da
Liberazione del' 1 Febbraio 2005
Femministe,
dove siete?
di
Monica Lanfranco

Femministe
occidentali, dove siete quando si parla di fondamentalismi? Pochi giorni
prima del Forum di Porto Alegre è arrivato un documento/appello
dirompente, al quale non si può non prestare ascolto, che in sostanza
lancia questa domanda a noi tutte: si tratta dell'appello contro i fondamentalismi
stilato dal gruppo Donne Soggette alle Leggi Islamiche (WLUML in inglese),
del quale avrei voluto dar conto su Liberazione trattandone con un articolo
a sé. Nel documento si legge: "Cosa succede? Il fondamentalismo
islamico ha aperto un nuovo fronte in Europa e nel Nord America. Ci sono
numerosi segnali di allarme, come la richiesta di leggi separate presumibilmente
basate sulla religione soprattutto per risolvere questioni familiari all'interno
delle 'Comunità islamiche'. La nostra esperienza nei nostri paesi
dimostra che queste risulteranno profondamente discriminatorie e anti-donna.
Eppure coloro che propongono il fondamentalismo cercano sostegno tra le
forze progressiste, nel nome di quegli stessi valori che anche noi difendiamo:
uguaglianza, antifascismo, libertà di pensiero, libertà
di espressione. Le organizzazioni per i Diritti Umani, la Sinistra e in
generale le forze progressiste, e ora persino le femministe sono sollecitate
a sostenere l'ordine del giorno fondamentalista.
Disturbate dalla discriminazione e dall'esclusione che hanno più
spesso colpito le popolazioni migranti in Europa e in Nord America, le
forze progressiste dell'occidente sono interessate a denunciare il razzismo,
ed è giusto così. Ma di conseguenza, esse spesso scelgono
di sacrificare sull'altare dell'antirazzismo, alla dittatura teocratica
fondamentalista sia le donne che le nostre forze interne democratiche
di opposizione progressista. Oppure censurano le loro espressioni di solidarietà
con noi per paura di essere accusati di razzismo. Deragliate dalle invasioni
neo colonialiste e dalle guerre, le forze progressiste sono preparate
a sostenere ogni opposizione alle super potenze. Abbiamo già testimonianze
di illustri intellettuali e attivisti di Sinistra che condividono pubblicamente
il parere che non importerebbe loro niente se i regimi fondamentalisti
teocratici salissero al potere in Palestina o in Iraq, a condizione che
gli USA e Israele fossero messi fuori gioco. Abbiamo testimonianze di
rappresentanti di organizzazioni fondamentaliste e loro ideologi invitati
e acclamati ai Social Forum. Abbiamo testimonianze di importanti femministe
che difendono il 'diritto al velo'- e questo ci ricorda con tristezza
la difesa del 'diritto culturale' alla mutilazione genitale femminile
di alcuni decenni fa. A coloro che tentano di giustificare la loro confusione
politica dicendo che il fondamentalismo è un movimento popolare,
ricordiamo che Hitler fu eletto dal popolo - -cioè con mezzi democratici
-ma certamente non per il meglio della democrazia. Osiamo dissentire.
Dissentiamo come donne, vale a dire come le vittime più visibili
delle politiche, e dissentiamo come movimento popolare progressista, democratico
e anti-teocratico. Ad una situazione di esclusione o di oppressione, possono
esserci numerosi tipi di risposte: sia da Sinistra, che da Destra e da
estrema Destra. Possono esserci risposte che aprono all'universalismo,
all'umanità, alla democrazia, ai diritti fondamentali per tutti;
o risposte serrate e contorte su particolarismi, etnicità e differenze.
Se è vero che le nostre diversità devono essere riconosciute
e l'omogeneità non imposta, non dovremmo mai dimenticare che la
"differenza" è stata anche usata e abusata da ogni sorta
di forza di estrema Destra., dal nazismo all'apartheid, alla schiavitù
nel sud degli Stati Uniti, al fondamentalismo islamico, e alle ideologie
contro le donne! - solo per fare degli esempi
dovremmo camminare
su una linea sottile senza cadere nella trappola che i fondamentalismi
stanno aprendo sotto i nostri piedi". Fin qui l'appello.
Mi sono resa conto che era proprio da quell'appello che mi veniva voglia
di prendere parola sul dibattito, benemerito e del quale davvero ringrazio
il giornale, iniziato da qualche settimana sulle sorti dei femminismi.
