Emotivi anonimi

di Natalia Aspesi






Un piccolo film francese, di un regista a noi sconosciuto, con attori che forse non abbiamo mai visto, risulta essere più natalizio di un cartone animato, di una commediola italiana romantico-ridanciana, di un grandioso film americano con celebri attori. Emotivi anonimi sembra una fiaba di Andersen, zeppo di Piccole Fiammiferaie ambosessi. Ma pare soprattutto una collettiva risposta consolatoria alle tante lettere inviate alle poste del cuore da timidi angosciati, solitari ansiosi, mezze mele che non trovano l’altra metà perché la temono, uomini che fan finta di essere sicuri di sé ma annegano nella paura, donne prese dal panico ogni volta che un uomo le guarda.

Il film di Jean-Pierre Améris pare uno di quegli angioletti di zucchero che si appendono all’albero di Natale: è infatti carino e zuccheroso, risaputo e piacevole. Ed è una prevedibile, accidentata storia d’amore tra due adulti chiusi nella loro desolata timidezza e terrorizzati dalla vita, con indispensabile lieto fine. A rendere il tutto adatto alle Sante Feste del tipo infantile e gourmand, sia lei che lui si occupano di cioccolata: Jean-Renè (Benoît Poelvoorde) è il proprietario di un piccolo laboratorio di cioccolatini, Angélique (Isabelle Carré) è una favolosa creatrice di bon bon squisiti: l’esagerata emotività impedisce a lui di affrontare quei cambiamenti che renderebbero i suoi prodotti ancora graditi alle pasticcerie alla moda, e obbliga lei a tener nascosta la sua genialità attribuita a un misterioso maestro dolciario.

Lui tenta di superare la sua infelicità andando da uno psicanalista, lei frequentando un gruppo di “Emotivi Anonimi”, il cui programma assomiglia a quello degli Alcolisti Anonimi. Sono due persone come tante, non più molto giovani, fisicamente qualsiasi, molto sole, costrette dalla scarsa stima di se stessi e dalle crisi di panico a un continuo scontro col mondo. È la cioccolata a farli incontrare ed è amore a prima vista, il che impegna subito i due a difendersi da quel sentimento pericoloso e intrusivo, che non sanno come affrontare. Allo psicanalista dai suggerimenti terrorizzanti Jean-René racconta della sua infanzia inquinata da un padre depresso che diceva continuamente “Auguriamoci che non succeda niente”, Angélique confida al suo gruppo di iperemotivi il terrore di farsi notare, di uscire dalla protezione dell’invisibilità.

Spinto dall’analista, lui osa invitare lei a cena. Lei si è scritta su foglietti gli argomenti di una non pericolosa conversazione, lui corre alla toilette a cambiare continuamente la camicia sudata, e alla fine scappa. Si susseguono situazione ovvie da cinema parrocchiale anni ‘50, i due innamorati intenti a sfuggirsi e cercarsi, gli scatti di timidezza e sfrontatezza che si accavallano, l’ovvio episodio da film anni ’30 (Accadde una notte) in cui arrivati in una città per partecipare al Salone Internazionale del Cioccolato, sono costretti per affollamento a dormire nella stessa camera. Troppo, per i disperati emotivi, ed è fuga. Ma siamo a Natale e chi scrive alle poste del cuore si aspetta promesse di roseo futuro: immancabile quindi l’happy end.

Film buonista e gentile, adatto sia alle famiglie che a bruttini e bruttine stagionati, ci rivela l’esistenza di questa associazione “Emotivi Anonimi”, nata negli Stati Uniti nel 1971, arrivata nel 1979 in Germania, dove oggi si contano più di 350 gruppi, 1300 nel mondo, in Italia non si sa. In Francia ne ha fatto parte anni fa anche il regista Améris, vittima sin da bambino di un’emotività che gli rovinava la vita. Frequentando queste persone come lui angosciate, che scansano la vita per paura di soffrire, ha capito di non essere solo, di condividere con tanta gente una ferita comune: la sua medicina è stata il cinema, sia quando ci si rifugiava per sentirsi protetto dal buio, sia quando ha cominciato a fare il regista, il che gli ha consentito di creare storie che lo liberavano dal panico. Questo suo settimo film (ha girato anche quattro fiction televisive, che, come i film, non mi pare siano state date in Italia) è il più autobiografico, se si esclude la cioccolata, di cui è comunque ghiotto.


da Repubblica, 21-12-2011