LA PRIMA RIUNIONE DEL GRUPPO DONNE E POLITICA


Lunedì 6 febbraio si è riunito il gruppo di lavoro donne e politica per mettere a fuoco i punti che costituiranno il documento da presentare ai partiti del centro sinistra.

Nel corso della riunione, alla quale hanno preso parte oltre quaranta donne, si è via via delineato un percorso che, dalla valutazione della manifestazione del 14 gennaio, ha portato a definire le altre tappe del movimento, fino alla prossima assemblea del 22 febbraio alle 21 in Camera del Lavoro che, raccogliendo le indicazioni emerse dai gruppi di lavoro, lancerà i contenuti della nostra proposta politica alle forze del centro sinistra e alle donne e agli uomini (assai poche le prime, molto più numerosi i secondi) che le rappresenteranno alle prossime elezioni, sia politiche che amministrative.

La data dell’8 marzo è stata indicata come un’occasione, molto significativa sul piano simbolico, per generalizzare in tutta Italia, secondo le modalità che città per città il movimento delle donne intenderà darsi, momenti pubblici di incontro con i capilista, le candidate e i candidati che intenderanno confrontarsi con le nostre proposte.

Ci incontreremo ancora giovedì 16 febbraio alle ore 20.30 in Camera del Lavoro per la seconda serata di discussione prima dell’assemblea del 22.

Qui di seguito trovate un resoconto dettagliato della riunione di lunedì sera.


Milano 6 febbraio 2006 (Camera del Lavoro)

Donne e politica

 

M.Rosa Caporali: un documento come testo integrante del programma dell’Unione, dove le donne compaiono come al solito nell’elenco dei soggetti deboli: giovani, anziani, soggetti disabili, ecc. Domanda: vogliamo una rappresentanza politica delle donne?

Lea Melandri: non vogliamo scrivere un testo “integrativo”, ma, al contrario, mettere in discussione proprio quell’impianto interpretativo che indistintamente applicano tutte le forze politiche (una trasversalità che appartiene alla comune appartenenza di sesso, più che agli schieramenti politici) e che vede le donne come “soggetto sociale” svantaggiato, debole, escluso, da proteggere e reintegrare. Il rapporto tra la radicalità dell’assunto femminista (le sue teorie, le sue pratiche intese a scavare in profondità nella vita personale, nell’immaginario, per scalzare modelli imposti e interiorizzati) e le istituzioni della politica (partiti, sindacati, parlamenti, ecc.) è rimasto un nodo tutt’ora irrisolto, una delle ragioni della scarsa incisività del femminismo da molti anni a questa parte, nonostante la forte presenza delle donne nella vita pubblica. Mancava un segnale di una volontà politica largamente condivisa, in questa direzione. La manifestazione del 14 gennaio l’ha dato e il documento o la lettera a Prodi dovrebbe raccoglierlo e fissarlo in punti essenziali. Forse siamo in grado oggi di riposizionare il rapporto tra e mondo, modificazione del nostro modo di pensare, sentire, e modificazione della realtà in cui viviamo, consapevoli dei nessi che ci sono sempre stati tra l’individuo e la collettività, la sessualità e la politica. Oggi siamo di fronte a un contesto più ampio e complesso, rispetto agli anni ’70: poteri più insidiosi (il mercato, l’invasività dei media, la femminilizzazione del lavoro, la mondializzazione dell’economia e dei modelli culturali dell’occidente, ecc.) e spinte distruttive incontrollabili (razzismo, scontro di civiltà, guerre di stampo coloniale, trionfo della forza sul diritto, ecc.). “Riposizionarsi” oggi significa mettere in relazione (cosa peraltro che abbiamo sempre fatto ma che non dobbiamo stancarci di ribadire) il dominio di un sesso sull’altro –assoggettamento e cancellazione (assimilazione) del primo diverso che l’uomo incontra nascendo: la donna- con tutte le forme di dominio, violenza, prevaricazione, esclusione che la storia ha conosciuto e che oggi sembrano riemergere dal sottosuolo della civiltà, dove si credeva di averle sepolte per sempre: razzismo, odio per straniero, enfasi identitaria, nazionalismo, guerra di religione. Sono tornati di attualità: il rapporto Chiesa e Stato, religione e laicità, Islam e Cristianesimo, civiltà e barbarie, guerre coloniali, terrorismo di Stato, schiavitù, tortura, licenza di uccidere, ecc. Nel riemergere di antiche, immaginarie contrapposizioni dualistiche -noi/loro, amico/nemico, Bene/Male, Cristianesimo/Islam, ecc.- è più facile leggere la matrice prima di ogni dominio, il fondamento sessista e razzista che lo sostiene: prima dell’antisemitismo e dell’islamofobia c’è la misoginia. L’ebreo e l’arabo sono, non a caso, stigmatizzati proprio per il loro tratti femminili. E’ chiaro che una Lettera non può dare conto di tutte queste analisi, ma deve quanto meno accennarle se vogliamo uscire dalla logica che ha trasformato l’esito di un rapporto storico (quello tra uomo e donna) nella questione specifica di un solo soggetto, la “questione femminile”, permettendo in questo modo al sesso maschile di sentirsi non implicato, non responsabile, e di continuare a nascondere il suo essere sessuato dietro la maschera della neutralità. Dobbiamo evitare che il nostro documento sembri una “piattaforma rivendicativa” di condizioni specificamente “femminili”: politiche famigliari, sostegno alla maternità, diritti di parità, ecc. (anche se sappiamo che queste politiche non vanno trascurate). Dobbiamo dire chiaramente che non siamo uno dei tanti “soggetti sociali” ma quella metà del genere umano sulla cui esclusione dalla vita pubblica (potere, decisionalità, cultura, ecc.) si è fondata l’idea stessa di “politica”, e sulla cui assimilazione (riduzione all’Uno, al medesimo) sono nati i saperi, i linguaggi, tutte le forme in cui si sono espresse finora le civiltà. Parlare oggi di “donne e politica” vuol dire perciò intaccare prima di tutto la falsa neutralità, un potere più forte e più insidioso dei privilegi stessi di cui gode la comunità storica degli uomini, mettere come condizione del rapporto tra i sessi che gli uomini comincino a interrogare da questo punto di vista la loro storia, a partire dalla somiglianza sempre più evidente tra logiche di guerra e modi della politica: competitività, contrapposizioni dualistiche, demonizzazione dell’avversario, prevaricazione, ecc. Quanto al discorso sulla rappresentanza, penso che per un movimento così eterogeneo come il femminismo non abbia molto senso, mentre è importante che si crei un rapporto continuativo di scambio, confronto, tra le donne che stanno nelle istituzioni e le donne ( o le loro associazioni) che dall’esterno vorranno partecipare attivamente a tutto ciò che oggi ha a che fare con le sorti del mondo.