Un dibattito che non mi infiammava, pur essendo un tema fondante nella
mia vita. Per giorni ho scavato per capire cosa non mi coinvolgeva, il
perché del non riuscire a condividere con le altre voci autorevoli,
molte delle quali amiche, che lo animavano. Sono arrivata a comprendere,
dopo la lettura del documento che mi ha tolto un peso dal cuore, letteralmente,
che era la domanda dalla quale molte partivano che mi suonava estranea:
per me l'interrogativo urgente non è, infatti, dove stiamo andando,
ma perché non stiamo parlando di una cosa gigantesca, che ci riguarda
tutte, che rappresenta la vera emergenza planetaria per il nostro genere
oggi: quella della ripresa di vigore mortale dei fondamentalismi. Tutti,
da quello nordamericano che fa dire all'unto da Dio presidente degli Usa
di avere il compito di difendere la democrazia e quello islamico che invita
ad una speculare guerra contro gli infedeli e prescrive la lapidazione
delle donne in piazza. Eppure è proprio su quest'ultimo fondamentalismo
che il silenzio è pesante.
Ben prima dell'11 settembre, forse era il 1999, ero tornata molto turbata
da un incontro femminista voluto dal Forum di Rifondazione, nel quale
era stato impossibile discutere serenamente sulla questione del velo islamico
e del ruolo delle donne nell'Islam. Avevo preso la parola in un gruppo
di lavoro sulle migranti: "Quando vedo per strada le donne velate,
anche se fa molto caldo e noi siamo sbracciate e comode, quando camminano
con i bambini e la spesa a tre passi indietro ai mariti, (loro sì
in abiti occidentali) provo rabbia, - avevo detto. Perché non possiamo
cominciare a parlarne con le donne immigrate, che spesso obbligano anche
le bambine allo stesso comportamento"?
Ero stata attaccata con forza da molte donne italiane: il mio ragionamento,
dicevano, non teneva conto della diversità culturale, il mio atteggiamento
era frutto di una mentalità colonialista e imperialista; come potevo
criticare le musulmane, se noi disseminavamo le strade e le trasmissioni
tv con immagini di donne seminude? Non offendevano, queste nudità
esposte e mercificate, la dignità della donna, molto più
che il velo? Passano gli anni. Dopo il G8,le due torri, la guerra e tutto
il resto del corredo di orrori quotidiani che il nuovo millennio ci sta
consegnando, pochi mesi fa, ad un analogo appuntamento di donne, altrettanto
carica di tensione è stata una discussione sull'attualissimo tema
della legge francese. Mentre cercavo di esprimere la mia titubanza sulla
totale negatività delle legge, e cercavo di evidenziare la differenza
tra il simbolo e l'abito, che solo nel caso delle donne ha un inequivocabile
valore simbolico di sottomissione non già solo a Dio ma alla legge
patriarcale, facevo anche riferimento ad alcune interviste a esponenti
dei movimenti delle donne del mondo arabo, soprattutto iraniane, che salutavano
la legge come un esperimento utile (con molte riserve, non come la panacea
di tutti i mali, certo, ma forse uno strumento utile da verificare, visto
che tra l'altro la legge tra due anni verrà rivista). Di nuovo
è scattato l'anatema: come posso tollerare che lo stato imponga
come si devono vestire le donne? Uno stato che si dice laico e agisce
in questo modo diventa confessionale e integralista in modo speculare
all'integralismo che pretende di combattere, sostenevano. Avrei potuto
ribattere con molte argomentazioni: per esempio che nemmeno una religione
può imporre il modo di abbigliarsi, o di comportarsi in generale,
cosa che invece è accaduta e accade eccome, ieri nella religione
cattolica come oggi nel fondamentalismo islamico, ma non saremmo andate
lontane.
Perché, al di là della legge francese e della 'complicazione'
legata all'ingombro generato dalla presenza dello stato, era così
difficile dire che l'obbligo di coprirsi, dal blando velo fino alla burka
che tutto il corpo cancella , è inaccettabile per donne che si
dicono femministe e di sinistra?
La violenza del patriarcato è denunciabile solo se sta in casa
tua, nella tua cultura, e non vale per l'intero genere femminile, ovunque
ci si trovi? Il multiculturalismo autorizza che, poco più in là,
non valgano per le altre i diritti di scelta che hai conquistato sul tuo
territorio sociale e culturale? Il rispetto per le differenze è
incondizionato sempre e comunque, tanto da imporre l'assenza di critica?
I diritti umani sono relativi, a seconda delle tradizioni locali, siano
esse tribali, derivanti da leggi, o dalle parole della fede tramandata?
