21 marzo: i curdi la festeggiano in piazza con fuochi e balli.
Il padre di Zara è stato ucciso quel giorno senza un motivo. Quando Zara è andata alla polizia a chiedere spiegazioni le hanno risposto che potevano uccidere anche altri membri della famiglia. Il fratello di Zara è un giornalista. Lui è stato arrestato solo in quanto giornalista. Lo hanno preso, torturato e abbandonato in montagna. Poi hanno detto alla famiglia che qualcuno lo aveva ucciso. E’ riuscito a sopravvivere ed ora si trova in Germania. Anche Zara si trova in Germania ora. Lei ha passato tre mesi in carcere e in questo tempo è stata sistematicamente torturata e violentata da parte dei militari turchi. Precedentemente era stata incarcerata per sette mesi, ma di quest’altro periodo lei non parla, si vergogna. Ha paura di rivivere quello che ha vissuto in carcere e ancora oggi soffre di crisi psichiche. Una volta libera ha contattato l’avvocato che ora difende Abdullah Ocalan, per chiedere conto al governo turco di quello che le è accaduto.

La storia di Zara è simile a quella di molte altre. Quando le donne si impegnano direttamente per ottenere il rispetto dei loro diritti, dei diritti umani e dell’autodeterminazione del popolo curdo, come il diritto di parlare curdo e di avere scuole curde, vengono incarcerate e subiscono violenze e torture continue.

Lela Sana è stata la prima donna curda eletta nel parlamento turco, a Diyarbakir, capitale del Kurdistan. Il suo partito ora è stato messo fuori legge dal governo. Quando ha giurato fedeltà al parlamento con i suoi colleghi di partito, lo ha fatto in curdo, nella sua lingua. Per questo tutti i neoparlamentari curdi sono stati subito arrestati e incarcerati. Ora deve scontare 15 anni.

Queste sono le storie di due donne curde, ma le forme che assume la lotta delle donne sono molteplici.

In Turchia le donne che hanno perso i figli vanno al Galata Sarai, ad Istanbul, con le foto dei loro figli per cercare notizie e alimentare una speranza. Da due anni ogni sabato vanno e si siedono per terra. Ogni sabato vengono arrestate, picchiate e torturate. Sono le madri del sabato, tra le quali ci sono donne di 75 anni. Con loro protestano anche donne turche, ma sono poche perché hanno paura. In Turchia se una donna protesta conto il governo e chiede il riconoscimento dei suoi diritti non è importante se sia curda o turca, viene comunque arrestata e torturata.
Ci sono molte donne che lavorano al Centro Culturale della Mesopotamia, dove discutono, fanno musica e teatro. Per il governo turco è un luogo di terroristi e, anche in questo caso, diverse donne che lo frequentavano sono state arrestate.
In Turchia ci sono più di cinquemila donne incarcerate contro le quali ci sono azioni di tortura sistematica, ma non mi voglio soffermare su questo perché possiamo ben immaginarci di che tipo siano e quali violenze subiscano le donne. Da 25 giorni alcune donne con altri prigionieri uomini stanno facendo lo sciopero della fame chiedere il rispetto dei loro diritti. Perché in carcere non hanno diritti. Sono disposte anche a morire perché vogliono che non si chiuda gli occhi sulla loro tragedia.

Le donne curde lottano anche in altri paesi. A Bruxelles c’è il Parlamento curdo in esilio, che è composto in larga percentuale da donne. A Bruxelles c’è anche una televisione curda, che trasmette via satellite, in cui lavorano per la metà donne. In molte città ci sono associazioni curde e le donne si riuniscono ogni settimana per discutere dei loro specifici problemi.

Le repressioni sulla donna sono solo una parte di questa guerra contro il popolo curdo. Dall’altra ci sono gli almeno seimila villaggi curdi distrutti e incendiati; i bambini che non possono andare a scuola e le famiglie che non possono dare nomi curdi ai loro figli, che devono avere un altro nome sui documenti; i profughi in Turchia che non hanno nessun diritto e non possono lavorare perché curdi.

Noi come donne e come giovani vogliamo che la guerra finisca subito. La Turchia ha bruciato i nostri villaggi ha massacrato tantissime persone, ha incarcerato almeno diecimila prigionieri politici e sta accusando il PKK di tutto questo. Ma noi non abbiamo vietato la lingua a un popolo, non abbiamo massacrato nessun popolo e non abbiamo negato la sua cultura. Adesso per la Turchia siamo diventati terroristi.