Marina Piazza: va contestata la sequenza donne-giovani-anziani, ecc. dicendo innanzi tutto che le donne sono da sempre incluse. Va fatto un riconoscimento di presenza. Quanto alla rappresentanza, le donne che stanno nel parlamento non rappresentano le altre donne, e non solo perché “assimilate”. Sono in poche e questo le indebolisce molto. La “massa critica” è importante, se si è più numerose c’è anche più controllo. Il movimento deve esercitare questo controllo: ci siamo, guardiamo a quello che fate. Non darei così negativa con le questioni specifiche, ad esempio gli asili nido e altri servizi. Si può parlare anche di questo, senza paura di sporcarsi le mani. Politiche di conciliazione.

Barbara Mapelli: E’ uscito un documento, sottoscritto da diverse associazioni di donne di Roma – “L’Italia che verrà: un nuovo patto tra donne uomini per la democrazia del XXI secolo”-, a cui ho preso parte anch’io, che varrebbe la pena di essere visto. Nella lettera vi si potrebbe fare riferimento.

Assunta Sarlo: Il lavoro dei gruppi segue una doppia velocità: tempi lunghi della riflessione e volontà di esserci nell’immediato (le elezioni politiche a livello nazionale e quelle amministrative di Milano: il sindaco). Ci vuole un metodo di lavoro. Su che cosa ci concentriamo nell’immediato? Che cosa significa per noi dire “donne e politica”?

Cristina Molinari: le donne che sono arrivate ai vertici delle istituzioni politiche è perché hanno alle spalle una lunga vita di partito. Sarebbe importante creare un Osservatorio per capire quante donne ci sono nei partiti, che ruoli rivestono, perché è su questo che poi si possono mettere in moto le candidature. Lo stesso vale per le donne nelle amministrazioni.

Ada Lucia De Cesaris : dobbiamo dare un forte connotato politico al nostro movimento. Non si tratta di “integrare” alcunché. Dobbiamo dire: noi ci siamo, stiamo lavorando su questo, ci opporremo a qualsiasi decisione che non risponda alle nostre istanze. Dobbiamo porci come un soggetto duraturo, un grande soggetto politico capace di tampinare le forze politiche. Altra cosa è, rispetto a questa tornata elettorale, vedere chi appoggiare, sostenere. Il problema non è essere rappresentate da una donna ma da chi condivide qualcosa con noi. Interloquiamo con chi è disposto a capire che non siamo un soggetto sociale. L’alternativa è restare nell’angolo e farci usare da un partito o dall’altro. Non vogliamo essere un bacino di voti. Per questo però ci vuole una forte autonomia.