Siccome siamo contro la guerra, e oggi la guerra viene presentata da più
parti nel mondo dalle forze reazionarie come necessaria per non soccombere
all'integralismo musulmano non possiamo criticare l'Islam integralista
e la segregazione e discriminazione che le donne soffrono in molti paesi
nei quali l'unica legge è quella religiosa, noi che abbiamo raccolto
i frutti di chi ha separato la fede dalla legge laica? Dire che nella
seconda Intifada le donne hanno peggiorato la loro condizione, mentre
prima erano tra le più libere ed emancipate del mondo arabo, ci
allontana dalla denuncia della violenza dell'esercito di Sharon e diminuisce
il nostro appoggio alla causa palestinese? Si può essere senza
se e senza ma contro la guerra e sospendere il giudizio sulla libertà
di scelta delle donne, cavarsela con una alzata di spalle di fronte alla
burqa , alle mutilazioni sessuali con la scusa del rispetto delle differenze
o con l'urgenza maggiore di altri problemi, glissare o minimizzare sul
significato sessuofobico dei precetti relativi all'occultamento, in parte
o in toto, del corpo delle donne nell'integralismo? Molte di coloro che
oggi sono fermamente e senza appello contrarie alle legge francese, o
sono possibiliste circa la 'puntura simbolica' al clitoride (ricordate
il dibattito sulla proposta del ginecologo in Toscana?), o, ancora, sostengono
che non è il velo comunque il problema prioritario ieri erano strenue
oppositrici alla presenza del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane,
avversarie dell'insegnamento della sola religione cattolica negli istituti
scolastici pubblici, denunciavano (e denunciano) tra gli attori più
attivi e perniciosi sulla scena italiana le gerarchie ecclesiastiche vaticane
circa la pessima legge sulla fecondazione assistita, anticamera della
messa in discussione del diritto d'abortire con grande fatica conquistato
in molta parte dell'Occidente dalle donne.
L'impressione è che il monito di una decina di anni fa lanciato
dalla studiosa Moller Okin, che si domandava se e fino a che punto il
multiculturalismo favorisse la causa dell'autodeterminazione femminile
sia stato inascoltato, così come dagli stessi movimenti per l'alternativa
globale e la costruzione di un mondo diverso sembra sottovalutato l'appello
del movimentista Nobel indiano Amartya Sen, che afferma: "E' particolarmente
importante non confondersi nel ritenere il tradizionalismo, senza esaminarlo,
come parte dell'esercizio della libertà culturale. E' necessario
chiedersi se i perdenti nella società, in questo caso le donne
le cui vite possono essere influenzate negativamente da questo genere
di pratiche, hanno avuto la possibilità di prendere in considerazione
delle alternative, e hanno la libertà di sapere in che modo vivono
le persone nel resto del mondo". Ovvero prima le persone siano libere,
poi analizziamo e discutiamo la diversità culturale e le tradizioni.
Negli anni '80 la Lega per i diritti dei popoli, in un convegno a Firenze
voluto dalle donne dell'associazione, aveva pionieristicamente affermato
che 'il fiume della tradizione ci bagna e feconda, ma porta con sé
anche i detriti". Parole poetiche, e profetiche di quando ora stiamo
vivendo. Dirompenti e provvidenziali, arrivano proprio in queste settimane
due testi di autrici che dicono forte e chiaro che si può, e si
deve, obiettare al fondamentalismo: Giù i veli di Djavann C. e
Quando abbiamo smesso di pensare? di Irsad Manji sono due potentissimi
strumenti di critica e anche un monito a chi pensa che si possa sorvolare
di fronte al problema.
A me pare che oggi i femminismi abbiano un compito enorme: quello di costituire,
come decenni fa nella sinistra, oggi nei movimenti per il cambiamento,
un argine critico contro questa nuova malattia mortale che mortifica la
possibilità di coesistenza pacifica tra le genti, e i generi, il
fondamentalismo. Dicono le donne del WLUML:" Noi ci appelliamo in
generale al movimento democratico, al movimento anti-globalizzazione riunito
a Porto Alegre, e in particolare ai movimenti delle donne, per dare visibilità
internazionale e riconoscimento alle forze democratiche progressiste e
ai movimenti interni ad esse di donne che si oppongono al progetto teocratico
fondamentalista. Chiediamo a tutti di smettere di sostenere il fondamentalismo
come se fosse una legittima risposta a situazioni di oppressione".
Compagne e amiche femministe, ascoltiamole
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