Nelle carceri turche ci sono molti militanti di sinistra turchi che solidarizzano con i curdi anche nelle proteste con lo sciopero della fame. Nel PKK stesso ci sono tanti turchi perché il PKK non combatte solo per i diritti del popolo curdo, ma combatte per i diritti del medio oriente in generale. Il PKK ha dalla sua parte il popolo, non ha una ideologia nazionalista. Per questo si dice che il PKK è il popolo e il popolo è il PKK.
Il governo turco non incoraggia l’espatrio dei curdi. Tuttavia solo chi non ha problemi con la giustizia può uscire facilmente dal paese in modo legale, e la maggior parte dei curdi è stata arrestata diverse volte e non può quindi lasciare la Turchia.
Gli emigrati hanno tutti parenti in Kurdistan con i quali mantengono dei rapporti stretti e dai quali sono aggiornati su quello che succede al villaggio. Le persone che conosco e con le quali ho parlato non appena finisce la guerra vogliono tornare nel nostro paese.

In Germania ci sono mezzo milione di curdi e noi donne abbiamo chiesto di fare una festa per l’8 marzo ma il governo tedesco non ci ha dato il permesso, sostenendo che era una manifestazione per Ocalan e che siamo terroriste. La Germania attua la stessa repressione della Turchia, anche se non ci torturano e non ci violentano: quando ci sono state le proteste per l’arresto del presidente Ocalan sono stati arrestati i manifestanti che ora rischiano di essere estradati.

In Germania c’è una forte presenza di turchi e di curdi, ma al contrario di quello che si potrebbe pensare in un contesto di immigrazione non c’è una unità tra curdi e turchi, soprattutto da quando è successo tutto questo. Ci sono però tanti turchi che difendono la lotta dei diritti del popolo curdo, come lo scrittore turco Ismail Besigi che ha scritto tanti libri sui diritti del popolo curdo o come tante donne turche sposate ai curdi. Ma in Germania ci sono anche tante donne turche che ci odiano.

Per le donne l’emigrazione ha significato un grosso cambiamento sia nella vita quotidiana che nella vita sociale. Le forme che assume sono molteplici perché dalle città le donne partono insieme a tutta la famiglia, dalle campagne può succedere invece che le donne partano solo dopo i loro mariti.

L’emigrazione in generale accelera il processo di emancipazione femminile perché all’estero le donne lavorano tutte. Può anche succedere che all’interno della famiglia siano loro le uniche ad avere un reddito e questo modifica molto i rapporti.

Venti anni fa le donne non riuscivano a parlare di politica, adesso ricoprono ruoli molto importanti. Nello stesso PKK ci sono molte donne giovani, che mantengono contatti internazionali e che possono fare tanto.
E’ stata anche la lotta delle nostre madri, iniziata negli anni Settanta, che ci permette ora di andare all’estero a denunciare cosa ci ha fatto il governo turco.
Un tempo una donna non poteva uscire da sola senza il permesso del marito e senza l’accompagnamento di un uomo. Adesso non soltanto le donne escono da sole ma viaggiano in altri paesi.

Il presidente Ocalan è venuto in Europa per trovare una soluzione politica con l’aiuto dei paesi europei perché il problema curdo non è più un problema solo della Turchia, dell’Iraq o della Siria, ma è diventato un problema internazionale. I governi europei hanno risposto chiudendo gli occhi. Il presidente Ocalan è stato eletto dal popolo. Forse per gli europei può sembrare strana questa esaltazione per Ocalan che ci porta a chiamarlo presidente, perché non ci sono state delle elezioni, ma è grazie a lui che abbiamo conosciuto il valore nella lotta per la libertà e per questo è un padre della patria. Voglio ricordare che prima del 1970 ci sono state almeno ventotto rivolte dei curdi che sono state soffocate nel sangue.

Adesso il nostro presidente si trova in un grande carcere, da solo, sotto interrogatorio con due persone mascherate. Non gli è riconosciuto nessun diritto, nemmeno quello di vedere i suoi avvocati che quando hanno cercato di incontrarlo sono stati picchiati dalla folla fuori dal carcere senza che i poliziotti intervenissero.