Chiara Giunta: e le quote rosa? Anche se non ci piacciono, dobbiamo parlarne. Come possiamo avere rappresentanza? Va fatta una proposta nel merito.

Marina Malgagni: concrete non sono le “quote rosa”; concreto è far passare il concetto che siamo metà del genere umano. Nel discorso delle quote non c’è niente che rispecchi programmi e pratiche delle donne. Importante comunque è la massa critica. Entrare nei partiti vuol dire quasi sempre adeguarsi alle logiche dominanti. La lettera deve contenere alcuni assunti fondamentali (“le fondamenta”).

Donatella Bassanesi: è necessario muoversi su un piano di realtà . Dobbiamo fare domande alle candidate: per esempio, sul fatto che si stanno cancellando i diritti dei soggetti, le libertà individuali, mentre si favorisce la famiglia. Per quanto riguarda la città, bisogna riaprire i luoghi delle donne. Per esempio, i centri donna. Dire come li vogliamo; luoghi che vanno ripensati da noi.

Ambra Tessera: dobbiamo vedere la donna in ogni campo, non relegata ad ambiti specifici. Spero di vedere donne candidate. Si dovrebbe obbligare all’alternanza: un uomo e una donna. Solo così si può avere una massa critica. Non basta far pagare la penale ai partiti che non rispettano questo ordine.

Paola Melchiori: servono alcuni principi fondamentali. Le svedesi hanno ottenuto più del 50% di donne nel parlamento, ma hanno constatato che se le cose sono improntate secondo logiche maschili (nel pensare, sentire, comportarsi, ecc.) si è limitate ugualmente. Dobbiamo costituire spazi in cui sia possibile affrontare alcuni temi essenziali, mostrando un modo diverso di ragionare, un diverso modello di analisi. Dopo si può vedere chi sono le donne che in parlamento sono disposte a farsene carico. Non dobbiamo fare solo un documento generale, ma focalizzare due o tre impegni su cui esercitare poi una pressione.

Maria Carla Baroni: le due velocità di lavoro sono intrecciate. Le liste nazionali sono quasi state fatte. La lettera va mandata a Prodi ma anche ai segretari dei partiti. Per Milano c’è già il gruppo Donne per il cantiere, che lavora su proposte da fare al nuovo sindaco. Si lavora insieme, donne dei partiti e associazioni. Il 21 febbraio c’è la prossima riunione.

Nerina Benuzzi: D’accordo con Lucia: dobbiamo autonomizzarci rispetto alla risposta dell’interlocutore. Anzi, non è detto che avremo una risposta. Decidiamo di scrivere perché vogliamo prendere parola, e dobbiamo scrivere cose radicali. Si sa che i movimenti si disperdono e poi ricompaiono, tornano a riconfrontarsi. Non dobbiamo cadere nella logica del risarcimento; ci siamo autorizzate a dire. Le quote nel sindacato sono servite. Chiedere il 50% significa dire che la politica sta dando uno spettacolo deleterio, che quel modo di intendere la politica è finito. E noi non vogliamo andare a salvarla. Bisogna produrre un gesto di autonomia. La nostra lettera può andare al di là di quello che possono prevedere. Minacciare di non andare a votare, come arma di pressione,non serve, tanto andremmo ugualmente. Bisogna mettere a fuoco delle priorità, senza aspettare risposte. Uscire dalla logica dello specchio. Poi bisogna prevedere un discorso più a lungo termine: perché donne brave impegnate non riescono ad andare avanti.

Paola Redaelli: Non dobbiamo fare un documento di richieste, ma di punti irrinunciabili per la ripresa di un rapporto tra i sessi. Dobbiamo dire che, sia a livello locale che nazionale, il movimento delle donne, pur disgregato, di pensieri, analisi, proposte, ne ha sempre fatto: dai consultori alla guerra, alle libertà individuali. Si deve chiedere un dialogo, una consultazione permanente col movimento, che, chiaramente, è più facile a livello locale. Ci deve essere cioè un impegno a confrontarsi con associazioni e gruppi già operanti delle donne, una realtà che sta fuori dalle istituzioni.

Liliana B?: è importante sperimentare spazi formativi. Perché votare una donna se dice le stesse cose di un uomo? Le giovani vedono una parità acquisita. Bisogna cercare un linguaggio nuovo della politica; le donne devono dire che cosa intendono per politica. Sembrano cose astratte, generali, ma non lo sono. Spesso è il particolare a non essere concreto.

