Due sofferenze, due agonie
di Lea
Melandri

Marina Abramovic
Per quanti hanno avuto modo di vedere in questi giorni la folla dei fedeli
in lacrime sotto le finestre di un Papa visibilmente provato dalla
malattia e, dall'altra parte del mondo, in una città della Florida, i
gruppi dei credenti ora minacciosi ora imploranti in difesa della vita di
Terri Schiavo, è innegabile che ci si ritrovi di fronte a una ripresa
religiosa. Ciò di cui si può invece dubitare è che questo "risveglio"
risponda alle aspettative descritte da Giovanni Paolo II nel suo libro,
Memoria e identità (Rizzoli 2005), e dal cardinal Ruini
nell'intervista al quotidiano La Repubblica (23.3.2005).
La centralità che sta assumendo la "questione della vita", nei suoi due
estremi - la nascita e la morte -, l'imporsi di interrogativi
antropologici sul senso dell'esistenza umana, fatto oggi materia di
sperimentazioni scientifiche inarrestabili, porterebbero, secondo Ruini, a
un rapporto più stretto tra etica e politica e, di conseguenza, dato che
"le riserve etiche della nostra società vengono dal cristianesimo", ne
risulterebbe potenziato il compito pubblico della Chiesa, con tutto il
peso della sua Verità rivelata e di una storia che è stata il fondamento
delle culture nazionali europee, oltre che della "missione"
evangelizzatrice dell'Occidente nel mondo.
Nello scritto di Wojtyla, la "sfida" del cattolicesimo alla civiltà
contemporanea si annuncia con toni ancora più aggressivi. Il pensiero
laico è messo in discussione a partire dalle sue radici e dai sui stessi
progenitori. Con Cartesio - "cogito ergo sum"-, l'uomo ha scalzato il Dio
Creatore e ha preteso di essere lui solo, arbitro del proprio destino, a
decidere "ciò che è buono e ciò che è cattivo". Dio diventerebbe così un
"contenuto della coscienza umana" e la religione soltanto un fatto
psicologico. L'attacco si fa poi quasi grottesco quando, dalla condanna
del nazismo e del comunismo, Wojtyla passa, per una libera o voluta
associazione di idee, alle leggi degli attuali Stati democratici su temi
come la famiglia e la procreazione. Divorzi, amore libero, aborto,
manipolazione degli embrioni, matrimoni omosessuali, "ci si può
legittimamente chiedere", scrive il Papa, se non siano un'altra forma di
totalitarismo", l'insorgere di una nuova "ideologia del male".
Approvando leggi abortiste, i parlamenti "si spingono oltre le proprie
competenze" ed "entrano in palese conflitto con le leggi di Dio e le leggi
della natura".
Da questo arroccamento istituzionale della Chiesa deriverebbero, secondo
il teologo Enzo Bianchi (Reset, aprile 2005), spinte contrastanti: da una
parte, verso il fondamentalismo, e, dall'altra, verso soluzioni religiose
di tipo intimistico, o fenomeni analoghi, come la "sete di miracoli", la
"ricerca del sensazionale", una "bulimia di sacro" che va a occupare il
vuoto di cultura religiosa.
Mi sembra che sia quest'ultimo l'aspetto più nuovo e inquietante di una
religiosità che nasce all'interno di una società atomizzata e di massa,
spinta a condividere emozioni, appartenenze, amori e odi, attraverso lo
spettacolo quotidiano dei media.
Nella settimana di Pasqua, i telegiornali hanno celebrato, con record di
ascolti e con l'effetto ambiguo di intrattenimento e sincera commozione,
il duplice calvario, del Papa e di Terri Schiavo, due sofferenze, due
agonie, prese nel cerchio della più solenne drammaturgia cattolica, la
Passione di Cristo, e di tante anonime vite che in quei due corpi
martoriati potevano identificarsi: un Papa che, mostrando i segni fisici
della malattia, esce dal mistero che ha sempre avvolto la massima autorità
della Chiesa, e un corpo, quello di Terri, in stato di vita vegetativa,
così impersonale da rivestire paradossalmente ciò che gli umani hanno di
più comune, il fatto che si muore.
Ad alimentare una deriva, che ha evidenti aspetti mistici, contribuiscono
oggi fattori diversi, non solo religiosi. Ci sono: l'invasività sempre più
estesa della politica, della scienza, della medicina, sulla vita dei
singoli, i cambiamenti che sul corpo e sulle vicende essenziali dell'uomo,
la nascita e la morte, produce il riduttivismo biologico dell'ingegneria
genetica; c'è lo spettro di una progressiva disumanizzazione, nella resa
della libertà e del controllo, che ogni persona vorrebbe avere sul proprio
corpo, alla potenza della macchina; c'è la mercantilizzazione di tutto ciò
che siamo e di cui siamo fatti: organi, sentimenti, desideri, attitudini.
E, infine, c'è un diffuso, generalizzato, senso di insicurezza e
fragilità. La difesa della sopravvivenza a tutti i costi, al di là
dell'accanimento terapeutico, si può dire che faccia ormai parte dello
scenario mondiale: dalle guerre infinite che dovrebbero "prevenire" le
insidie del terrorismo, alla crisi di un modello di sviluppo che non
riesce più a nascondere le spinte distruttive che si porta dentro. La
legge ad personam che Bush ha firmato, con l'intento di costringere la
magistratura a rivedere la sua decisione sul caso di Terri Schiavo, se
mirava, come molti hanno scritto, a ringraziare le comunità religiose che
l'hanno votato, può anche essere vista come il simbolo di tutta la sua
politica: la difesa della vita, del singolo e della nazione, posta al di
sopra della legittimità costituzionale, delle libertà democratiche, ma,
soprattutto, indifferente rispetto a quelli che dovranno morire perché
alcuni vivano. E questo vale per la pena di morte come per la guerra.
In un contesto così segnato da paure e imprevisti, non è difficile capire
quanta forza di aggregazione ed esaltazione mistica possa avere la figura
di un Papa coraggioso, che lotta contro la sofferenza e la morte, e che
proprio nel mostrare le sue piaghe le purifica, le porta fuori
dall'insignificanza e dalla miseria del quotidiano, dalla vergogna che
circonda l'impotenza degli anziani malati, l'angoscia dell'avvicinamento
alla morte. Lo stesso si può dire di un corpo, privo di vita psichica e di
coscienza, così spersonalizzato da diventare terreno di scontro di poteri
istituzionali e religiosi, ma anche oggetto di un pensiero onnipotente che
può attribuirgli indifferentemente vita e morte.
La genesi psicologia della religione è oggi più scoperta che in passato, e
parlarne fa sicuramente meno scandalo di quando ne scrisse Freud, nel
1924. Ma sono cresciute anche le condizioni che rendono oggettivamente più
minacciata l'esistenza umana, e quindi necessaria l'"illusione" di una
Provvidenza e di un disegno divino depositario del bene e del male.
Dovrebbe preoccupare, soprattutto, il fatto che lo smarrimento dei
singoli, anziché cercare un rapporto diretto, intimo, con Dio, venga
incanalato dalla partecipazione mediatica ai grandi eventi verso il corpo
unico, emotivamente omogeneo, formato da milioni di solitudini, rimando
inquietante a quel "gregge addomesticato pronto ad accogliere il suo
volenteroso pastore", di cui aveva già avuto intuizione Tocqueville
ragionando sullo sviluppo delle democrazie.
questo articolo è apparso su Liberazione del 30
marzo 2005
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