L’Europa sta chiudendo gli occhi per i suoi interessi economici e direi che c’è una sudditanza nei confronti degli USA; non si vuole trovare una soluzione perché in Kurdistan c’è petrolio per tutto il mondo e c’è l’acqua che è il futuro del Medio Oriente. Il Consiglio d’Europa sa benissimo che la Turchia non rispetta le minoranze, ma la Turchia è strategica per la NATO perché è la porta del Medio Oriente.

Durante le proteste che ci sono state in tutto il mondo per l’arresto del nostro presidente non abbiamo usato le armi, non abbiamo ucciso, né massacrato. Però quando a Berlino ci sono stati quattro morti e diciotto feriti tra i curdi, la Germania non ha accusato il governo israeliano di terrorismo, ma i manifestanti. In questo si vede la democrazia e la vera faccia dell’Europa.

Il governo svizzero per il 21 marzo, che è il capodanno curdo, ha mandato i suoi tremila militari nelle città per controllare i festeggiamenti.
Il popolo curdo continuerà a protestare anche contro il governo greco che ha venduto, non solo il presidente Ocalan, ma anche 40 milioni di curdi e la lotta e la speranza di un popolo.

E’ una cosa veramente strana che per l’Europa non esistano i diritti del popolo curdo. Noi per l’Europa non esistiamo e non possiamo avere gli stessi diritti degli altri popoli, anche se siamo 40 milioni di persone. Quando Ocalan è stato in Italia ha lanciato la proposta che il Kurdistan turco ricevesse un larga autonomia, paragonabile a quella proposta per il Kosovo. Con il suo arresto è stata perduta una occasione grandissima da parte dell’Europa. L’ipotesi di una larga autonomia senza arrivare all’indipendenza potrebbe essere accettata dal popolo curdo perché per noi non sono importanti i confini: noi non vogliamo uno stato, vogliamo i nostri diritti, chiediamo che venga riconosciuta la nostra cultura e il diritto di poter parlare nella nostra lingua. Si può considerare anche l’ipotesi di una federazione mediorientale per il popolo curdo. Ma il problema principale è quello dei diritti.

Da quando è stato arrestato Ocalan le divisioni che c’erano tra i partiti si sono dissolte, perché con il suo arresto è stato tradito un popolo, non solo il leader di un partito. Attualmente tranne i due partiti in Iraq che stanno collaborando con gli Stati Uniti, Israele e Turchia, gli altri non sono più divisi né al loro interno né tra di loro. Sono tutti uniti nella lotta per i diritti del popolo, e questo significa lottare anche per il presidente perché tramite lui siamo arrivati fino a questo punto.

Nel Parlamento curdo europeo sono riuniti tutti i partiti curdi. E’ composto da 65 parlamentari, di cui 12 del Pkk, ma non è stato riconosciuto da alcun governo estero. Il Parlamento curdo di Bruxelles è nato perché in Turchia non esiste un vero parlamento curdo e perché l’Europa non ha accettato di dialogare con il Pkk e trovare una soluzione politica. Prima in Turchia esisteva un gruppo del partito filo curdo che si riuniva clandestinamente e ancora oggi c’è il partito Hadep, filo curdo, che sta cercando di partecipare alle elezioni che ci saranno il 18 aprile in Turchia, ma ha molte difficoltà perché è bersaglio di repressioni e la metà dei suoi membri è in carcere.

Il fronte esiste solo in Europa e lavora entrando in contatto con qualsiasi schieramento politico, senza pregiudiziali. Mandiamo gruppi misti, delegazioni straniere e curde, per controllare la situazione dei profughi in Turchia, nelle carceri, nei villaggi, nelle città, ma anche dai lavoratori o da chi vive in condizioni di estrema povertà. In Europa cerchiamo di fare informazione e controinfomazione per far conoscere quello che succede in Kurdistan organizzando riunioni e manifestazioni.

L’Italia ha un ruolo importante per il Kurdistan e il presidente Ocalan, anche se è stato solo 2 mesi, vi aveva riposto molte speranze. L’Italia infatti potrebbe ospitare una conferenza internazionale di pace, per questo dobbiamo influenzare il governo italiano affinché agisca. L’ultima speranza del popolo curdo è l’Italia. Gli altri stati non faranno niente se non armare i propri eserciti contro la nostra popolazione, come stanno già facendo.

(a cura di Elena Negro e Luciana Percovich)