Marilena Adamo: la nuova legge elettorale è pessima, dai partiti dell’Unione ci si potevano aspettare che mettessero in atto processi democratizzanti. I DS candidano il 50% di donne, elette saranno tra si e no il 30% (tutto da vedere). Il numero, la massa critica serve. Nel documento dobbiamo dire alcune questioni valoriali generali. Sia all’Università Statale che in Bicocca sono stati fatti corsi di formazione politica con una grande adesione di giovani donne. Vuol dire che c’è effettivamente un grande desiderio di uscire dal silenzio. Ma dobbiamo farci capire anche dalle donne che sono fuori dai circuiti politici. C’è poi un’esigenza di coerenza (Questione morale?) e la necessità di chiedere regole trasparenti per tutti. Come avvengono le scelte? La cooptazione è un disastro. Sono d’accordo con Paola: si devono scegliere questioni prioritarie e su quelle andare a un incontro con le donne dell’Unione.

Cristina Pecchioli: è importante riferirci alla manifestazione del 14 gennaio, alla forza che ha espresso. Lì, il movimento ha lanciato una sfida alla politica che va mantenuta molto alta. Quindi serve un preambolo che ribadisca due o tre punti discussi tra di noi. La questione delle quote non ce la stiamo ponendo. Limitiamoci a fare riferimento a chi delle forze politiche tiene il maggior potere: i capilista. Si devono definire dei patti, che mettano in discussione il linguaggio e la concezione con cui la politica si rapporta alle donne: una concezione familistica, una logica inclusiva. La questione delle quote ora ci dividerebbe. Si può puntare sul 50%, conseguenza del dire che le donne sono la metà dell’umanità. La sfida va portata sui nostri contenuti: la libertà femminile, la procreazione, il lavoro, le nuove relazioni. Dobbiamo imporre alla politica un linguaggio e una logica diversa. Dobbiamo “fare inciampo”.

Giuliana Baldi: una questione centrale è il linguaggio, c’è bisogno di una parola forte. La nostra sfida è conciliare i due tempi, della riflessione a lungo termine e dell’immediato. Ma dobbiamo arrivare a tutte le donne, entrare nella quotidianità, per cui servono reti e relazioni. Soprattutto è importante che la politica nasca dal sapere che viene dall’esperienza e che la generazione più giovane come la mia prenda forza dal movimento degli anni ’70. La rete va coltivata con un lavoro costante.

Susanna Camusso: ripartiamo dal 14 gennaio, una manifestazione che ha parlato anche alla politica, alle sue assenze, alle sue cancellazioni. Primo fra tutti: il misconoscimento del soggetti della politica, ridotti quasi sempre a oggetti della medesima. Noi siamo parte del mondo e non abbiamo bisogno di politiche che ci difendano e ci sostengano. Siamo, appunto, dei soggetti politici. Quando scendiamo nei contenuti specifici -consultori, legge 194, lavoro, ecc.- sappiamo di non essere radicali nelle nostre proposte. A parte forse la questione del precariato, su cui possiamo dire cose effettivamente radicali. Riguardo alle donne con cui si hanno condivisioni, possiamo fare un discorso più generale e uno, particolare, con le candidate. Bisogna trovare modalità di incontro, consultazione, controllo. Ci sono le donne elette e poi ci sarà la spartizione dei ministeri (se si vince). Possiamo chiedere che le donne non siano relegate in settori specifici, più vicini al tradizionale ruolo femminile? E’ importante il messaggio che si dà. Occorre anche mettere a tema la laicità e la libertà individuale in fatto di moralità, contro l’invadenza della Chiesa, che vorrebbe imporre una verità unica.

Anita Sonego: dobbiamo sapere a chi indirizzare la nostra lettera; innanzi tutto ai partiti che avrebbero dovuto promuovere loro la manifestazione fatta da noi. Il 50% di donne va preparato per future elezioni, cominciando da ora a trovare interlocutrici e interlocutori disposti a confrontarsi con noi. Un controllo o ricatto sociale può venire dal movimento stesso. Serve, per l’uscita della lettera, un’azione eclatante nelle città, che mobiliti la stampa. Dobbiamo contare sulla creatività del movimento.

Assunta Sarlo: la manifestazione del 14 gennaio è un capitale che abbiamo portato a casa e di cui va fatto buon conto. Un’azione “eclatante”, come chiedeva Anita, rischia invece, al confronto, di vederci perdenti. Tutte concordiamo su un punto: la miserabilità della rappresentazione delle donne da parte della politica. Oggi ci siamo guadagnate un certo credito presso i media e dobbiamo contare sulla nostra ripresa di parola.

Ada Lucia De Cesaris: dobbiamo ricordarci che quella manifestazione è stata fatta anche contro le politiche della sinistra.

 

Il prossimo incontro del gruppo “donne e politica” è giovedì 16 febbraio 2006 presso la Camera del lavoro di Milano.

 

(Trascrizione dagli appunti di Lea Melandri, che si scusa per involontarie omissioni. Corsivi di L.M.)